MA GLI ANDROIDI SOGNANO PECORE ELETTRONICHE? – Saggio di Carlo Pagetti

LA VITA DEGLI ANDROIDI È SOGNO

di Carlo Pagetti
In un saggio più volte ristampato – ma apparso per la prima volta sul numero speciale che Science-Fiction Studies dedicò a Philip K. Dick nel 1975 – lo scrittore polacco Stanisław Lem definì Dick «un visionario tra i ciarlatani», un autore genuinamente ispirato che rimestava le sue pozioni magiche nel calderone ribollente di idee, fantasie, miti avveniristici in cui fermenta la fantascienza americana.
Visionario e ossessivamente preoccupato della propria esistenza inquieta e precaria – tanto da farne colare qualche densa goccia di sangue nella produzione fantascientifica, apparentemente così immune dalle tentazioni autobiografiche – Dick era consapevole degli strumenti espressivi a sua disposizione. Fin dagli anni Cinquanta, proprio mentre la science fiction stava mutando pelle e accentuando la sua vena anti-utopica, egli pubblica romanzi e racconti che esplorano criticamente l’universo instabile dell’immaginario scientifico e il suo impatto devastante sull’individuo, prigioniero di grandi poteri de-umanizzanti, che ‘storicamente’ coincidevano con l’entità politica Stati Uniti d’America, ma che abbracciavano una più vasta estensione metafisica. Torna alla mente, a questo proposito, il dialogo tra Amleto e i suoi falsi amici Rosencratz e Guildenstern nel secondo atto dello Hamlet shakespeariano, un’opera che Dick avrebbe esplicitamente utilizzato nel 1959 in Time Out of Joint, il ‘tempo fuor di sesto’: