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venerdì 10 dicembre 2021

Trovati scritti inediti di Andrea Camilleri in cantina, le figlie / “Un vero tesoro”


Andrea Camilleri


Trovati scritti inediti di Andrea Camilleri in cantina, le figlie: “Un vero tesoro”

Le figlie di Andrea Camilleri hanno trovato parecchio materiale inedito dello scrittore che confluiranno nel Fondo che aprirà in primavera.


A cura di Redazione Cultura
6 Dicembre 2021

Le figlie di Andrea Camilleri, Andreina e Mariolina, hanno ritrovato in garage e in cantina materiale inedito del padre, faldoni di materiale originale, foto di scena e tanto altro che confluirà nel "Fondo Camilleri" in costruzione, disegnato dall'architetto Simone di Benedetto. Scomparso nel luglio del 2019, Andrea Camilleri è stato uno degli scrittori italiani più venduti e soprattutto amati dal grande pubblico, grazie sicuramente alla creazione del Commissario Montalbano, ma anche per i tantissimi libri che andavano oltre quel personaggio. "Papà ci aveva chiesto di recuperare il suo materiale, ma la cosa che ci ha dato grande gioia è stato trovare tanti documenti, tanti scritti e di riuscire a raccontarglielo perché lui era ancora in vita quando abbiamo cominciato a trovare veramente un tesoro" hanno raccontato le figlie dello scrittore in esclusiva a RaiNews24.


Andrea Camilleri

Un tesoro che in questi due anni si è arricchito ulteriormente di materiali inediti che le figlie stanno raccogliendo e catalogando per il Fondo Camilleri che aprirà la primavera prossima per studiosi, appassionati e per le scuole, un modo in più per tenere viva l'attenzione sullo scrittore, anche oltre i suoi libri: "Un giorno gli abbiamo detto ‘papà abbiamo trovato Sweet Giorgia Brown' – raccontano le figlie di Camilleri – e lui ci disse ‘mamma mia avete trovato il mio primo tentativo di racconto', quindi lui era felice e questa cosa per noi è una gioia immensa ma anche una responsabilità grande".

Andreina e Mariolina raccontano, quindi, la gioia del padre nel ritrovarsi tra le mani quel materiale e sempre davanti alle telecamere di RaiNews24 hanno mostrato alcuni inediti come "i taccuini di un Andrea adolescente, alla fine degli anni '30, rilegati da lui stesso sugli stati d'animo e le agende con gli impegni" comprese le prime poesie che ebbero i complimenti di Elio Vittorini e "il documento originale di una vera richiesta per la concessione di una linea telefonica che diventerà la storia di un romanzo di documenti". Le figlie dello scrittore hanno anche raccontato alcuni aneddoti, come quella su "Giudizio a mezzanotte" che rilesse tornando da un premio e che non piacendogli gettò dal finestrino: "In realtà noi ne abbiamo trovate cinque copie e abbiamo smentito papà".


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venerdì 15 gennaio 2021

Nell’ultimo libro di Montalbano il protagonista è Camilleri


Andrea Camilleri


I Migliori Libri

Niscire di scena

Nell’ultimo libro di Montalbano il protagonista è Camilleri

Dario Ronzoni
17 Juglio 2020

Con “Riccardino” si chiude il ciclo dei romanzi sul commissario. Scritto nel 2005, ripreso nel 2016, viene pubblicato a un anno dalla morte dello scrittore. Un testo più lungo del solito con un finale molto diverso dagli altri della serie


Così finisce un’avventura letteraria. A un anno dalla morte di Andrea Camilleri ecco che arriva “Riccardino”, l’ultimo romanzo del ciclo di Montalbano.

Dopo anni di segreti e misteri (si parlava anche di una cassaforte in cui erano sigillate le pagine), conditi con qualche allusione e mezze parole, viene svelato al pubblico.

Quasi 300 pagine (più del solito) in cui i più affezionati potranno ritrovare, per l’ultima volta, gli elementi tipici del mondo “Montalbano”: la vita in commissariato, i litigi con l’eterna fidanzata Livia, il risveglio mattutino in apertura, qualche riferimento culinario (meno, in realtà) e la classica ammazzatina con cui si avvia la macchina dell’indagine.

Inutile dire che, stavolta, le cose non andranno come sempre. Non a caso è il romanzo finale, anche se a livello cronologico non è l’ultimo.Scritto nel 2005, conservato per essere pubblicato al termine del ciclo, viene seguito nel tempo da altri 18 libri (tra Montalbani e opere storiche), per essere poi ripescato e riscritto nel 2016 per riformare la veste linguistica (mentre a livello di trama «è rimasto immutato», Camilleri dixit).

Per i precisini, allora, l’ultimo autentico Montalbano sarebbe “Il metodo Catalanotti”, del 2018 (vera e propria ode, anche se un filo sinistra, del mondo del teatro), dal momento che “Il cuoco dell’Alcyon”, uscito nel 2019, altro non è che la riscrittura montalbanizzata di una vecchia sceneggiatura per un film mai fatto. “Riccardino” è il finale voluto dall’autore. E la sua presenza si avverte davvero.

Perché in “Riccardino” la trama avanza a fatica. Il commissario appare incerto, i passaggi non sono mai nitidi, i dettagli appesantiscono, anche a causa di qualche anacronismo (i numeri di telefono composti in modo sbagliato, gli squillini, i fax, le battute su Berlusconi). È una confusione.

Per questo motivo si sente costretto a intervenire di pirsona pirsonalmente l’Autore, cioè Camilleri stesso: rompe ogni convenzione del romanzo, si cala nell’opera e dialoga con il suo personaggio. È una soluzione pirandelliana (lo dice lui stesso), meta-narrativa, in cui lo svelamento definitivo della finzione diventa a sua volta finzione (ma queste sono derive da critici).

Il punto è che Camilleri, per dirla con un politico che non amava, scende in campo. Lui e Montalbano si trovano a discutere della trama stessa, delle possibili strade che può intraprendere, delle soluzioni. Emerge il confronto tra romanzo e fiction, tra “Montalbano quello vero” e “Montalbano della tivù”, cioè Luca Zingaretti, anche lui trascinato nel discorso, fino ad affrontare il fatto che l’Autore si è stancato, e il personaggio ne soffre.

Per la verità, non è la prima volta che Camilleri si concede queste trovate. Già in “La danza del gabbiano”, del 2009, fa accennare al commissario alle riprese televisive della serie (una rottura di cabasisi, per lui). Si diverte, poi in un dialogo surreale con Livia, a fargli storpiare in “Zingarelli” il nome dell’attore. Stavolta è diverso, ma non si dirà di più.

Basterà notare che, oltre al gioco meta-narrativo, l’apparizione dell’Autore (con la sua voce arrocchita, le sue sigarette) permette a Camilleri di togliersi qualche sassolino e punzecchiare i critici.

Queste sono alcune delle battute: « “Bel duello, commissario. Però finiamola qua, io non posso sfoggiare molta cultura, sono considerato uno scrittore di genere. Anzi, di genere di consumo. Tant’è vero che i miei libri si vendono macari nei supermercati”», ironizza il Camilleri-personaggio.

«“E proprio tu ragioni in questo modo? Per te contano solo i numeri, le tirature, l’auditel? Non hanno torto allora quelli che sui giornali scrivono che tu non se manco uno scrittore di genere, ma un prodotto mediatico”. “Ma tu lo sai quanti, tra quelli che m’accusano di essere un prodotto mediatico – il che non è assolutamente vero, io semmai sono il risultato di un passaparola tra i lettori – vorrebbero disperatamente esserlo? Hai presente la storia della volpe e l’uva?”»,

Con questi continui battibecchi, tornare al racconto dell’indagine diventa sempre più difficile. Anche questo è voluto: “Riccardino”, più che un romanzo di chiusura, è la presentazione dei componenti della band alla fine del concerto, l’esposizione dei trucchi del mestiere («“E poi facciamo dire a Fazio che in gioventù era campione di motocross”»), con cui il prestigiatore ha intrattenuto, per anni, gli spettatori.

Contiene il disvelamento dei meccanismi segreti, mostra i fili che tiravano i burattini. È il saluto finale, insomma, dell’Autore-regista-ideatore che, in mezzo agli applausi, si prepara a lasciare la scena.


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martedì 26 novembre 2019

Andrea Camilleri raccontato dalla stampa straniera


Andrea Camilleri


Andrea Camilleri raccontato dalla stampa straniera 

Il successo arrivò negli anni novanta con la serie di gialli che ha per protagonista il commissario Montalbano. Da allora Camilleri ha pubblicato più di cento libri, venduto trenta milioni di copie, ricevuto nove lauree honoris causa e rilasciato centinaia di interviste.
Una delle ultime è stata quella con Jérôme Gautheret di Le Monde, fatta poche settimane prima del ricovero dello scrittore in un ospedale a Roma.
Le Monde
Al giornalista francese, Camilleri racconta di essere cresciuto a Porto Empedocle, “un piccolo paese di pescatori”, e di aver amato il mare: “D’estate vivevo sulla spiaggia. Ho una cultura di uomo di mare e di contadino”.
Trasferitosi a Roma nel 1949 “la prima volta ho fatto il possibile per tornare in Sicilia. Poi, lentamente, la famiglia e la vecchiaia mi hanno fatto tornare solo una volta all’anno. Vado a respirare l’aria del porto, i profumi della campagna, ma alla mia età i miei amici non ci sono più”.
Tra gli scrittori che ha amato cita Sciascia, Pirandello, Malraux (“La condizione umana mi ha cambiato la vita”) Simenon, Faulkner, Joyce, Gide, Bernanos. “Non Proust: lo trovo un po’ difficile. E poi, naturalmente, ci sono i poeti: Mallarmé, Lautréamont (…) Per non parlare del teatro. Molière, che genio!”.
Quando Gautheret gli chiede dell’Italia di oggi, Camilleri dice che “la grande maggioranza degli italiani ha adorato Mussolini e questo desiderio di obbedienza non è mai scomparso. Abbiamo una certa inclinazione alla schiavitù… Salvini fa la voce grossa e tutti lo seguono. Ci piace molto non pensare, chiedere agli altri di farlo per noi”.
The Guardian
Nel suo necrologio sul quotidiano britannico The Guardian ricorda che Camilleri non ha mai risparmiato interventi polemici sull’attualità nazionale e internazionale.
“Tra i suoi obiettivi ci sono stati Silvio Berlusconi e George W. Bush, con la mafia e il Vaticano sempre sullo sfondo”, scrive Alison Flood.
In un’intervista dell’aprile scorso al Guardian, il giornalista Lorenzo Tondo ricorda che “in un episodio recente della serie tv Il commissario Montalbano, un messaggio a favore dei migranti ha suscitato la rabbia dei sostenitori di Salvini”.
Tra le vicende dell’attualità, Camilleri si è occupato anche di mafia, ma con un approccio preciso: mai raccontare i boss in ruoli da protagonisti. Al Guardian lo scrittore ha spiegato come mai: “Non perché ne ho paura, ma credo che scriverne spesso li trasformi in eroi. Penso al Padrino, dove l’interpretazione superba di Marlon Brando ci distrae dal fatto che ha anche commesso degli omicidi. È un regalo che non voglio fare alla mafia”.
El País
Già da qualche anno Camilleri era diventato cieco, come ricorda Daniel Verdú sul País. Lo aveva annunciato lui stesso in una nota alla fine del romanzo L’altro capo del filo: “Scritto nella sopravvenuta cecità”.
“Le tenebre non possono essere combattute. Non c’è niente da fare. Bisogna affidarsi alla memoria”, aveva detto al País. Prima di perdere la vista, Camilleri aveva comunque scritto la fine del commissario Montalbano, il suo eroe più celebre, protagonista di una serie di libri tradotti in tutto il mondo.
“Quando ha compiuto ottant’anni”, scrive Verdú, “Andrea Camilleri ha pensato di aver già percorso una lunga strada e che forse la fine poteva trovarsi dietro l’angolo. Così ha scritto l’episodio finale della serie sul commissario Montalbano e lo ha inviato al suo editore”. Da allora Sellerio lo ha tenuto in cassaforte. L’accordo con Camilleri era che la pubblicazione sarebbe avvenuta solo dopo la morte dello scrittore.
Dal New York Times a Ekathimerini
Ricordi, necrologi e articoli su Camilleri sono stati pubblicati su molti altri giornali. Dallo statunitense New York Times alla polacca Gazeta Wyborcza, dal greco Ekathimerini all’argentino Clarín.




domenica 17 novembre 2019

Andrea Camilleri / Montalbano vuole uccidermi


Andrea Camilleri


Andrea Camilleri

Montalbano vuole uccidermi

Antonio Debenedetti


Stavolta non c'e' il commissario Montalbano e non c'e' la sua epoca. La mossa del cavallo e' un romanzo storico, ambientato nella Sicilia del 1877, spiega Andrea Camilleri, anticipando contenuti e temi del suo nuovo libro in uscita a meta' maggio da Rizzoli. 
La vicenda muovera', cosi' come si aspettano i lettori, da un delitto e fara' spazio ad un' inchiesta da seguire con il fiato in gola. 
"Ho potuto leggere, grazie alla solerzia d'un bibliotecario della Camera, gli appunti presi dal fiorentino Leopoldo Franchetti allorche' conduceva, insieme con Sidney Sonnino, una delle sue inchieste sulle condizione economiche-sociali del Mezzogiorno e in particolare della Sicilia. La mia attenzione e' stata attratta da una vicenda sconcertante, che anticipa e ricorda in qualche modo il caso Livatino. Il testimone d'un delitto, poche ore dopo aver reso la sua deposizione, viene arrestato e accusato proprio del crimine che ha denunciato. Il mio romanzo spiega, lavorando di fantasia, come il poveretto riesca a trarsi d'impaccio". 


L'intreccio poliziesco e la vicenda storica non sono mai stati separati, nei suoi romanzi, dalle osservazioni di costume. E' cosi' anche stavolta? 

"Nella Mossa del cavallo metto l'accento sul rovesciamento dei ruoli (il testimone che viene fatto passare per colpevole); insisto su un gioco delle parti che mi sembra sempre piu' consueto nell'Italia di oggi". 


Parliamo del protagonista. Chi e'? 

"Mi sono immaginato un siciliano che, rimasto orfano, viene condotto a Genova, in casa dei suoi zii. Cresce nella citta' ligure, imparando l'italiano e il dialetto locale. Piu' tardi, pero', quando dovra' lottare per affermare la propria innocenza recuperera', insieme con il siciliano, il modo di pensare e la mentalita' dei suoi padri. E questo lo aiutera' a vincere". 


I suoi numerosi lettori sanno quale importanza abbia per lei, anche nello scrivere le inchieste del commissario Montalbano, il linguaggio sempre molto elaborato e ricco di trovate. 

"Stavolta mi esprimo in un ibrido di italiano, genove e siciliano. A farmi da guida nel ligure, nei suoi labirinti, e' stato Silvio Riolfo. Un po' come Mario Dell'Arco, ma l'accostamento e' spropositato, ha fatto da guida a Gadda per il romanesco del Pasticciaccio". 


Non c'e' Montalbano. Lei prova dunque verso il commissario di Vigata lo stesso misto di affetto e di irriconoscente sazieta' che Simenon sentiva per Maigret? 

"Diciamo che i miei rapporti con Montalbano si fanno sempre piu' dialettici. Mi sono accorto che un personaggio seriale tende sempre e comunque a trasformarsi in un serial killer; che tenta in primo luogo di far fuori l'autore. Se non ci riesce cambia obbiettivo e uccide gli altri personaggi della storia. Ho parlato di tutto questo con un grande giallista sudamericano. Sa che cosa mi ha risposto? Il primo di noi che trova il modo di far sparire sensa danno un personaggio seriale, deve impegnarsi a comunicare la sua ricetta ai colleghi scrittori". 


Fino a tre o quattro anni fa il nome di Camilleri veniva trascurato persino dai Chi e' della letteratura. Adesso e' l'autore italiano piu' richiesto nelle librerie. Vogliamo quantificare questa domanda? 

"Nel 1997 ho venduto centosettantamila copie di tutti i miei romanzi pubblicati da Sellerio. L'anno successivo le copie sono diventate 859500. A queste bisogna aggiungere, sempre nel 1998, le 150 mila di Un mese con Montalbano edito da Mondadori. Mi creda se le dico che non so spiegarmi il perche' di tanto successo 


Una diomanda indiscreta, che siamo im molti a porci. Quanto le danno di anticipo per un romanzo? 

"Circa duecento milioni. Fino a tre anni fa Elvira Sellerio, con la quale continuero' a pubblicare vista l'amicizia che ci lega, mi offriva due milioni." 


Parliamo ancora del suo successo. Come lo sta vivendo? 

"A volte con qualcosa che somiglia all'imbarazzo. E' stato cosi, ad esempio, la scorsa estate quando sei miei titoli occupavano su un grande quotidiano l'intera classifica della narrativa italiana. Una mattina allorche' mia moglie si e' accorta che occupavo solo piu' quattro dei sei posti, abbiamo tirato un sospiro di sollievo". 


Lei e' ormai un uomo decisamente anziano, un nonno. Non le dispiace che il successo l'abbia raggiunto cosi tardi? 

"Non ho nessun rimpianto, in nessun senso. Le cose, ne sono convinto, avvengono sempre al momento giusto. A me il successo e' arrivato quando ero ormai in grado di non montarmi la testa. Eppoi mi fa piacere, adesso che sono pensionato, guadagnare del denaro. Mi sento piu' tranquilli, pensando soprattutto all'avvenire dei miei nipoti". 


E i suoi rapporti con il cinema e la televisione? 

"A fine aprile andranno in onda, sulle rete Rai, due film tratti rispettivamente dal Ladro di merendine e della Voce del violino . Li interpreta Luca Zingaretti che portera' successivamente sullo schermo altri due miei romanzi. Mi fa molto piacere, poi, che allo Stabile di Catania vada in scena una riduzione del Birraio di Preston." 


A Catania le hanno anche offerto la direzione artistica del teatro ... 

Mi e' stato impossibile accettare. ho gia' numerosi impegni". 


Chi l'ha scoperta come scrittore? 

"Niccolo' Gallo che tuttavia non fece in tempo a farmi pubblicare da Mondadori. E' stata poi la volta di Ruggero Jacobbi che ha passato un mio romanzo a Gina Lagorio. Debbo a Gina, al suo interessamento se sono uscito da Garzanti". 


Lei che afferma di aver vissuto come un sottomarino affondato in sostanziale solitudine e lontano dagli ambienti letterari, ha tuttavia letto molto. Quali sono stati gl iautori della sua vita? 

"Anzitutto Gogol, che e' stato il mio punto di riferimento come scrittore. Ho poi amato Gadda e Brancati, che contiua a piacermi moltissimo. Perche' non dirmi poi pirandelliano? C'e' Siascia, poi. Da lui tutto mi divide e a lui tutto mi unisce. E' grande, grandissimo. Quando mi sento le batterie scariche, rileggo Sciascia". 




sabato 16 novembre 2019

Andrea Camilleri / Lo confesso, il mio successo ha ammammaloccuto pure me

Andrea Camilleri

ANDREA CAMILLERI

Lo confesso, il mio successo ha ammammaloccuto pure me


Antonella Amendola
Oggi Feb 1999

"La fama che mi ha investito e le migliaia di copie vendute mi hanno lasciato stupefatto", dice lo scrittore, che nei suoi libri ha inventato un divertentissimo siciliano italianizzato - " Il segreto? Io non faccio letteratura, mi limito a inventare e raccontare storie.

Nello studiolo della casa borghese un pentolino su un fornelletto spande suffumigi di eucalipto e mentolo. Andrea Camilleri, che nonostante i 73 anni continua a fumare un numero incivile di sigarette, alza lentamente il capo dalle sudate carte, mentre con una mano scaccia i vapori. "Lo scrittore siciliano", dice, "s'arrifandia, cioe' si guarda intorno con sospetto prima di venire allo scoperto. E' come quello che naviga sotto il pelo dell'acqua, all'altezza del periscopio, e scruta prudentemente la riva, per decidere il tempo opportuno dello sbarco. Perche' scrivere un romanzo vuol dire mettere a nudo pensieri e sentimenti, e' uno rischio che ci si accolla, magari, con la saggezza dei 60 anni, dopo che un lavoro decente ti ha regalato la pensione". Sciascia prese, la penna quando lascio' l'insegnamento, Bufalino fu apprezzato con le tempie bianche, Tommasi di Lampedusa e' addirittura un caso folgorante di gloria postuma: il piu' delle volte la grande letteratura in Sicilia ha la magia di una fioritura a stagione avanzata. "Che fa danno", ridacchia Camilleri, ultima gemma imprevista che ha terremotato la quiete un po' paludata delle classifiche dei libri. Quest'estate ai primi sei posti dei best-seller della narrativa c'erano sei titoli dell'autore di Porto Empedocle, romanzi a sfondo storico e soprattutto inchieste del commissario Montalbano. "lo so, sono stato una specie di fenomeno, destinato e ridursi a proporzioni piu' accettabili", commenta lo scrittore". Attualmente i quattro libri in classifica mi danno la serena certezza che possono contare su uno zoccolo duro di lettori al di la' delle mode. Il successo, e' meraviglioso non infastidisce. Chi lo dice e' una ipocrita. Ma, alla mia eta', non mi cambia la vita. Se mi fosse capitato a 40 anni avrei potuto avere qualche alzata d'ingegno, magari mi sarei caliato, riscaldato. Ora e' tardi". Cosi Camilleri mi riceve nel salotto buono, in un appartamento fin troppo sobrio, dove niente ha alterato la tranquilla routine domestica. La moglie Rosetta sta appresso al piu' piccolo dei quattro nipoti, una nipote di 17 anni sta facendo una versione di latino. "A pensarci bene", sorride lo scrittore, "io ritengo il vero successo della mia vita l'aver messo su famiglia con una donna che dopo 40 anni risposerei e aver tirato avanti tre figle con un lavoro che mi piaceva. Io ogni santo giorno che entravo in via Teulada ero contento. La maggior parte della gente, invece, si danna con lavori ingrati". Uscito dall'Accademia di arte drammatica, dove aveva frequentato il corso per registi, entro' alla RAI e si e' distinto come produttore di popolarissime fiction (Il commissario Maigret e il tenente Sheridan), regista di sceneggiati trasmissioni radiofoniche e spettacoli teatrali. "Vivevo dignitosamente da pensionato RAI", prosegue, "senza eccessive preoccupazioni perche' mia moglie, che ha fatto la carriera dirigenziale all'Inam, gode di un buon vitalizio. Quand'ecco che i mie libri improvvisamente conquistano il consenso dei lettori attraverso il passaparola. Divento uno scrittore democraticamente eletto, nel senso che mi hanno incoronato quelli che comprano i libri. "Ne sono felice, perche' io non faccio letteratura pura: racconto storie, metto in piedi personaggi teatrali, a tutto tondo, che hanno bisogno di sentirsi la gente intorno. Lo sa che cosa m'inorgoglisce di questo successo? Che il mio editore, Elvira Sellerio, aveva difficolta' e io l'ho aiutata a superare il guado e magari, ho salvato qualche posto di lavoro. E poi ci sono quelli che ti scrivono ..." Prende un foglio, vergato da una grafia incerta. Legge ad alta voce: "Caro Camilleri, sono un malato terminale di cancro. La malattia e' giunta allo stadio piu' avanzato con metastasi diffuse. Per sopportare il dolore mi somministrano preparati a base di morfina. Sono ancora lucido e la ringrazio perche' i suoi libri mi hanno regalato qualche risata di gusto che nella mia condizione non potevo piu' sperare". Ripone con cura il foglio nella sua busta e tira un sospiro: "Sono un vecchio e queste cose mi commuovono. I lettori inseguono un dialogo ravvicinato m'interrogano. Ci sono donne siciliane che mi rimproverano: "Perche' Montalbano sta con una ligure? Non ci sono bedde picciotte da noi?". E io giu' a spiegare com'e' fatto il mio commissario che piace tanto ai poliziotti del Siulp. A tal punto che due anni fa mi hanno dato un premio a Bologna e io ho passato una giornata indimenticabile con loro, mentre la radio dell'auto gracchiava: "Volante uno a Volante due ..." e mi sembrava di stare in paradiso". Gia', com'e' fatto il segugio di Vigata (paese immaginario che ricalca Porto Empedocle)? Che pasta d'uomo e' questo quarantenne commissario Salvo Montalbano che entra in libreria per comprarsi l'ultimo romanzo di Vincenzo Consolo e che sul piccolo schermo avra' il volto di Luca Zingaretti? "Ha un carattere un po' difficile", risponde Camilleri. "Capita che molti siciliani abbiano caratteri difficili. E'ombroso, per esempio Troppe volte di mattina si alza nirbusu, irrascibile. Ma le sfuriate passano presto. E' un po' diffidente, avaro a concedere la sua fiducia, ma quando la concede e' una fiducia piena. Sa che cos'e' il senso della lealta' e, cosa inusitata, sa cos'e' l'onesta' verso se stessi e il prossimo. "Il commissario e; un single. Non credo saprebbe superare le difficolta' di ogni matrimonio e allora questi amori da week-end con Livia, la fidanzata che sta in Liguria, sono provvidenziali". A letto il commissario e' un santino: onestamente ci si aspetterebbe qualche frizzo in piu', che diamine, almeno un filino di trasgressione, un'ombra di tradimento. Ma non sara' che Camilleri, onesto [adre di famiglia, prova imbarazzo a intingere la penna nell'eros? "No, per carita'?", si difende. "Io mi diverto a sceneggiare certi siparietti piccanti e in "La stagione della caccia" il vecchio barone ne fa di cotte e di crude. Montalbano rimane, tutto sommato, un casto che pratica il sesso solo durante le visite di Livia, perche' la sua idea di amore non sa prescindere dalla donna che ama e stima, lui non saprebbe mentire per nascondere le scappatelle. "E poi, la vuol sapere la verita' santa? Io non sopporto quei detective americani che si pestano, fanno a botte tutto il giorno e poi la notte continuano il rodeo con una bionda. Montalbano, quando ha le ossa rotte per la fatica, sogna solo di coricarsi o, magari di farsi una chilata di sarde a beccafico. Che gliele metto in bocca quando viene l'acquolina a me che non posso piu' mangiare perche' a 73 anni mi sale la pressione ...". "Madame Bovary c'est moi!", sosteneva Flaubert: Camilleri si fa una bella risata e riconosce che, al di la delle abbuffate, Montalbano e' il suo specchio solo per il piacere della speculazione logica, della serrata deduzione investigativa, attivita' che esercita passeggiando in solitudine in riva al mare, mentre divora un cartoccio di semi. "Anch'io adoro camminare sulla battigia", conferma. "Ma sarebbe squallido andare a Fregene o a Ostia. Cosi' cerco i piu' bassi pretesti per fare una rimpatriata al mio paese. Anche se, nell'88, mi e' capitata un'avventura terribile". Si laza in piedi, mima la sena. "domenica di settembre, un caldo soffocante, alla sera rinfresca, la gente va a far due passi sulla strada principale, dove ci sono tre bar. A quel tempo mi piaceva il whisky, adesso ho smesso. Il primo bar e' chiuso: e' il locale dove in genere incontro un tizio che mi offre il primo giro. Tiro dritto e prendo la prima consumazione nell'esercizio seguente. Voglio ancora un goccetto, prima di cena, e mi affaccio al terzo bar. C'e' quel tizio: "Oggi mi ha tradito, ma la prego vorrei tanto presentarle mio padre"... "Fa il gesto di precedrmi verso un tavolo all'aperto quando, la' fuori, si scatena l'inferno: fiamme, vetri, sangue. Come nel bar di Vittoria. Hanno ammazzato sei persone e sei sono rimaste ferite. "'Ficino 'na bella muzziata", esclama un supersite alzandosi da terra. La muzziata da noi e' quel misto di pesce che quando chiude il mercato danno via a buon prezzo. "Voleva dire che ci sono andati di mezzo innocenti e malavitosi. Miravano proprio a quel conoscente cerimonioso, mi dissero poi; era un regolamento di conti tra stidda, nuova mafia, e vecchia mafia. La mafia e' molto cambiata, ha nuovi codici. Io non scriverei mai una cosa stile "Piovra". non mi va di stare a romanzare troppo i mafiosi, di farmi intrigare dalle loro personalita', che' e' sempre un modo di farsi sedurre. Dei mafiosi debbono occuparsi rigorosamente i tutori dell'ordine per sbatterli in gattabuia". E' quanto fa il nostro Salvo Montalbano, un commissario privilegiato che non ha sul collo il fiato di Pm e giudici invadenti, che vogliono diventare protagonisti a tutti costi, e che puo' contare anche sulla benevolenza di un questore amico che lo invita a mangiare i manicaretti preparati da sua moglie. "Sara' per questo che piace tanto a quelli della Siulp", spiega Camilleri. "Perche' oggi tanti poliziotti non vengono messi nella condizione di poter indagare. E poi, lui e' aiutato anche dalla simpatia e le sue avventure ti catturano perche' ogni tanto nella pagina semino qualche parola in dialetto che restituisce l'humus della mia Sicilia. "A proposito, ma lo sa che c'e' un vero commissario Montalbano nella mia isola? E' un bravissimo che ha catturato anche un latitante famoso, Tullio Mariano Troia. Apprendendo dai giornali che c'e' un tutore dell'ordine tutto d'un pezzo che ha voluto una carriera non facile. Prima o poi andro' a conoscere, anche se provo un po' d'imbarazzo perche' lui deve ave penato parecchio per fare il suo dovere, mentre io con un personaggio di carta sono diventato celebre e ho guadagnato soldi che mi faranno passare una vecchiaia serena e che tengo li' in banca, per un bisogno della famiglia". Lunga vita a Camilleri, lo scrittore amico che e' sceso dalla torre d'avorio e continua a creare, prendendo a prestesto una pagina di cronaca, un vecchio documento ("Non so dar vita a romanzi completamente di fantasia") in uno studiolo ingombro di carte con accanto la nipote che studia e la moglie che gli rilegge tutte le pagine ("Per sentire se il ritmo musicale regge"). Uno che abbiamo liberamente scelto di amare. 






venerdì 15 novembre 2019

Andrea Camilleri e il rumore della vita

Andrea Camilleri e il rumore della vita 

Una volta che abbiamo idealmente provato a portare Andrea Camilleri su un’isola deserta, costringendolo al gioco di indicare un libro, un film, una musica da portare con sé, si è sottratto per principio: “Finire su un’isola deserta non mi piacerebbe per niente. A me piace sentire la vita… In un’isola deserta neanche a peso d’oro”. Un’altra volta ha raccontato di quando si era rifugiato in una casa sul Monte Amiata perché si trovava circondato da ragazzini chiassosi mentre provava a lavorare: dopo qualche giorno se n’era tornato a Roma di corsa; lassù, nel silenzio, non era riuscito a scrivere neanche una riga.
In tutto quello che Camilleri scriveva c’era il rumore della vita. Quella che scorreva intorno a lui, oggetto di un’inesauribile curiosità. Quella che si agitava dentro di lui, depositata nella sua memoria. La prima sembrava non finire mai, ma era la seconda a crescere sempre più, giorno dopo giorno e anno dopo anno, via via che il fisico e poi i sensi si facevano più deboli. Ma la memoria che gli lasciava stampati in mente, indelebili, eventi e incontri, era in fondo figlia di una stessa inclinazione verso la vita, da attraversare intensamente, con cura e attenzione verso ogni suo momento. La sua fantasia e le sue storie nascevano così, con l’ammissione – sicuramente esagerata – di non saper inventare davvero nulla.
Ma da qui deriva anche la particolare umanità di Andrea Camilleri, quella che spiega ciò che sta accadendo in queste ore. Un’ondata di emozione e di affetti simile non può spiegarsi solo con il successo del più amato scrittore italiano: c’è qualcosa di più, un moto sentimentale e pubblico che riconosce in quella figura diventata così familiare una umanità larga, capace di accogliere (quasi) tutti. Tanto più sorprendente perché non nasceva da una forma di conformismo o di indulgenza verso i nostri connazionali come sono o dalla ricerca esasperata di consenso (verso cui il successo così tardivo lo rendeva se non immune particolarmente distante). E neanche da una proclamazione coerente di virtuosità ma semmai da una concezione così ampia di umanità da includere pacificamente qualche vizio (a cominciare – ma solo cominciare – dalle tante, troppe sigarette).
Colpisce che anche le più ferme e forti affermazioni politiche di Camilleri non hanno davvero diviso il suo pubblico – o l’hanno fatto in proporzioni del tutto diverse da quelle che oggi dividono politicamente gli italiani. Come se si riconoscesse un diritto particolare alla sua esperienza di uomo oltre che alla sua qualità di narratore. Mentre ogni pagina di Camilleri, almeno nel ciclo di Montalbano, sembrava conservare la leggerezza e il divertimento dell’investigazione, della lingua, della soluzione, ogni sua parola appariva distillata dal tempo. Nel senso della ricchezza più che in quello della saggezza, in una direzione che ormai non apparteneva più a nessuno ma coinvolgeva tutti (o quasi). Come se la sua autorità discendesse dalla sua capacità di adesione totale alla vita, con tutte le contraddizioni, i drammi, i piaceri inclusi – e dalla capacità di raccontarla. Così con Camilleri scompare un altro frammento del puzzle ormai rarefatto che teneva uniti gli italiani.

INTERNAZIONALE



martedì 23 luglio 2019

Lo scrittore d'emozione / Intervista ad Andrea Camilleri

Andrea Camilleri


Lo scrittore d'emozione

INTERVISTA AD ANDREA CAMILLERI 
DI CARLO LUCARELLI 

November 1998


Pagine intere sugli inserti culturali dei giornali che parlano di giallo, editor di prestigiose ed esclusive case editrici a caccia di giallisti, i primi posti della classifica, anzi tutta la classifica di narrativa italiana occupata da romanzi gialli, anzi: dai tuoi romanzi gialli... come la spieghi questa rapidissima affermazione del genere giallo o noir o come lo si voglia chiamare?
Come è successo, come è successo... senti, mi è capitato di rileggere un capitoletto di Gramsci sul romanzo poliziesco che dice che la coercizione dell'esistenza colpisce sempre di più le classi medie e intellettuali: c'è troppa avventurosità nella vita quotidiana, troppa precarietà nell'esistenza e quindi la ricerca dell'avventura bella e avvincente, ma anche predeterminata, che sai che c'è una soluzione, affascina. E' una cosa che in parte spiega il successo nostro... o anche di 007, se vuoi.
E' quello che dicono i sudamericani, Taibo e Sepùlveda, per esempio: il romanzo giallo come nuovo romanzo d'avventuraA questo proposito mi ricordo di averti sentito dire una cosa al primo Festival della Letteratura di Mantova, che i nemici della lettura sono: a) la televisione; b) il progresso della medicina. Per la televisione passi, ma per la medicina abbiamo pensato tutti aleè, si è preso un colpo di sole e invece spiegasti subito che quando non c'erano tutti i vaccini che ci sono adesso si passavano settimane a letto con le più svariate malattie infantili e si leggeva. Ovviamente era provocatorio, ma anche vero e io ho cercato di ricordarmi cosa leggevo quando avevo la febbre: Il barone rampante di Calvino, ma anche storie di pirati, di banditi...
E' su quelli che ci siamo formati... Ponson du Terraille , Rocambole, le dispense Nerbini... grandi storie di forti emozioni con grandi personaggi e grandi temi come la Vita e la Morte, il Vero e il Falso, la Giustizia siamo noi. Noi, in fondo, surroghiamo quelli che una volta erano i grandi romanzi di avventura, per questo la gente ci legge.
C'è qualcosa che non torna, però... i tuoi romanzi, per esempio, quelli in testa a tutte le classifiche, non sono romanzi facili o commerciali. E' il lettore d'emozione e d'avventura che è cresciuto o è sempre esistito un lettore popolare intelligente?
Io credo proprio che sia sempre esistito e qualcuno non se n'era mai accorto. Ho questa netta sensazione... che nel momento in cui una certa editoria e una certa critica hanno cominciato a interessarsi della faccenda hanno soltanto scoperto l'acqua calda.
Oltre all'efficacia delle sue dinamiche narrative, la forza di un genere la fanno comunque i suoi scrittori. Sei d'accordo? Ci sono gli scrittori, secondo te?
Sì. Le ultime cose di questo genere che ho letto sono due italiani e un francese. Uno è Marcello Fois, del quale avevo scritto la prefazione a Sempre caro, uscito da poco per il Maestrale di Nuoro... e l'altro, devo dire, malgrado un articolo stupido intitolato Guerra tra i giallisti, è Ferrandino, che non ha nulla a che fare con il genere di indagine poliziesca, ma è un signor scrittore, straordinario, che mi ha interessato moltissimo, ma proprio molto.
E il francese?
Manchette, Posizione di tiro, pubblicato da Einaudi.
Senti, i giovani scrittori, o gli aspiranti tali, oggi frequentano spesso scuole di scrittura. Tu credi che le strutture narrative del giallo, la sua grammatica e le sue regole, possano essere utili per imparare a scrivere, scrivere in tutti i sensi e non solo di giallo?
Credo che sia il sistema migliore per imparare a scrivere. Perché nel giallo tutti i conti devono tornare e non solo nel senso degli indizi e delle prove, ma proprio come struttura narrativa. Col giallo impari e insegni proprio le regole dei gioco... che poi giustamente disattendi come sempre si deve fare. In questi giorni ho letto tanti libri che insegnano a scrivere e devo dire che quelli tra i giallisti sono i migliori... quello della Highsmith...
Ti riferisci a Suspense. Pensare e scrivere un giallo, uscito per La Tartaruga.
Bravo, quello: quello è esemplare perché non pretende altro che insegnare dei modi di giustapposizione delle parti narrative. Col giallo si imparano gli strumenti del mestiere, la narrazione allo stato elementare… non sei d'accordo?
Ci mancherebbe, io insegno thriller nella scuola di Baricco, sarei un truffatore se non ci credessi. Ed è anche uno dei motivi per cui scrivo gialli e uso questa struttura narrativa: la sua efficacia e la sua capacità di adattamento al servizio del raccontare storie. E tu, perché lo fai?

Io ho cominciato a scrivere gialli per dare un ordine mentale alla mia scrittura. Perché è proprio rigoroso il giallo... c'è sempre un rigore sotto la sua grammatica narrativa. Quello è il mestiere vero, non c'è niente da dire, un mestiere di rigore. E come diceva Leonardo Sciascia: di onestà. 


Pubblicato su L'indice, Novembre 1998






domenica 21 luglio 2019

Andrea Camilleri / Grande festa a Tindari




Grande festa a Tindari 

Montalbano va in gita in un paesino del messinese. Ed è subito giallo. Ma anche il solito travolgente successo. Andrea Camilleri racconta: di sé, del suo commissario e delle loro passioni comuni
 
di Fabio Gambaro


Il successo del commissario Montalbano sembra essere inarrestabile. L'ultima avventura del personaggio inventato da Andrea Camilleri, La gita a Tindari, ha venduto 200mila copie in pochi giorni, schizzando in testa alle classifiche. Posto dove resterà per parecchio. Anche perché, a detta dei librai, il fatto che l'editore sia di nuovo Sellerio sembra conferire al nuovo romanzo dello scrittore siciliano una marcia in più rispetto a quelli pubblicati dai colossi Mondadori e Rizzoli. Come se i lettori apprezzassero in modo particolare questo gesto di fedeltà nei confronti dell'editore palermitano che lo ha scoperto all'inizio degli anni Novanta, senza dimenticare che la sobria eleganza della collana «La memoria» della Sellerio aggiunge al libro un inequivocabile tocco di classe.  

In ogni caso, al di là di editori e collane, Camilleri si conferma una vera e propria passione nazionale. Il fenomeno letterario dell'ultimo decennio. Un fenomeno che però ha tutta una sua preistoria, sconosciuta ai più, che Camilleri ci ha raccontato un pomeriggio d'inverno nella sua casa di campagna sul Monte Amiata: «Ho cominciato a scrivere quando avevo 12 anni. Poi, durante il liceo, due eccellenti professori mi hanno fatto conoscere il meglio della nostra letteratura di quegli anni, vale a dire Montale, Ungaretti, Alvaro e molti altri. Naturalmente, leggevo anche i romanzi stranieri che riuscivano a passare attraverso le maglie della censura fascista. Per esempio, nel 1942 La condizione umana di Malraux mi permise di guardare alla politica in modo diverso, facendomi scoprire che poteva essere altra cosa dal fascismo, che in casa mia era molto presente, giacché mio padre era un fascista convinto che aveva fatto la marcia su Roma. Nel dopoguerra altri due libri fondamentali furono Conversazione in Sicilia di Vittorini e Paesi tuoi di Pavese. Insomma, grazie alle letture, il mio modo di vedere la realtà era cambiato e la volontà di scrivere era uscita rafforzata. Da Porto Empedocle e da Palermo, dove frequentavo la facoltà di Lettere, mandavo articoli, racconti e poesie a riviste e giornali. Erano messaggi in bottiglia che talvolta venivano pubblicati, per esempio dall'Italia socialista di Aldo Garosci o dal Mercurio di Alba de Céspedes». Gli esordi poetici del futuro romanziere ottennero pure alcuni riconoscimenti importanti, se è vero che nel 1947 le sue poesie – insieme a quelle di Pasolini, Zanzotto, Dolci e David Maria Turoldo – vennero selezionate dal Premio Libera Stampa, nella cui giuria figuravano Contini, Bo e Ferrata. E sempre quello stesso anno Ungaretti inserì il giovane siciliano in un'antologia pubblicata dalla prestigiosa «Collana dello Specchio». La svolta della sua vita avvenne però quando vinse il Premio Firenze per una commedia teatrale inedita: «Il testo non era un granché e infatti, mentre tornavo a casa in treno, lo gettai dal finestrino. Nella giuria però c'era Silvio d'Amico, che mi fece ottenere una borsa di studio per il corso di regia dell'Accademia d'Arte Drammatica di Roma. Così mi trasferii nella capitale, dove in seguito iniziai a lavorare come regista per diversi teatri, cercando di rinnovare il vecchio repertorio con autori come Adamov o Beckett, di cui feci la prima italiana di Finale di partita».  
  
PASSIONI CHE COVAVANO. Tra teatro e televisione, Camilleri stette a lungo lontano dalla scrittura, tornandovi solo alla fine degli anni Sessanta: «Dopo aver lavorato tanto sui testi degli altri, avevo voglia di scrivere qualcosa di mio. Nacque così Il corso delle cose, che però non trovò subito un editore. Solo nel 1978, dopo che ne avevo tratto uno sceneggiato televisivo, un piccolo editore accettò di pubblicarlo. Quando finalmente ebbi il libro in mano, mi venne voglia di scriverne un altro. Nelle carte di mio nonno avevo trovato un volantino che metteva in guardia i commercianti di zolfo di Porto Empedocle contro un altro commerciante di Licata: da quel frammento del passato presi lo spunto per Un filo di fumo, pubblicato nel 1980».  
Fu quello il primo di una serie di romanzi ambientati nella Sicilia del secolo scorso, l'ultimo dei quali è La mossa del cavallo, nei quali lo scrittore  ha dato libero sfogo alla passione per la storia e per le inchieste che cercano di ricostruire avvenimenti complessi e sfuggenti: «Sciascia, che per me è un modello intellettuale più che linguistico, mi ha insegnato la curiosità nei confronti della storia e del suo modo di proiettarsi nel nostro presente. Mi ha insegnato a utilizzare i documenti del passato, per costruire romanzi la cui traccia iniziale si trova negli archivi. La stagione della caccia per esempio nasce da un dialogo che ho trovato nella famosa Inchiesta sulle condizioni economiche e sociali della Sicilia del 1875-6: al presidente che gli chiedeva se avesse da segnalare fatti di sangue, il sindaco di un piccolo paese rispose "Assolutamente no, Eccellenza, fatta eccezione di un farmacista che per amore ha ucciso sette persone". Anche la storia del Birraio di Preston l'ho scovata in quell'inchiesta parlamentare, che per me è stata – ed è – una vera e propria miniera d'oro. Naturalmente, poi, i dati storici hanno bisogno di essere manipolati e reinventati, anche perché un romanzo non deve essere obiettivo come un saggio. Utilizzo i documenti, ma invito il lettore a non considerarli mai come verità assoluta, senza dimenticare che mi piace confondere le piste e trovare soluzioni strutturali originali. La concessione del telefono si presenta come un faldone contenente esclusivamente documenti e dialoghi, mentre nel Birraio di Preston non seguo la sequenza cronologica della vicenda: nei due casi invito il lettore a ricostruire il romanzo. Il teatro, infatti, mi ha insegnato che la partecipazione del fruitore è fondamentale: il teatro senza spettatore non è niente, così il libro senza lettore non è nulla». Ma la passione per la storia è anche all'origine di due saggi storici veri e propri: La bolla di componenda e La strage dimenticata. Quest'ultimo ricostruisce il massacro di 114 prigionieri avvenuto nella prigione di Porto Empedocle nel 1848: «Avevo trovato diverso materiale su questo fatto storico dimenticato e l'avevo passato a Sciascia, pensando che sarebbe stato un ottimo argomento per un suo libro. Invece mi restituì il tutto, dicendomi che avrei dovuto scriverlo io a modo mio. Cosa che poi ho fatto».  
La passione per la storia, certo. Ma le basi del successo di massa, Camilleri le costruisce a metà degli anni Novanta, con le prime avventure del commissario Montalbano: La forma dell'acqua e Un cane di terracotta, la cui genesi oggi racconta così: «Di solito non scrivo mai seguendo l'ordine cronologico della vicenda, ma, mentre stavo scrivendo Il birraio di Preston, mi chiesi se sarei stato capace di scrivere tutto un romanzo dall'inizio alla fine, seguendo la cronologia degli avvenimenti. Decisi di fare una prova, scegliendo il genere poliziesco, perché – come ha scritto Sciascia nella sua Breve storia del romanzo poliziesco – impone allo scrittore una specie di gabbia fissa che costringe a seguire un certo tipo di logica e  temporalità. Il genere ideale per il mio tentativo. Così è nato Montalbano, che nel primo romanzo era ancora una semplice funzione narrativa: un personaggio incompleto e mancante di spessore. Motivo per cui decisi di scrivere un secondo romanzo, cercando di migliorarne i tratti e i contorni. A quel punto pensavo veramente di aver chiuso con Montalbano, solo che invece il personaggio è tornato a trovarmi in modo regolare. E così i suoi romanzi sono diventati cinque. Va detto però che fin dall'inizio ho sempre cercato di allargare il campo e andare al di là del semplice romanzo poliziesco, aggiungendo altri punti di vista, mischiando più storie nello stesso libro, incrociando l'amore e la politica, la mafia e la letteratura».  
A questo proposito Camilleri ricorda volentieri che il commissario Maigret di Simenon è uno dei padri naturali del suo personaggio: «Entrambi si interessano più all'esplorazione di un contesto che alla semplice soluzione dell'enigma; solo che, mentre Maigret è rimasto sempre lo stesso, Montalbano invecchia di libro in libro, è segnato dagli anni e dalle inchieste. Nell'ultimo romanzo, dove ha ormai raggiunto la cinquantina, inizia a fare il bilancio della sua vita dove non mancano delusioni e rimpianti. Per questo oggi Montalbano è più amaro e scettico che nei primi romanzi». E a chi gli fa notare che in fondo il suo commissario conserva pur sempre un certo atteggiamento epicureo nei confronti della vita, egli risponde così: «Considero i piaceri della vita materiale un aspetto fondamentale dell'esistenza, ma sono anziano e faccio mangiare a Montalbano tutte le cose buone che non posso più gustare». A conferma degli scambi esistenti tra autore e personaggio, aggiunge: «Alcuni mi hanno accusato di essere buonista, un'espressione che detesto. Forse è vero, ma quando ho iniziato a scrivere le storie di Montalbano ero già anziano; trent'anni fa avrei fatto un personaggio più cattivo. Nella finzione Montalbano ha cinquant'anni, in realtà però ha la mia età, e a 74  anni non si può essere cattivi». 
Tutta l'opera di Camilleri ha come sfondo Vigata, una cittadina immaginaria che è la trasfigurazione letteraria di Porto Empedocle, la sua città natale. Questa scelta non è solo il frutto di un'esigenza narrativa, ma anche il segno di un'indiscussa fedeltà a una tradizione culturale, quella siciliana, alla quale lo scrittore si sente più che mai legato: «Appartengo totalmente alla cultura della Sicilia e alla letteratura di Verga, Pirandello, De Roberto, Tomasi di Lampedusa, Brancati, Sciascia, Bufalino e Consolo. Benché abiti a Roma da cinquant'anni, continuo a sentirmi vicino a questa tradizione, a cui mi sono sempre interessato. Per esempio a teatro, dove, oltre a tanto Pirandello, ho anche adattato la Cavalleria rusticana di Verga o I Viceré di De Roberto. Come scrittore poi le devo tantissimo, ed essa è presente nel mio lavoro perfino in certi dettagli, nelle citazioni più o meno nascoste. La passione per i dialetti per esempio mi è nata leggendo La paura di De Roberto. Naturalmente, l'amore per la letteratura siciliana non m'impedisce di apprezzare altri scrittori, che talvolta diventano perfino dei punti riferimento importanti, come ad esempio Gogol, o Sterne, il cui Tristam Shandy è per me un vero capolavoro. Apprezzo molto anche Manzoni, soprattutto quello della Colonna Infame, testo fondamentale che mostra come dovrebbero comportarsi gli scrittori nei confronti della storia e dell'ingiustizia». Il testo manzoniano non a caso era molto caro anche a Sciascia, uno scrittore a cui l'autore della Gita a Tíndari era molto legato e di cui oggi ricorda con emozione l'amicizia: «Lo avevo contattato all'inizio degli anni Sessanta per domandargli di scrivere un soggetto per la televisione sul caso Notarbartolo, un progetto che poi abortì. Restammo in contatto fino a quando, qualche anno dopo, diressi una riduzione teatrale del Giorno della Civetta. Da allora abbiamo continuato a frequentarci regolarmente, anche se non facevo parte della cerchia ristretta degli amici intimi. Avevamo però le stesse preoccupazioni intellettuali e amavamo gli stessi libri. Sciascia mi manca molto, soprattutto per il suo rigore intellettuale e la passione per la politica. In Italia abbiamo avuto un'epoca felice in cui nella nostra cultura agivano tre grandi personalità come Pasolini, Moravia e Sciascia. Si poteva essere in disaccordo, ma la loro presenza era senz'altro utile e benefica al dibattito culturale e politico. Oggi non c'è più nessuno capace di affrontare la realtà e di dibatterla come facevano loro. Anche un intellettuale come Eco, che pure ha molti meriti, non mostra lo stesso interesse per la politica».  
  
