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sabato 12 ottobre 2019

Nobel, nonostante lo scandalo è vera letteratura

Olga Tokarczuk e Peter Handke

Nobel, nonostante lo scandalo è vera letteratura

Handke e Tokarczuk incarnano due modi opposti di essere scrittori in Europa. Ma il valore delle loro opere è indiscutibile


Nonostante gli scandali della burocrazia sessuale, nonostante le cantonate clamorose con l'assegnazione del premio ad autori più che minori, il prestigio del Nobel come massima ricompensa nella vita di uno scrittore regge ancora, per quanto ossidata sia la corona e deformato lo scettro. I vincitori di quest'anno, due al prezzo di uno, si meritano senza dubbio il riconoscimento. Peter Handke ha un curriculum indiscutibilmente importante in vari campi della letteratura, e qualunque cosa possiamo pensare delle sue idee politiche (dopo il sostegno espresso a Milosevic?, Handke è tristemente entrato nel club di gente come Ezra Pound e Louis-Ferdinand Cèline), i suoi scritti con ogni probabilità verranno letti ancora per molte generazioni.


Handke, qualunque significato attribuiamo a questa parola così abusata, è un classico. Reinventò il teatro dopo Brecht a un'età sorprendentemente giovane, prima con Insulti al pubblico e Kaspar e in seguito con l'opera senza parole L'ora in cui non sapevamo niente l'uno dell'altro; come scrittore di narrativa ha mescolato fiabe, memorie e saggi nei suoi tanti, meravigliosi libri.



Olga Tokarczuk è tutta un'altra storia. Anche se il suo recente romanzo I vagabondi è diventato immediatamente un successo internazionale, solo quattro dei suoi sedici libri sono disponibili in italiano. Ma quel romanzo da solo basta a dimostrare che la Tokarczuk è fra gli scrittori essenziali del nostro secolo. "La mobilità è realtà", dice la narratrice senza nome dei Vagabondi, che in polacco si intitola Bieguni, una parola che designa dei girovaghi slavi che come i dervisci rotanti cercano la salvezza nel moto costante.


Per trasmettere questa mobilità incessante come un tratto essenziale del nostro mondo nomade, la Tokarczuk costruisce una narrazione di saltelli, di eventi intravisti e personaggi che non vengono mai completati del tutto, il genere di storia che Walter Benjamin definiva "frammenti di un vascello che devono essere incollati insieme".

Nel caso della Tokarczuk, il premio Nobel sembra ricompensare non l'opera di una vita (è nata nel 1962), ma il presagio di un futuro classico. La sua polemica con gli infernali nazionalisti polacchi, che l'hanno accusata di "macchiare l'immagine di una Polonia pura" potrebbe aver spinto i giurati a schierarsi dalla parte degli angeli, ma più importante è il fatto che questo premio incoraggerà i lettori a cercare i suoi libri e farsene illuminare.

(Traduzione di Fabio Galimberti)


LA REPUBBLICA



giovedì 10 ottobre 2019

Come inizia “I vagabondi”, del premio Nobel Olga Tokarczuk

Olga Tokarczuk


Come inizia “I vagabondi”, del premio Nobel Olga Tokarczuk

È il romanzo più famoso della scrittrice polacca, da poco ripubblicato da Bompiani


I vagabondi è il libro più famoso della scrittrice polacca Olga Tokarczuk, che ha vinto il premio Nobel per la letteratura del 2018, annunciato oggi. Il libro era uscito nel 2007 con il titolo originale Bieguni ed è stato pubblicato in Italia nel marzo del 2019 da Bompiani nella traduzione di Barbara Delfino. Nel 2008 grazie a I vagabondi vinse il premio Nike, uno dei più importanti premi letterari polacchi; nel 2018 aveva vinto, sempre per lo stesso libro, il Man Booker International Prize, l’importante premio letterario dedicato alla narrativa tradotta in inglese nel Regno Unito.
I vagabondi rientra in un genere narrativo reso famoso dallo scrittore tedesco W. G. Sebald, dove decine e decine di storie, aneddoti e divagazioni sono tenuti insieme dalla voce dell’autore, che narra un viaggio o qualcosa che gli è capitato in prima persona: su questa storia si puntellano e si diramano tutte le altre. I vagabondi si apre con la confidenza dell’autrice che da sin piccola desiderava essere una barca in viaggio sul fiume Oder, e si trasforma in una voce che racconta della sorella di Chopin che portò il suo cuore del musicista da Parigi a Varsavia, dell’anatomista olandese che scoprì il tendine di Achille, del bambino nigeriano esposto alla corte imperiale d’Austria e poi, dopo la morte, impagliato. Se ancora non vi è venuta la curiosità di leggerlo, inizia così.
***
Sono una bambina. Sto seduta sul davanzale circondata da giocattoli buttati sul pavimento, torri di cubi crollate, bambole con occhi sbarrati. La casa è in penombra, l’aria nelle stanze pian piano si raffredda e si fa sempre più buio. Qui non c’è più nessuno; sono usciti tutti, spariti, si sentono ancora le loro voci affievolirsi, lo strascichio dei loro piedi, l’eco dei passi e le risate in lontananza. Fuori dalla finestra i cortili sono vuoti. L’oscurità scende con dolcezza adagiandosi su tutto come rugiada nera.
La cosa peggiore è l’immobilità: densa e visibile nell’aria fredda del crepuscolo e nelle luci flebili delle lampade al sodio che, ad appena un metro di distanza, si insabbiano nel buio.
Non succede nulla, la marcia dell’oscurità si ferma davanti alla porta di casa, tutto il frastuono si placa e crea una pellicola spessa come quella sul latte che si raffredda. I contorni degli edifici sullo sfondo del cielo si estendono all’infinito, perdono lentamente gli angoli acuti, le sporgenze, gli spigoli. La luce che svanisce porta via l’aria, non ne rimane più da respirare. L’oscurità ora mi penetra nella pelle. Tutti i suoni si sono ritirati su se stessi, come gli occhi delle lumache; l’orchestra del mondo se n’è andata ed è svanita nel parco.
Quella sera ho scoperto per caso il limite del mondo, giocando, senza volerlo. E l’ho scoperto perché per un attimo mi hanno lasciato sola, incustodita. Naturalmente mi sono ritrovata in trappola, bloccata. Sono una bambina, sto seduta sul davanzale e guardo il cortile freddo. Le luci della mensa scolastica sono già spente, se ne sono andati tutti. Le lastre di cemento del cortile si sono impregnate di oscurità e sono scomparse. Le porte sono tutte chiuse, le serrande abbassate e le tende tirate. Vorrei uscire ma non saprei dove andare. Solo la mia presenza assume contorni netti che tremano e fluttuano, e mi fa male. In un attimo scopro la verità: non c’è più nulla da fare, io sono qui.
Bompiani, 2019
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