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sabato 28 giugno 2025

Matrimonio Bezos-Sánchez: tutti gli outfit degli ospiti alla cerimonia

Jeff Bezos e Lauren Sanchez

Matrimonio Bezos-Sánchez: tutti gli outfit degli ospiti alla cerimonia

Dal total black di Vittoria Ceretti alle piume di Khloe Kardashian. Ecco tutti i look degli invitati alle nozze più attese dell'anno

giovedì 22 agosto 2024

Nocturnal Animals / Interessante, avvincente, raffinato e credibile






Amy Adams in una scena di "Nocturnal Animals" di Tom Ford

Nocturnal Animals

La 73ma Mostra del Cinema di Venezia

8 SETTEMBRE 2016, 


“Interessante, avvincente, raffinato e credibile. Peccato lo scivolone nella scelta del finale”. “Ma è così nel libro di Austin Wright Tony and Susan da cui è tratto il film”. “Che importa, un libro dà l’ispirazione, ma nulla vieta allo sceneggiatore - che in questo film è tutt’uno col regista - di fare i suoi cambiamenti”. Dialogo con Tom Ford che non ha mutato né la sua né la mia posizione. Sicuramente il finale dividerà il pubblico, che lo può vedere in sala dal 17 novembre.

Jake  Gillenhaal e Amy Adams durante la premiazione


Il film comincia con le immagini di una performance, ideata dalla gallerista Susan (la talentuosa Amy Adams), che cinicamente mette in mostra montagne di carne traballante di alcune anziane che furono avvenenti majorettes in gioventù, ottenendo uno strepitoso successo di un pubblico che anela ad essere soprattutto scosso, più che messo a confronto con la creatività. Il mattino dopo la vediamo, dopo una notte insonne, a misconoscere il suo lavoro, sfogandosi inascoltata con il secondo marito, giovane, bello e traditore (Armie Hammer). Un preambolo che descrive la sua attuale vita, lussuosa ma senza soddisfazioni né affetti, in una casa algida come la galleria che lei ha scelto di dirigere, non avendo il coraggio di coltivare una creatività propria. 


Amy Adam’s


A questo punto, preparandosi a un week-end solitario, riceve un libro, a lei dedicato dal primo marito Tony (Jake Gillenhaal), uno scrittore che ha cacciato dalla sua vita dopo due anni di matrimonio, benché fosse ancora innamorato di lei, accusandolo di essere un debole. Sono passati 17 anni, e Tony ha sviluppato una capacità narrativa, forse proprio per elaborare il dolore della separazione, attraverso un thriller a forti tinte, che noi vediamo, appena Susan si immerge nella lettura, come film parallelo, sapientemente costruito da questo regista che sa anche fare uso dello stile, ottenuto lavorando nel mondo della moda, e dove, rispetto alla violenza di alcuni personaggi, Tony appare tutt’altro che un debole. Particolarmente riuscito l’imprevedibile Ray (Aaron Taylor-Johnson), che innalza la suspence di certe scene, divenendo, nelle abili mani del regista, un personaggio con livelli di sadismo non comuni.


Jake Gillenhaal


La lettura fa rivivere a Susan ricordi di una relazione che le appare più valida di quella che si trova a vivere nel presente. “Tieniti stretto chi significa qualcosa per te…” vuole essere il messaggio di Tom Ford con questo film. Sicuramente la protagonista è colpita dalla capacità di scrivere che la forza del racconto rivela, e forse rinasce in lei il desiderio di incontrare nuovamente Tony. Non ci è dato sapere che iniziativa prenderà a seguito della lettura del libro. Tony la anticipa con una mossa meschina che lo fa apparire, questa sì, un uomo debole. Diciassette anni non sono bastati per elaborare la separazione?


MEER




mercoledì 3 aprile 2019

Sguardo di donna / 25 autrici, 25 storie


Shirin Neshat, Faceless, from Women of Allah Series, 1994


Sguardo di donna

25 autrici, 25 storie
10 set — 8 dic 2015 presso la Casa dei Tre Oci a Venezia, Italia
27 NOVEMBRE 2017

La Casa dei Tre Oci a Venezia presenta la mostra Sguardo di donna a cura di Francesca Alfano Miglietti: trecento opere pensate e scelte per orientare lo sguardo e la mente verso un mondo che parla di diversità, responsabilità, compassione e giustizia. Un progetto ambizioso che rimarca come la fotografia negli ultimi decenni abbia scelto di divenire una sorta di coscienza del mondo, facendosi testimone anche di quello che spesso viene occultato.
Catherine Opie, Ron Athey, 1994

25 autrici, 25 storie, 25 sguardi singolari sul mondo, sull’altro, sulla relazione: Diane Arbus, Martina Bacigalupo, Yael Bartana, Letizia Battaglia, Margaret Bourke-White, Sophie Calle, Lisetta Carmi, Tacita Dean, Lucinda Devlin, Donna Ferrato, Giorgia Fiorio, Nan Goldin, Roni Horn, Zanele Muholi, Shirin Neshat, Yoko Ono, Catherine Opie, Bettina Rheims, Tracey Rose, Martha Rosler, Chiara Samugheo, Alessandra Sanguinetti, Sam Taylor Johnson, Donata Wenders, Yelena Yemchuk.
Bettina Rheims, Valentin P. III, giugno 2011, Paris

Antonio Marras firma l’allestimento con una scenografia capace di trasportare il visitatore all’interno delle storie che si leggono sulle pareti: un’esperienza nell’esperienza, in cui anche l’allestimento diventa parte fondamentale della narrazione e crea la relazione tra gli spazi della Casa e le opere fotografiche.


martedì 2 aprile 2019

Ferdinando Scianna / Street Photography

Ferdinando Scianna, Il sapore visivo della tradizione nell’immagine di un uomo che attraversa il Ghetto


Ferdinando Scianna

Street Photography

26 ago 2016 — 8 gen 2017 presso la Casa dei Tre Oci a Venezia, Italia
27 NOVEMBRE 2017

Due progetti espositivi autonomi presentano, da un lato, 100 immagini di René Burri dedicate all’architettura e ai suoi protagonisti, dall’altro, 50 scatti inediti di Ferdinando Scianna in occasione dei 500 anni dalla fondazione del Ghetto ebraico a Venezia.
Ferdinando Scianna, Preghiera del mattino nel Midrash Luzzatto dentro la sinagoga Levantina

Dopo il successo della mostra Helmut Newton. Fotografie, la Casa dei Tre Oci di Venezia riprende il proprio programma espositivo con due proposte dedicate ad altrettanti maestri della storia della fotografia: René Burri e Ferdinando Scianna.
Dal 26 agosto 2016 all’8 gennaio 2017, le sale dello spazio veneziano sull’isola della Giudecca si apriranno alle rassegne “René Burri. Utopia”, organizzata da Magnum Photos in collaborazione con la Casa dei Tre Oci, e curata da Michael Koetzle, e “Ferdinando Scianna. Il Ghetto di Venezia 500 anni dopo”, curata da Denis Curti. La mostra dedicata a Ferdinando Scianna è frutto del lavoro fotografico realizzato su incarico di Fondazione di Venezia e realizzato appositamente per i Tre Oci in occasione del Cinquecentenario della fondazione del Ghetto ebraico a Venezia.
Ferdinando Scianna, Signore vestite a festa per Shabbat

I due diversi progetti si snoderanno autonomamente seguendo un percorso coerente e lineare, che si svilupperà a partire dalle 100 opere di René Burri, distribuite tra pianterreno e piano nobile, e si concluderà al secondo piano, con le oltre 50 fotografie inedite di Ferdinando Scianna.
Entrambi membri della prestigiosa agenzia fotografica Magnum (l’uno dal 1959, l’altro dal 1989), Burri e Scianna appartengono, pur nella loro diversità, a quella categoria di autori che attraverso il mezzo fotografico esprime personali visioni, sia che si traducano nella passione di Burri di documentare grandi cambiamenti politici e sociali, sia che rispondano al tentativo, nel caso di Scianna, di carpire, all’interno del flusso caotico dell’esistenza, “istanti di senso e di forma”.

Ferdinando Scianna, Cena di Shabbat nella sede del gruppo Chabad-Lubavitch

Utopia di René Burri (Zurigo, 1933-2014) riunisce, per la prima volta, oltre 100 immagini del grande artista svizzero dedicate all’architettura, con scatti di famosi edifici e ritratti di architetti.
La fotografia di Burri nasce dal bisogno di raccontare i grandi processi di trasformazione e i cambiamenti storici, politici e culturali del Novecento con una forte attenzione verso alcuni personaggi (indimenticabili i suoi ritratti di Che Guevara e Pablo Picasso) che ne hanno fatto parte.
Ferdinando Scianna, Partecipanti alla cerimonia di Shabbat della Comunità Chabad-Lubavitch verso la cena sabbatica

Utopia - che si tiene in contemporanea con la Biennale di Architettura 2016 - s’inserisce all’interno di questa prospettiva, in quanto Burri concepisce l’architettura come una vera e propria operazione politica e sociale che veicola e impone una visione sul mondo, e che lo spinge a viaggiare tra Europa, Medio-Oriente, Asia e America latina sulle tracce dei grandi architetti del XX secolo, da Le Corbusier a Oscar Niemeyer, da Mario Botta a Renzo Piano, da Tadao Ando a Richard Meier.
Accanto ai loro ritratti e alle loro costruzioni, in Utopia si ritrovano anche le immagini di eventi storici particolarmente densi di contrasti e di speranze, come la caduta del muro di Berlino o le proteste di piazza Tienanmen a Pechino nella primavera del 1989.

Ferdinando Scianna, Preghiera del mattino nella sede del gruppo Chabad-Lubavitch / Morning prayer at the seat of the Chabad-Lubavitch movement

L’ultimo piano della Casa dei Tre Oci è dedicato all’opera di uno dei più importanti fotografi italiani, Ferdinando Scianna (Bagheria, 4 luglio 1943). In occasione dei 500 anni della nascita del Ghetto ebraico di Venezia (formatosi il 29 marzo 1516), la Fondazione di Venezia ha deciso di avviare una ricognizione fotografica con l’obiettivo di raccontare la dimensione contemporanea del Ghetto. Il progetto espositivo è realizzato da Civita Tre Venezie.
Scianna ha realizzato un reportage fotografico in pieno stile Street Photography, raccogliendo immagini inerenti la vita quotidiana del Ghetto, senza tralasciare ritratti, architetture, interni di case e luoghi di preghiera. Chiese, ristoranti, campi, gondole sono i soggetti che animano il panorama visivo del progetto. Da segnalare, in questa narrazione, la compresenza di una dimensione simbolica, storica, rituale, intrinsecamente connessa a luoghi e gesti, e una semplicità nella descrizione di un tempo presente e ordinario.

Ferdinando Scianna, Visitatori di una comunità ebraica americana attraversano il ponte del Ghetto Vecchio 

“Ferdinando Scianna – osserva il curatore Denis Curti – ha saputo costruire un racconto delicato […]. Ha dato forma a una memoria collettiva elevando e distinguendo singole storie: se ne avverte la bellezza e la solennità. […] Il dolore mai urlato dell’Olocausto. Le pietre d’inciampo e i segni di una vicenda destinata a restare indelebile. […] Dentro queste fotografie ci si orienta. I punti cardinali si fanno abbraccio e segnano le linee di una confidenza visiva capace di entrare nei confini dell’intimità dei molti ritratti che compongono il complesso mosaico di questa esperienza: è il linguaggio degli affetti, è la grammatica dei corpi”.
La mostra “Il Ghetto di Venezia 500 anni dopo” sarà accompagnata da un catalogo bilingue (italiano e inglese) Marsilio Editori, che presenta, tra gli altri, i testi di Donatella Calabi, Denis Curti, Paolo Gnignati e Ferdinando Scianna.



lunedì 1 aprile 2019

René Burri / Utopia


René Burri, Maarad Street. Beirut, Lebanon, 1991


René Burri

Utopia

100 immagini


26 ago 2016 — 8 gen 2017 presso la Casa dei Tre Oci a Venezia, Italia


27 NOVEMBRE 2017
Due progetti espositivi autonomi presentano, da un lato, 100 immagini di René Burri dedicate all’architettura e ai suoi protagonisti, dall’altro, 50 scatti inediti di Ferdinando Scianna in occasione dei 500 anni dalla fondazione del Ghetto ebraico a Venezia.

René Burri, Tiananmen Square, Beijing, China, 1989

Dopo il successo della mostra Helmut Newton. Fotografie, la Casa dei Tre Oci di Venezia riprende il proprio programma espositivo con due proposte dedicate ad altrettanti maestri della storia della fotografia: René Burri e Ferdinando Scianna.
Dal 26 agosto 2016 all’8 gennaio 2017, le sale dello spazio veneziano sull’isola della Giudecca si apriranno alle rassegne “René Burri. Utopia”, organizzata da Magnum Photos in collaborazione con la Casa dei Tre Oci, e curata da Michael Koetzle, e “Ferdinando Scianna. Il Ghetto di Venezia 500 anni dopo”, curata da Denis Curti. La mostra dedicata a Ferdinando Scianna è frutto del lavoro fotografico realizzato su incarico di Fondazione di Venezia e realizzato appositamente per i Tre Oci in occasione del Cinquecentenario della fondazione del Ghetto ebraico a Venezia.

René Burri, Sao Paulo, Brazil, 1960

I due diversi progetti si snoderanno autonomamente seguendo un percorso coerente e lineare, che si svilupperà a partire dalle 100 opere di René Burri, distribuite tra pianterreno e piano nobile, e si concluderà al secondo piano, con le oltre 50 fotografie inedite di Ferdinando Scianna.
Entrambi membri della prestigiosa agenzia fotografica Magnum (l’uno dal 1959, l’altro dal 1989), Burri e Scianna appartengono, pur nella loro diversità, a quella categoria di autori che attraverso il mezzo fotografico esprime personali visioni, sia che si traducano nella passione di Burri di documentare grandi cambiamenti politici e sociali, sia che rispondano al tentativo, nel caso di Scianna, di carpire, all’interno del flusso caotico dell’esistenza, “istanti di senso e di forma”.
René Burri, Los Angeles, California, USA, 1984

Utopia di René Burri (Zurigo, 1933-2014) riunisce, per la prima volta, oltre 100 immagini del grande artista svizzero dedicate all’architettura, con scatti di famosi edifici e ritratti di architetti.
La fotografia di Burri nasce dal bisogno di raccontare i grandi processi di trasformazione e i cambiamenti storici, politici e culturali del Novecento con una forte attenzione verso alcuni personaggi (indimenticabili i suoi ritratti di Che Guevara e Pablo Picasso) che ne hanno fatto parte.

René Burri,Le Corbusier and his "Modulor" in his office, 35 rue de Sèvres.
Paris, France, 1959

Utopia - che si tiene in contemporanea con la Biennale di Architettura 2016 - s’inserisce all’interno di questa prospettiva, in quanto Burri concepisce l’architettura come una vera e propria operazione politica e sociale che veicola e impone una visione sul mondo, e che lo spinge a viaggiare tra Europa, Medio-Oriente, Asia e America latina sulle tracce dei grandi architetti del XX secolo, da Le Corbusier a Oscar Niemeyer, da Mario Botta a Renzo Piano, da Tadao Ando a Richard Meier.
Accanto ai loro ritratti e alle loro costruzioni, in Utopia si ritrovano anche le immagini di eventi storici particolarmente densi di contrasti e di speranze, come la caduta del muro di Berlino o le proteste di piazza Tienanmen a Pechino nella primavera del 1989.

René Burri, A worker from Nordeste shows his family the new city on inauguration day.
In the background: the National Congress building by Oscar Niemeyer. Brasilia, Brazil, 1960

L’ultimo piano della Casa dei Tre Oci è dedicato all’opera di uno dei più importanti fotografi italiani, Ferdinando Scianna (Bagheria, 4 luglio 1943). In occasione dei 500 anni della nascita del Ghetto ebraico di Venezia (formatosi il 29 marzo 1516), la Fondazione di Venezia ha deciso di avviare una ricognizione fotografica con l’obiettivo di raccontare la dimensione contemporanea del Ghetto. Il progetto espositivo è realizzato da Civita Tre Venezie.
Scianna ha realizzato un reportage fotografico in pieno stile Street Photography, raccogliendo immagini inerenti la vita quotidiana del Ghetto, senza tralasciare ritratti, architetture, interni di case e luoghi di preghiera.
René Burri, Ministry of Health, planned by architect Oscar Niemeyer. Rio de Janeiro, Brazil, 1960

Chiese, ristoranti, campi, gondole sono i soggetti che animano il panorama visivo del progetto. Da segnalare, in questa narrazione, la compresenza di una dimensione simbolica, storica, rituale, intrinsecamente connessa a luoghi e gesti, e una semplicità nella descrizione di un tempo presente e ordinario.
“Ferdinando Scianna – osserva il curatore Denis Curti – ha saputo costruire un racconto delicato […]. Ha dato forma a una memoria collettiva elevando e distinguendo singole storie: se ne avverte la bellezza e la solennità. […] Il dolore mai urlato dell’Olocausto. Le pietre d’inciampo e i segni di una vicenda destinata a restare indelebile. […] Dentro queste fotografie ci si orienta. I punti cardinali si fanno abbraccio e segnano le linee di una confidenza visiva capace di entrare nei confini dell’intimità dei molti ritratti che compongono il complesso mosaico di questa esperienza: è il linguaggio degli affetti, è la grammatica dei corpi”.
La mostra “Il Ghetto di Venezia 500 anni dopo” sarà accompagnata da un catalogo bilingue (italiano e inglese) Marsilio Editori, che presenta, tra gli altri, i testi di Donatella Calabi, Denis Curti, Paolo Gnignati e Ferdinando Scianna.



mercoledì 20 marzo 2019

Werner Bischof / 250 immagini

Werner Bischof, Cambodia, 1952


Werner Bischof

250 immagini

22 set 2017 — 7 gen 2018 presso la Casa dei Tre Oci a Venezia, Italia


27 NOVEMBRE 2017
250 immagini del grande fotografo svizzero consentono di ripercorrere le storie e i viaggi di uno dei punti di riferimento dell'Agenzia magnum, fondata nel 1947 da Henri Cartier-Bresson e Robert Capa. Werner Bischof viaggiò negli angoli più remoti del mondo: dall’India al Giappone, dalla Corea all’Indocina fino ad arrivare a Panama, in Cile e in Perù. La mostra arriva in Italia in occasione delle celebrazioni dei 100 anni dalla nascita del fotografo e si compone di stampe vintage, memorie, documenti, lettere e pubblicazioni.
erner Bischof, Bonn, Germany, 1946

Per la prima volta sarà esposta una selezione di 20 fotografie inedite, dedicate all’Italia.
Dal 22 settembre 2017 al 7 gennaio 2018, Casa dei Tre Oci di Venezia ospita una grande antologica dedicata a Werner Bischof (1916-1954), uno dei più importanti fotografi del Novecento, tra i fondatori dell’agenzia Magnum.
Werner Bischof, On the road to Cuzco, near Pisac. Peru, May 1954

La mostra, curata dal figlio Marco Bischof, organizzata da Fondazione di Venezia e Civita Tre Venezie, in collaborazione con Magnum Photos e con la Werner Bischof Estate, presenterà 250 fotografie, in larga parte vintage, tratte dai più importanti reportage di Werner Bischof, che consentiranno di ripercorrere i lunghi viaggi che portarono l’artista svizzero negli angoli più remoti del mondo, dall’India al Giappone, dalla Corea all’Indocina fino ad arrivare a Panama, in Cile ed in Perù.
Per la prima volta, sarà esposta una selezione di 20 fotografie in bianco e nero inedite che hanno nell’Italia il suo soggetto privilegiato. In essa si coglie l’originalità dello scatto che rivela l’occhio ‘neorealista’ di Werner Bischof.
Werner Bischof, Courtyard of the Meiji shrine, Tokyo, Japan, 1951

