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sabato 1 ottobre 2022

I Caraibi rispondono alla complicata eredità della regina Elisabetta II

La regina Elisabetta II durante le celebrazioni per il suo 80° compleanno alla Cattedrale di St. Paul, Londra, Inghilterra. Foto di Michael Gwyther-Jones su Flickr, CC BY 2.0.


I Caraibi rispondono alla complicata eredità della regina Elisabetta II

scritto da Janine Mendes-Franco
tradotto da Giada Pierri

La regina aveva celebrato il suo Giubileo di platino all'inizio di quest'anno. Nell'ambito dei festeggiamenti, il duca e la duchessa di Cambridge, il principe William e sua moglie Catherine, si erano imbarcati per un tour caraibico ed erano stati accolti con qualche resistenza per questioni ancora irrisolte legate alla colonizzazione. In Belize, ad esempio, la comunità Q’eqchi Maya aveva organizzato delle proteste per i diritti sulla proprietà fondiaria degli indigeni, mentre in Giamaica la gente chiedeva [it] delle scuse da parte della famiglia reale britannica per il ruolo svolto nella tratta transatlantica degli schiavi.

Anche la questione dei risarcimenti era in cima alla lista. Nel 2015, l'ex primo ministro britannico David Cameron si rifiutò di discuterne, consigliando ai giamaicani di “superare la schiavitù.” Si impegnò, invece, a costruire una nuova prigione sull'isola: oltre al danno, anche la beffa. Tuttavia, durante il tour per il Giubileo della regina, il principe William si è fermato [it] appena prima di chiedere scusa.

Nella regione, una storia così carica di tensione ha lasciato molti a cercare di raggiungere un sottile equilibrio tra il riconoscimento di una vita dedicata al dovere e al servizio, e la lotta con un’eredità che ha inflitto la sua parte di dolore.

In un thread di un gruppo Facebook dedicato alla storia, il Museo Virtuale di Trinidad e Tobago di Angelo Bissessarsingh, i membri hanno ricordato che Elisabetta II si è comportata “con grazia e dignità”, ha fatto “tanto per il paese e per il Commonwealth” e ha svolto i suoi doveri di regina “fino alla fine.”

Solo due giorni prima di morire, la regina ha portato a termine quello che sarebbe stato il suo ultimo dovere istituzionale, nominando formalmente il quindicesimo ministro del suo lungo regno. Mark Edghill, trinidadiano, le ha reso omaggio su Facebook:


Possa adesso riposare in pace, dopo aver onorato la sua promessa di dedicare la sua intera vita come regina al servizio del Regno Unito e del Commonwealth. Impegnata nel dovere, nella tradizione e nei protocolli. Simbolo e pilastro di forza e stabilità in tutto il mondo. Ha superato decenni di cambiamenti culturali, di sviluppo e di progressi tecnologici. Davvero la fine di un'era!

I governi regionali hanno accolto la morte della regina in moltissimi modi:

Oggi, la presidente di Barbados, Sua Eccellenza l'Onorevole Dama Sandra Mason, ha porto le sue condoglianze a Sua Maestà il Re Carlo III per la morte della sovrana, Sua Maestà la Regina, a nome del governo e del popolo di Barbados.

La banca centrale di Trinidad e Tobago ha esaminato “la profonda eredità della regina attraverso la storia della moneta di Trinidad e Tobago”, mentre in Giamaica (dove la regina era capo di Stato) è stata annunciata una giornata di lutto nazionale per il 18 settembre, avvertendo che gli eventi celebrativi non avranno luogo.

Dalla Guyana, l'autore Ruel Johnson ha detto chiaramente:


Nel 1954, due anni dopo la salita al trono della regina Elisabetta II, un giovane poeta, appena un anno più giovane della sovrana ventisettenne, venne condotto in prigione per aver protestato contro il dominio dell'Impero britannico sul piccolo Stato coloniale sudamericano in cui era nato, la Guyana britannica. La foto [che accompagna il post di Johnson] mostra quel poeta, Martin Carter (con gli occhiali), detenuto insieme a Cheddi Jagan, allora leader della lotta all'indipendenza dall'impero di Sua Maestà.

Quel movimento sarebbe stato accolto con violenza dal governo della Corona, con lo schieramento di truppe britanniche in quel minuscolo luogo che oggi conosciamo come Guyana.

Di quel periodo, Carter avrebbe scritto:

“Questo è un periodo buio, amore mio,
Sulla terra brulicano gli scarabei bruni.
Il sole splendente è nascosto nel cielo
Fiori rossi piegano il loro capo in un terribile dolore.
Questo è un periodo buio, amore mio,
È la stagione dell'oppressione, del metallo scuro, e delle lacrime.
È la festa delle armi, il carnevale della miseria.
Ovunque i volti degli uomini sono tesi e ansiosi.
Chi viene a passeggiare nel buio della notte?
Di chi è lo stivale d'acciaio che calpesta l'erba sottile?
È l'uomo della morte, amore mio, l'invasore straniero
Che ti guarda dormire e che mira al tuo sogno.”

Conosci la tua storia. Ti hanno imbeccato con un'immagine attentamente curata di tazze di tè e focaccine e riverenze e corgi, mentre ciò che esiste è stato costruito sul sangue e sull'ingiustizia.

Il professore Richard Drayton, storico nato in Guyana ma che ha passato gran parte della sua vita nelle Barbados (il territorio caraibico più recente a diventare una repubblica [it]), ha messo a confronto Elisabetta II con il cantante americano Chuck Berry e il rivoluzionario cubano Fidel Castro [it], “tre vite che hanno segnato il mondo del XX secolo in modo molto diverso”:


Tutti e tre erano pietre miliari in un'epoca in cui un ordine mondiale razzista e antidemocratico, quel mondo dell'impero e di Jim Crow, del togliersi il berretto e dell'accettare lo status di disuguaglianza durato per secoli, era stato improvvisamente capovolto.

Sono nato in quella che era ancora una colonia britannica e, nei miei giorni di scuola elementare, gli eserciziari azzurri avevano sulla copertina il suo ritratto dell'incoronazione. Eravamo soliti disegnarle gli occhiali 👓, oscurarne il dente irregolare per creare un vuoto d'inchiostro nella bocca reale, e a volte ci aggiungevamo un paio di baffi. Questi atti di deturpazione non erano un impulso antimonarchico, ma certamente piccoli atti di ribellione contro le varie autorità delle quali sapevamo in qualche modo che lei era l'ancora.

Questo è ciò che verrà soppresso in questa stagione di emozioni di massa obbligate: per quanto benigna e benintenzionata fosse E2 in carne e ossa, di cui né io né voi abbiamo conoscenza concreta, l'altro corpo della regina, quello ufficiale, simboleggiava un diritto assoluto e antidemocratico derivato dallo status e non dal contratto. È sopravvissuta a Chuck e Fidel, ma era una custode del passato e loro, invece, ambasciatori del futuro.

Notando che “i motori mediatici delle multinazionali cercheranno di manipolare queste emozioni di massa, questa nuvola di sentimentalismo sul passato prodotta in maniera industriale, per plasmare il presente e controllare il futuro”,  Drayton ha avvertito:


Contro questa stregoneria avete bisogno di esercitare i vostri incantesimi apotropaici. Ogni qualvolta che nominano Liz, fondetela con Fidel e Chuck: saranno i suoi psicopompi che la scorteranno verso la libertà. Lasciatela libera di indossare la tuta da lavoro, di fumare sigarette e di camminare verso l'eternità.

L'attivista LGBTQ+ trinidadiano Jason Jones,  che vive nel Regno Unito, ha riassunto la valanga di reazioni in questo modo:


Quindi… un momento storico nelle nostre vite. Perdita. Odio. Frustrazione. Ammirazione. Fuoco. Siamo tutti contorti nelle nostre idee di cordoglio e rispetto.

Nonostante tutto, la trinidadiana Dionne Ligoure sostiene:


Dite quello che volete, è stata RISPETTOSA fino alla fine.

