Il regista tedesco Wim Wenders ci ha regalato un’occasione che vi consiglierei di non perdere: conoscere la storia del fotografo brasiliano Sebastião Salgado. Il documentario si chiama Il sale della Terra ed è diretto insieme al figlio del protagonista, Juliano Ribeiro Salgado. Il titolo è chiaro sin da subito: sono gli uomini il sale della Terra, ed è solo la prima di diverse riflessioni antropologiche.
«Alcuni mi considerano un fotogiornalista. Non è vero. Altri, invece, un militante. Nemmeno questo è vero. La sola cosa vera è che la fotografia è la mia vita. […] Scatto immagini in funzione di me stesso, di quello che mi passa per la testa, di ciò che sto vivendo e pensando. E me ne assumo la responsabilità.»
Nato in Brasile nel 1944, Salgado studia economia e statistica, ma presto decide che il suo mestiere è un altro. Si trasferisce a Parigi insieme alla moglie Lelia per iniziare una carriera che diverrà di un bianco e nero brillante. Dal Brasile alla Francia esplorano la conoscenza della solidarietà tra le persone. Lui non si ferma nella Ville Lumiére, continua a viaggiare alla scoperta della natura umana in tutte le sue forme, e la definisce in immagini straordinarie che raccontano storie, mentre sua moglie ne cura l’esposizione al pubblico.
Sebastião considera l’Africa una seconda casa, documenta con scatti brutali ma importanti il genocidio del Ruanda, studia a lungo antiche tribù dell’America Latina. È incredibile quanto siano varie le capacità dell’uomo e altrettanto incredibile è la capacità del fotografo brasiliano di immortalarle. Si dedica a un progetto grandioso, Genesi − in esposizione purtroppo solo fino allo scorso 2 novembre al Palazzo della Ragione a Milano − , in cui indaga l’origine della Terra nei posti inesplorati del mondo, dall’Antartide al cuore dell’Africa e scrive Dalla mia Terra alla Terra (ed. Contrasto, 2014).
Guardando il film può essere che vi capiti di domandarvi se mai vi succederà di sentirvi toccare il piede e accorgervi che si tratta di un leone marino, oppure di incontrare una tartaruga alle Galapagos e chiedervi se è la stessa che ha visto Charles Darwin. Certe foto vi faranno pensare all’immensità dell’umanità e altre alla meraviglia del Pianeta. Sarete incantati dal progetto dell’Instituto Terra, grazie al quale scoprirete che è possibile ricostituire una foresta Atlantica in un posto che sembrava essere ormai un deserto, e che i primi a esserne felici sono gli animali che la popolano. Se gli uomini sono il sale della Terra è nella natura che c’è ancora possibilità di
Simonetta Sandri GENESI DI SEBASTIÃO SALGADO: INNO ALLA NATURA E AL MONDO
Pubblicato il
Brasiliano, figlio di una terra spesso definita come un Paradiso per le sue immense, rigogliose e uniche bellezze naturali, Sebastião Salgado è oggi la vera essenza della fotografia.
Salgado rappresenta, insieme a Yannis Arthus Bertrand e Steve McCurry, l’autenticità dell’essenziale invisibile agli occhi. Il Piccolo Principe avrebbe avuto il mio stesso pensiero osservando le immagini di questi splendidi artisti, pur specificatamente diversi.
Se, come diceva il grande Henri Cartier-Bresson, “è un’illusione che le foto si facciano con la macchina…. si fanno con gli occhi, con il cuore, con la testa” e ed e’ vero quello che lo stesso ripeteva, ovvero che “le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento”, Salgado è l’anima di questa verità, anima dell’anima del mondo, anima che anima il mondo. Le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento. Tersicore potrebbe danzarvi intorno, in un magico circolo, insieme a Talia festosa o a qualche altra Musa curiosa. Questi attimi sono e diventano eterni negli scatti dell’artista brasiliano, nel suo bellissimo libro Genesi, scatti che sono stati in mostra all’imponente e candida Ara Pacis di Roma, nel settembre 2013, e che ho avuto la fortuna di ammirare. Da qui l’omonima esposizione aveva raggiunto le maggiori metropoli del mondo, dal 27 febbraio al 26 giugno 2016 è stata anche ospitata da Palazzo Ducale di Genova. Appena terminata, ma resta il libro, da sfogliare e ripercorrere. Non era un caso, forse, che, in Italia, fosse partita da Roma, la luminosa città eterna che ospita le origini, la nascita, la creazione, l’incipit di tutto. Roma che è un punto di partenza per tutti, crocevia della storia e della cultura mondiali. Seducente e esteticamente avvolgente.
Il mondo viene catturato, apertamente, furtivamente, con dedizione e rispetto. Le immagini sono un vero inno alla vita, alla Natura che sopravvive all’Uomo distruttore.
Nato da un’idea della moglie Lélia, fedele compagna, musa e curatrice di ogni grande mostra dell’artista, il progetto, iniziato nel 2004, è frutto di oltre 8 anni di lavoro e trenta reportage. La mostra romana era divisa in cinque parti, quasi il mondo fosse suddiviso in tali grandi aree: iniziando dal sud del Pianeta, l’Argentina, l’Antartico e le sue isole, vi è poi una sezione sulla cocente Africa ed una terza parte dedicata a un certo numero di isole definite “i santuari del pianeta” perché custodiscono una biodiversità particolare (come il Madagascar, la Papua Nuova Guinea e i territori degli Irian Jaya). Seguono poi l’emisfero nord del mondo, che comprende regioni fredde, incluso il Colorado, e la quinta ed ultima sezione, riservata alla viva e felice Amazzonia. Si percorrono l’Amazzonia del Brasile ma anche quella del Venezuela, con le sue magnifiche ed imponenti catene, e in Brasile vengono esposte anche la zona del Pantanal: un habitat di specie faunistiche molto differenziate e importanti.
Il pianeta fragile che ci circonda è rappresentato nella sua bellezza e spettacolarità, con un aperto e onesto invito a rispettarlo, proteggerlo, accarezzarlo, curarlo, recuperarlo, accompagnarlo con immensa cura ed attenzione. In una parola a salvarlo. «Genesi è un modo per dire soprattutto alle nuove generazioni che il Pianeta è ancora vivo e va preservato – ribadisce il fotografo. Abbiamo fatto una ricerca e abbiamo fatto una scoperta molto interessante: circa il 46% del mondo è ancora intatto, insieme possiamo continuare a fare in modo che questa bellezza non scompaia». Lui stesso definisce poi il progetto come «un tentativo di antropologia planetaria». Nato per documentare angoli del globo ancora non aggrediti dall’inquinamento e dall’economia selvaggia.
Attraverso paesaggi marini e terrestri, con immagini mozzafiato degni del più bel film muto in bianco e nero, con colonna sonora imperiosa, ci si sente – e si è – lontani dal mondo moderno e dai suoi ritmi frenetici e rumorosi, abbracciati teneramente solo alla Natura ed al suo silenzio originale. Calma e impeto allo stesso tempo. Una natura degna di un autentico Sturm und Drang, dolce utopia, titanicamente goethiana. Solo da amare.
Fotografo di uomini, basti pensare allo splendido Migrations, che ho avuto visto as Parigi nel 2000, Salgado fotografa oggi, in questa mostra, per la prima volta, altri esseri viventi, desideroso di salvaguardare un mondo di foreste savane e deserti, spesso in pericolo per incoscienza e noncuranza dell’essere pensante. Un incanto lirico e potente, in equilibrio. Allora Salgado aveva contenuto in 300 fotografie e sette anni di lavoro i racconti dei popoli migranti, dei loro travagli e delle loro speranze. Aveva ritratto con maestria un’umanità in movimento, costretta da guerre, discriminazioni razziali, carestie e miseria a lasciare i propri luoghi d’origine per inseguire vaghe speranze di sopravvivenza. Un viaggio a fianco dei nuovi emigranti e degli esuli, attraverso i continenti, dalla disperata e disperante situazione africana, agli aspetti e alle conseguenze del nuovo «urbanesimo», in Asia e in America Latina. Drammi e tragedie che Salgado presentava sempre con grande rispetto e sensibilità e con attenzione particolare alla salvaguardia della dignità dell’individuo ed alla sua sofferenza.
Ascoltare gli sguardi di allora equivale ad ascoltare i suoni ed i rumori della Genesi di oggi. Rispettare quelle grida speranzose e quelle fughe rocambolesche di allora, equivale a rispettare la voglia di equilibrio, di rispetto e di rinascita della Genesi di oggi. Un invito a tutti a ritrovare l’equilibrio delle origini, le nostre e le vostre, quelle dell’intera umanità.
Kapucinski pensava che “un viaggio non inizia nel momento in cui partiamo né finisce nel momento in cui raggiungiamo la meta. in realtà, comincia molto prima e non finisce mai, dato che il nastro dei ricordi continua a scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati. È il virus del viaggio, malattia sostanzialmente incurabile”. Con Salgado abbiamo preso anche noi questo virus, abbiamo percorso i ricordi di un artista che li ha fermati in immagini ma che non per questo non ci incita a non continuare il viaggio. Perché ogni viaggio ci insegna a rispettare e ad amare storie e sentimenti legati alle meraviglie della Natura che ci circonda, alla ricerca del Paradiso perduto. Seguendo il detto prezioso e saggio dei nostri avi, Festina Lente.