Il percorso espositivo trasporterà il visitatore nell’età dell’oro del fotogiornalismo, conducendolo sulle tracce di Werner Bischof.
Sarà un itinerario che, partendo dall’Europa, appena uscita devastata dalla seconda guerra mondiale, giungerà in India dove ci si troverà di fronte a un paese attanagliato dalla povertà e dalla miseria, ma in cui si iniziano a intravvedere gli sviluppi industriali che la porteranno a essere uno delle nazioni leader del nuovo millennio.
Quindi, il confronto spietato tra gli elementi della cultura tradizionale giapponese e il dramma della guerra di Corea introdurrà all’analisi del continente americano.

Il viaggio di Bischof, infatti, proseguirà nelle città statunitensi, di cui coglierà lo sviluppo metropolitano, anche con una serie di fotografie a colori, e si chiuderà idealmente tra i villaggi del Perù e sulle cime andine dove trovò la morte.
Bischof, considerato uno dei migliori fotogiornalisti, non si limitò a documentare la realtà con il suo obiettivo, quanto si fermò a riflettere di fronte ai soggetti, cercando di raccontare quelle dicotomie tra sviluppo industriale e povertà, tra business e spiritualità, tra modernità e tradizione.

Non mancherà una sezione dedicata alle fotografie di paesaggio e di natura morta, realizzate in Svizzera, tra la metà degli anni trenta e quaranta del Novecento.

WSI



domenica 17 marzo 2019

Letizia Battaglia / Una delle protagoniste più significative della fotografia italiana


Letizia Battaglia, Palermo, vicino la Chiesa di Santa Chiara. Il gioco dei killer 1982


Letizia Battaglia

Una delle protagoniste più significative della fotografia italiana


20 mar — 18 ago 2019 presso la Casa dei Tre Oci a Venezia, Italia

9 FEBBRAIO 2019

Dal 20 marzo al 18 agosto 2019, la Casa dei Tre Oci di Venezia inaugura una grande mostra di Letizia Battaglia (Palermo, 1935), una delle protagoniste più significative della fotografia italiana, con una grande antologica che ne ripercorre l’intera carriera.
La mostra, curata da Francesca Alfano Miglietti, organizzata da Civita Tre Venezie, in collaborazione con l’Archivio Letizia Battaglia, con la partecipazione della Fondazione di Venezia, presenta 200 immagini, molte delle quali inedite, che rivelano il contesto sociale e politico nel quale sono state scattate.
Letizia Battaglia, Franca Rame alla Palazzina Liberty, Milano, 1974

Il percorso espositivo, ordinato tematicamente, si focalizza su quegli argomenti che hanno costruito la cifra espressiva più caratteristica di Letizia Battaglia, che l’ha portata a fare una profonda e continua critica sociale, evitando i luoghi comuni e mettendo in discussione i presupposti visivi della cultura contemporanea.
I ritratti di donne, di uomini o di animali, o di bimbi, sono solo alcuni capitoli che compongono la rassegna; a questi si aggiungono quelli sulle città come Palermo, e quindi sulla politica, sulla vita, sulla morte, sull'amore.
Quello che ne risulta è il vero ritratto di Letizia Battaglia, una intellettuale controcorrente, ma anche una fotografa poetica e politica, una donna che si è interessata di ciò che la circondava e di quello che, lontano da lei, la incuriosiva.

