venerdì 3 aprile 2015

Cate Blanchett / I film sulle donne fanno un sacco di soldi

Cate Blanchett
Cate Blanchett

«I film sulle donne
fanno un sacco di soldi»

Hollywood si affanna a cercare il prossimo George Clooney o il prossimo Brad Pitt, ma farebbe meglio ad approfittare delle star che ha già a disposizione: le donne





di Costanza Rizzacasa d’Orsogna
27 marzo, 2015

Ci ha messo 15 secondi. In 15 secondi, all’interno del suo acceptance speech – il discorso di ringraziamento per l’Oscar alla miglior attrice per Blue Jasmine-, allegramente come aveva appena urlato “Attaccati!” alla rivale Julia Roberts e “Sedetevi, siete troppo vecchi per stare in piedi” alla platea del Dolby Theatre, Cate Blanchett ha fatto un grande statement femminista.
Dopo aver sottolineato quanto significasse per lei quel premio “in un anno di – ancora una volta – performance femminili straordinarie”, dopo aver segnalato come la mancata presenza in sala di Judi Dench, candidata perPhilomena, fosse dovuta al fatto che “il suo film (Marigold Hotel, ndr) è andato così bene che a 79 anni è in India a girarne il sequel”, l’attrice australiana ha chiamato in causa “quanti nel nostro settore si aggrappano ancora, scioccamente, all’idea che i film che parlano di donne, con protagoniste donne, siano esperimenti di nicchia. Non lo sono. Il pubblico vuole vederli e anzi, fanno un sacco di soldi”. Poi, mentre il teatro quasi veniva giù per gli applausi, ha gridato: “Il mondo è rotondo, gente!”

Cate Blanchett
Annie Leibovitz
Una “F-bomb” in piena regola, dove la “F” non sta per la nota imprecazione, ma per “feminist” – termine, peraltro, già usato dall’attrice per descrivere se stessa. Un discorso perfetto. Tanto che il New Yorker, nel valutare gli acceptance speech delle star, le ha dato una “A-”, quasi il massimo. Lo stessoThe Atlantic, uno dei giornali che più si spende per la cosiddetta “questione femminile”, nel raccontare l’episodio ha ammesso: “Non avremmo potuto dirlo meglio”. E chi fosse tentato di liquidare quella di Blanchett come “solita retorica femminista” sappia che alcuni dei film di maggiore incasso del 2013 – da Gravity a Hunger Games: La Ragazza di Fuoco –hanno come protagonista una donna in un ruolo non stereotipato. Perfino un film d’animazione come Frozen – Il Regno di Ghiaccio, il blockbuster della Disney protagoniste due sorelle, non a caso co-diretto da una donna, proponeva un nuovo modello di principessa, che non ha più bisogno del bacio (cioè del timbro d’approvazione) del principe per essere “degna”, confermando l’orientamento della casa madre della Bella Addormentata, leader mondiale dell’intrattenimento per l’infanzia, verso una rappresentazione femminile sempre meno cliché.
Non è la prima volta che Blanchett si scaglia pubblicamente contro i vertici di Hollywood per la marginalizzazione delle attrici, per aver iniziato solo da poco, e solo per convenienza, a riparare alla storica mancanza di ruoli femminili complessi e di spessore. Lo aveva fatto durante la promozione diBlue Jasmine, osservando che per tutti i passi avanti che le donne stanno facendo ci sono altrettanti passi indietro, e la parità è ancora lontanissima e guai ad abbassare la guardia. Lo ha fatto di nuovo ai recenti SAG Award, gli Oscar della sceneggiatura, dove ha sottolineato come siano rarissimi gli sceneggiatori che creino con una certa regolarità personaggi femminili sfaccettati. Addirittura, sul red carpet, Blanchett aveva “redarguito” il sessismo delle telecamere di E!, colpevoli di indugiare sulla sua figura, interessate più al suo aspetto e alla sua mise che alle sue parole. “Fate così anche con gli uomini?”, aveva chiosato, accovacciandosi per mimare il movimento della telecamera che ne riprendeva le parti basse del corpo.
Per fortuna, Blanchett non è l’unica a combattere quello che nel gergo si chiama “celluloid ceiling”, il soffitto di celluloide, materiale evidentemente più duro del cristallo. A dicembre, in un articolo intitolatoDalla Terra a Hollywood, gioco di parole sul noto film di fantascienza Dalla Terra alla Luna, proprio l’Atlantic – denunciando la decisione della Warner di cassare una sceneggiatura che vedeva Wonder Woman, il più amato fra i supereroi dei fumetti DC Comics, finalmente protagonista di un film, riducendola a mera spalla di Superman nel prossimo Batman vs. Superman– osservava come il record d’incassi di The Hunger Games 2 (864 milioni di dollari) e di Gravity (703 milioni di dollari) segnalano che il pubblico è pronto per un film su una supereroina, ed è ora di smetterla con il solito cliché degli alti papaveri di Hollywood, secondo cui i supereroi donne al botteghino fanno fiasco.