LETTORI POCO POLITICI. La politica invece è una delle grandi passioni di Camilleri, che ha sempre sostenuto la necessità, per l'intellettuale, di interessarsi alla realtà in cui vive, senza rinunciare a sporcarsi le mani, se necessario: «Forse la letteratura non può cambiare la realtà, ma almeno può contribuire a cambiare la coscienza della gente. È ciò che è accaduto a me con La condizione umana, di conseguenza i miei romanzi nascono sempre da questa preoccupazione. La mossa del cavallo era un tentativo di spiegare le relazioni tra la politica, la mafia e un uomo onesto. Purtroppo, i critici non hanno colto l'intenzione politica del romanzo e si sono limitati a elogiarlo dal punto di vista letterario. Il pubblico non si interessa al mio discorso politico, non vuole ascoltarlo. Quando tempo fa ho denunciato pubblicamente il pericolo rappresentato da Berlusconi e dalle sue televisioni che stanno annegando il Paese in una cultura della volgarità: molti lettori hanno fatto finta di non aver sentito. Si divertono troppo quando leggono i miei libri: preferirei che ridessero di meno e riflettessero di più».  
Per questo nei suoi romanzi il padre del Commissario Montalbano affronta senza mezzi termini i mali che affliggono la società siciliana, a cominciare dalla mafia, anche se ammette di non riuscire a comprenderne l'evoluzione: «Nei romanzi storici, attraverso alcuni personaggi, ho mostrato i comportamenti della mafia del secolo scorso, i cui codici erano abbastanza definiti e riconoscibili. Le regole della mafia dei nostri giorni mi sono invece sconosciute, e anzi mi sembra quasi che questa mafia non abbia più regole. Di conseguenza, diventa difficile scriverne, giacché quando si scrive di un fenomeno senza conoscerne le regole, si rischia di sublimarlo letterariamente. E questo evidentemente la mafia non se lo merita di certo. Così nei romanzi che si svolgono nel presente, la mafia appare solo indirettamente, è piuttosto una presenza sfuggente e indefinibile. Sulla mafia contemporanea preferisco scrivere articoli o saggi, per cercare di capirne la trasformazione, che secondo me è strettamente connessa alla crisi dei legami familiari. In passato la mafia si basava sulla famiglia, oggi invece i mafiosi non si conoscono più nemmeno tra di loro. Ma sul tema della mafia, vorrei aggiungere che le mentalità e i comportamenti dei siciliani sono molto cambiati negli ultimi anni: la diffidenza nei confronti dello Stato e dei non siciliani si è notevolmente ridotta, quindi anche l'omertà è meno compatta. Oggi i siciliani sanno che il problema della mafia è un problema collettivo che riguarda tutti, non fanno più finta di non vedere e di non sentire. Insomma, sebbene talvolta si possa avere l'impressione che nulla sia cambiato, in realtà i cambiamenti ci sono stati. E sono stati cambiamenti importanti, dovuti tra l'altro anche all'avvento della televisione, che in questo caso ha permesso un'apertura sul mondo e un aumento della circolazione dell'informazione. Questo è uno dei rari casi in cui si può dire bene della televisione e dei suoi effetti».  
Nei romanzi di Camilleri, però, i critici continuano a leggere una visione del mondo dominata dal pessimismo e dal fatalismo, dove la scoperta delle verità non sempre coincide con l'esercizio della giustizia: «Non è vero, non sono pessimista né fatalista. Ho soltanto la coscienza dei problemi che restano da risolvere e della lunga strada che resta ancora da percorrere. La mossa del cavallo si conclude con un catalogo dei sogni che indica proprio la volontà di continuare a combattere. Ma occorre combattere senza credere ai miracoli, occorre un esercizio testardo della ragione per raggiungere la verità. La mia lunga militanza comunista – che per altro non ho mai rinnegato – ha lasciato in me alcune tracce importanti, tra cui anche la parola d'ordine gramsciana: il pessimismo della ragione e l'ottimismo della volontà». 
Un'intervista con Camilleri non può concludersi senza affrontare il tema del dialetto, evocando quell'impasto linguistico tutto particolare, fatto d'italiano e siciliano, che caratterizza i suoi romanzi: «La scelta di questa lingua è il risultato di una lunga riflessione. Cinquant'anni fa, quando ho iniziato a scrivere, utilizzavo un italiano molto classico e puro. Era però una lingua astratta, con la quale non riuscivo a trovare la tonalità e il ritmo giusti. Le cose sono cambiate quando, molto più tardi, ho scelto di utilizzare la lingua della piccola borghesia siciliana che appunto mescola l'italiano e il siciliano. Si tratta della lingua che ancora oggi utilizzo con le persone della mia età, quando torno in Sicilia. A proposito di questa mescolanza, Pirandello ha detto che il dialetto esprime il sentimento di una data realtà mentre l'italiano ne esprime il concetto. In questa lingua, dunque, coesistono la dimensione affettiva e quella razionale. Nei miei primi romanzi dominava ancora l'italiano, ma di libro in libro il dialetto ha conquistato sempre più spazio, anche perché alla lingua della piccola borghesia ho sovrapposto altri strati dialettali dei contadini o degli operai, ottenendo una lingua che letterariamente offre molte possibilità».  
A partire dal Birraio di Preston, al siciliano si sono poi aggiunti altri dialetti, come il lombardo, il piemontese o il ligure, una scelta che talvolta ha suscitato qualche perplessità, ma che lo scrittore difende con convinzione: «In Italia, la varietà linguistica regionale corrisponde a una varietà culturale, che contribuisce certamente alla ricchezza del Paese. Ruzante, Goldoni, Porta, Belli e molti altri rappresentano questa tradizione dei dialetti, che purtroppo nel Ventesimo secolo è stata un poco dimenticata. Secondo me, invece, dovrebbe essere rimessa al centro della nostra cultura, per combattere l'omologazione culturale prodotta dalla televisione e dalla cultura di massa, contro cui, già trent'anni fa, ci metteva in guardia Pasolini. Gli italiani oggi parlano una lingua piatta, uniforme e colonizzata dal lessico tecnologico anglosassone. Nei dialetti invece c'è una linfa vitale per la nostra lingua e per la nostra cultura». Una linfa da cui peraltro Camilleri sa anche estrarre effetti ironici assai riusciti: «È vero, ma più che l'ironia del linguaggio, vorrei che i lettori cogliessero l'ironia di certe situazioni o di certe riflessioni. In ogni caso ridere fa bene, perché la letteratura deve sempre procurare piacere. Io infatti non ho mai sopportato la letteratura punitiva nei confronti del lettore». Una cosa che i suoi innumerevoli ammiratori hanno certamente capito da tempo.


© Magazine Littéraire / Fabio Gambaro. Per l'Italia Diario della settimana 

VIGATA