Letizia Battaglia, Lunedì di Pasquetta a Piano Battaglia, 1974

Come ha avuto modo di ricordare la stessa Battaglia, “La fotografia l'ho vissuta come documento, come interpretazione e come altro ancora [...]. L'ho vissuta come salvezza e come verità”.
“Quelle che il progetto della mostra si propone di esporre – ricorda Francesca Alfano Miglietti, del percorso di Letizia Battaglia, sono ‘forme d’attenzione’: qualcosa che viene prima ancora delle sue fotografie, perché Letizia Battaglia si è interrogata su tutto ciò che cadeva sotto al suo sguardo, fosse un omicidio o un bambino, uno scorcio o un raduno, una persona oppure un cielo. Guardare è stata la sua attività principale, che si è ‘materializzata’ in straordinarie immagini”.
Conosciuta soprattutto per aver documentato con le sue fotografie quello che la mafia ha rappresentato per la sua città, dagli omicidi ai lutti, dagli intrighi politici alla lotta che s’identificava con le figure di Falcone e Borsellino, nel corso della sua carriera Letizia Battaglia ha raccontato anche la vita dei poveri e le rivolte delle piazze, tenendo sempre la città come spazio privilegiato per l’osservazione della realtà, oltre che del suo paesaggio urbano.

Letizia Battaglia, La bambina con il pallone, 1980

Letizia Battaglia ‘tratta’ il suo lavoro come un manifesto, esponendo le sue convinzioni in maniera diretta, vera, poetica e colta, rivoluzionando così il ruolo della fotografia di cronaca.
Impara la tecnica direttamente ‘in strada’, e le sue immagini si distinguono da subito per il tentativo di catturare una potente emozione e quasi sempre un sentimento di ‘pietas’.
I soggetti di Letizia, scelti non affatto casualmente, hanno tracciato un percorso finalizzato a rafforzare le proprie ideologie e convinzioni in merito alla società, all’impegno politico, alle realtà emarginate, alla violenza provocata dalle guerre di potere, all’emancipazione della donna.
Accompagna la mostra un catalogo Marsilio Editori.



martedì 15 agosto 2017

Peggy Guggenheim in Photographs

Peggy Guggenheim alla Biennale di Venezia, 1948
Ritratto di Dino Jarach

Peggy Guggenheim in Photographs

Una donna rivoluzionaria per la storia dell’arte del Novecento

26 AGOSTO 2016, 
ENRICO GUSELLA

È una mostra assai originale quella dedicata alla grande mecenate americana Peggy Guggenheim, che si svolge a Venezia sino al prossimo 27 novembre all'Ikona Gallery, storica galleria di Živa Kraus, nel Campo del Ghetto Nuovo di Venezia, in occasione del cinquecentenario della nascita dello stesso Ghetto di Venezia.
Peggy Guggenheim in Photographs, recita così il titolo della mostra promossa dalla Collezione Peggy Guggenheim e Ikona Venezia – Scuola Internazionale di Fotografia, che presenta una ventina di scatti, alcuni provenienti dagli archivi storici del museo veneziano, realizzati da grandi interpreti del Novecento. La rassegna immortala a più riprese e sotto prospettive diverse la storica collezionista americana - figura cardine nella storia dell’arte del XX secolo. Ritroviamo così gli scatti di Rogi André, Berenice Abbott, Roloff Beny, Gianni Berengo Gardin , Gisèle Freund, Dino Jarach, Ida Kar, George Karger, André Kertész, Hermann Landshoff, Man Ray, Robert E. Mates, Nino Migliori e Stefan Moses.

Peggy Guggenheim alla Biennale di Venezia, 1948
Ritratto di Dino Jarach

Ma per contestualizzare questa mostra giova ricordare il contesto in cui si svolge, ed è legato ai 500 anni dalla nascita del Ghetto di Venezia. La storia della famiglia Guggenheim, tra l'altro, è una storia di diaspora: ebrei, originari della Svizzera, di Aargau-er Surbtal, che emigrano nel 1847 in America. Qui nascerà Benjamin Guggenheim, fratello del celebre Solomon, e padre di Peggy. E anche Peggy vivrà un’esistenza segnata da un perpetuo spostamento, da un continuo viaggiare, tra America ed Europa, da Parigi, a Londra, a New York, a Venezia. Così le 21 immagini in mostra ripercorrono le tappe salienti di questa sua vita unica e straordinaria di donna determinata e collezionista lungimirante, sempre aperta al mondo, una donna rivoluzionaria che con le sue scelte ha lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte del Novecento.
La rassegna veneziana si apre con il ritratto di Man Ray (1890 – 1976) del 1925, in cui Peggy posa avvolta in un elegante abito di Paul Poiret, e nella quale lei guarda direttamente in camera, con complicità e sicurezza. Del 1927 è invece un'immagine di Berenice Abbott (1898 – 1991), che raffigura la mecenate nel pieno della sua giovinezza. E se la foto di Man Ray, dal retrogusto déco, indica la “provenienza” di Peggy, quella della Abbott definisce la mecenate americana. Ma a delineare “la gallerista” è Gisèle Freund (1908 – 2000) che la fotografa insieme al critico, amico e consigliere, Herbert Read nel suo appartamento a Londra, nel 1939. Alle loro spalle Il sole nel suo portagioie di Yves Tanguy, artista surrealista collezionato da Peggy.

Peggy Guggenheim a Palazzo Venier
Ritratto di Ida Kar

Da Londra a Parigi: ecco Peggy Guggnheim ritratta da Rogi André (1905 – 1970), in un vestito dal carattere “futurista” di Elsa Schiaparelli. A Marsiglia, allo scoppio della guerra, la collezionista americana sarà tra i sostenitori del Comitato di Liberazione Clandestino di Varian Fry, intellettuale e giornalista statunitense, che si prodigò verso per gli artisti, molti dei quali di origine ebraica, a fuggire in America. E lo scatto emblematico che testimonia la presenza di questi artisti europei a New York, molti dei quali amici di Peggy, è quello di Hermann Landshoff (1905 – 1986) del 1942 dove la collezionista è ritratta nel proprio appartamento newyorkese insieme a Leonora Carrington, Frederick Kiesler, Kurt Seligmann, Max Ernst, André Breton, Fernand Léger, Marcel Duchamp. E sempre di questo periodo sono le immagini, di Berenice Abbott, degli spazi di Art of This Century, la galleria-museo che Peggy apre nel 1942 a New York sulla 57° strada, creata dall'architetto di origini austriaco-rumeno Kiesler. È in questa sede che espone la sua collezione d’arte cubista, astratta e surrealista, e dove non manca di promuovere mostre temporanee dei più importanti artisti europei e di vari artisti americani che diventeranno di lì a poco i rappresentanti dell’Espressionismo astratto, quali Robert Motherwell, William Baziotes, Mark Rothko, David Hare, Richard Pousette-Dart, Robert De Niro Sr.,e Jackson Pollock a cui dedica la prima personale nel 1943.

Peggy Guggenheim a Parigi, 1940
Ritratto di Rogi André

Immancabile in mostra il celebre scatto di George Karger (1902-1973) con Peggy e Pollock nell’appartamento della mecenate davanti al monumentale Murale commissionato all’artista nel 1943 e oggi proprietà dell’University of Iowa Museum of Art. Ma il legame con l'Europa è forte, ed è del 1948 la sua partecipazione alla prima Biennale di Venezia del dopoguerra. Così la ritroviamo intenta ad allestire la sua collezione all’interno degli spazi del Padiglione Greco, e l’anno successivo (1949), una volta acquistato Palazzo Venier dei Leoni, presenta un'importante mostra di sculture. Memorabili, allora, sono alcuni suoi ritratti: nella versione raggiante con l’abito di Mariano Fortuny nella foto di Ida Kar (1908 – 1974) sulla terrazza Marino Marini, ma altrettanto celebri sono le immagini di due grandi autori italiani: Nino Migliori (1926) e Gianni Berengo Gardin (1930), nonché di Roloff Beny (1924 – 1984) che la ritrae insieme a Monument symbolisant la libération de l’esprit di Antoine Pevsner, presso il padiglione francese alla Biennale del 1958.
Ma la passione per l'arte proseguirà ininterrottamente nei decenni a seguire, e a Venezia, Peggy Guggenheim continuerà a collezionare opere, e a promuovere artisti quali Edmondo Bacci e Tancredi Parmeggiani, che ritroviamo in un prezioso scatto nel suo giardino veneziano.