A Blanchett fa eco poi l’attrice e regista Jennifer Siebel Newsom, il cui documentario, Miss Representation (gioco di parole col termine “misrepresentation”, rappresentazione falsata), presentato al Sundance nel 2011, esce proprio in questi giorni in Gran Bretagna. Il film, di cui sono protagoniste da Katie Couric a Nancy Pelosi, da Condoleezza Rice a Gloria Steinem, denuncia come la raffigurazione stereotipata e screditata delle donne al cinema e in tv sia corresponsabile delle minori posizioni di potere ottenute dalle donne, e finisca per incidere gravemente sulla loro vita: dalla disparità di retribuzione alla difficoltà di fare carriera dopo aver avuto un figlio, dai disturbi del comportamento alimentare al boom della chirurgia estetica. “La maggioranza dei fruitori di media sono donne”, osserva Siebel in un’intervista al Guardian. “E però negli USA le donne possiedono solo il 5,8% delle televisioni e il 6% delle radio, e solo il 5% delle posizioni di peso nei media sono appannaggio di donne. Nel cinema, in particolare, c’è un enorme scarto tra domanda e offerta. Metà degli spettatori sono donne, come è donna il 51% della popolazione mondiale, ma solo il 15% dei protagonisti dei film lo è. Addirittura, dei primi 100 film per incasso nel 2012, solo il 28,4% di personaggi parlanti (quelli cioè che pronunciano anche solo una parola) era donna. E a differenza degli uomini, si tratta spesso di adolescenti o di bambine. Di più: solo il 6% di questi film rispondeva ai criteri di uguaglianza di genere”. Per non parlare dei ruoli tecnici, dove le donne anziché aumentare diminuiscono. Dal 1977 a oggi, delle 216 pellicole candidate all’Oscar per il Miglior Film, solo 12 sono statedirette da donne. E solo una donna, Kathryn Bigelow, ha portato a casa la statuetta di Best Director. Pregiudizi che vengono poi replicati nell’acquisto dei film dalla tv. Su Primafila di Sky, per dirne una, quasi tutti i titoli sono d’azione, seguiti dalle commedie caciarone destinate a un pubblico prevalentemente maschile. Se vogliamo vedere un film che parli di noi, insomma, non abbiamo molta scelta. “Eppure”, osserva Siebel, “le platee diGravity e Hunger Games 2 dimostrano che è una sonora stupidaggine pensare che gli uomini non andrebbero a vedere film con protagoniste donne in ruoli non cliché”.
Insomma, mentre Hollywood si affanna a cercare il prossimo George Clooney o il prossimo Brad Pitt – della cui difficoltà si lamentava proprio Variety qualche giorno fa -, farebbe meglio ad approfittare delle star che ha già a disposizione: le donne.

CORRIERE DELLA SERA

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