Intanto, Wayne LeBlanc, di una radio regionale, ha sottolineato:


Adesso la BBC prenderà tutta la programmazione di Networks to School mentre inizia la copertura mediatica del passaggio della regina Elisabetta II 🖤

La regina Elisabetta II riposerà in pace per 24 ore nella Cattedrale di St. Giles a Edimburgo, dove il pubblico potrà omaggiarla. La sua salma verrà poi trasportata in aereo a Londra, dove resterà fino al giorno del funerale, previsto tra 10 giorni nell'abbazia di Westminster.

[Nota dell'editor (10 settembre 2022, 3:54 PM AST): Una versione precedente di questo articolo faceva riferimento a una lettera scritta dai “membri di UNC.” L'articolo è stato corretto per cancellare questo riferimento erroneo.]

GLOBAL VOICES



giovedì 28 marzo 2019

Beppe Servergnini / Brexit, il circo che umilia Londra



Brexit, il circo che umilia Londra

In Gran Bretagna, di fronte al desolato panorama del caos sulla Brexit, non ride più nessuno, e sta emergendo un atteggiamento finora sconosciuto: l’autocommiserazione


Carolyn Fairbairn, la direttrice generale della Cbi, la Confindustria britannica, ha usato una parola nuova per definire la battaglia parlamentare intorno a Brexit: «Un circo». Ha dimenticato una cosa: al circo ci si diverte, e spesso si ride. In Gran Bretagna non ride più nessuno, e sta emergendo un atteggiamento finora sconosciuto: l’autocommiserazione. Passato lo stupore, superata la rabbia, sono rimaste la preoccupazione e la ricerca di umana comprensione. Che l’Unione Europea sembra disposta a concedere: ma solo quella. 



In questa vicenda tragicomica — banche che traslocano silenziosamente, mercato immobiliare in stallo, supermercati che accumulano scorte — mercoledì s’è infilato, tuttavia, un timido raggio di buon senso: il Parlamento ha votato, in maggioranza, contro l’ipotesi di lasciare la Ue senza un accordo (no deal). È una buona notizia: se il 29 marzo il Regno Unito uscisse bruscamente dall’Unione si fermerebbero le linee di produzione, gli ospedali avrebbero difficoltà di approvvigionamento, porti e aeroporti scivolerebbero nel caos. I Brexiteers più estremisti minimizzano e parlano di «difficoltà passeggere». È una bugia, peraltro non la prima. Un’uscita senza accordo sarebbe catastrofica. Un’umiliazione che il Regno Unito non merita. Cosa succede, a questo punto? Giovedì è previsto un altro voto parlamentare, dall’esito quasi scontato.


Il quesito stavolta sarà: la House of Commons — dopo aver bocciato (due volte) l’accordo di Theresa May e aver rifiutato il no deal — è favorevole a chiedere all’Unione Europea una proroga oltre il 29 marzo? La risposta della Ue, si presume, sarà positiva. A quel punto si aprono, teoricamente, sei possibilità: (1) un’uscita senza accordo, sempre possibile (2) un terzo voto sull’accordo Uk/Ue già bocciato due volte dal Parlamento (3) nuovi negoziati con l’Unione Europea (4) un nuovo referendum (5) nuove elezioni (6) niente Brexit, il Regno Unito resta nell’Unione Europea. 
Se tutto questo vi appare orrendamente complicato, non preoccupatevi: lo è. Ma è in questo ginepraio di ipotesi che si dibatte la nazione, oggi. E la complessità, unita al senso di impotenza, sta irritando sempre di più l’opinione pubblica. Il timore di molti è che un nuovo referendum sarebbe preceduto da una campagna elettorale feroce, forse addirittura violenta. Ed eventuali nuove elezioni finirebbero per concentrarsi su una cosa sola: l’uscita dall’Unione Europea, tralasciando tutto il resto. Eppure la soluzione elettorale appare, a questo punto, la più logica. 



La testardaggine shakesperiana di Theresa May è ammirevole, per certi versi: vederla lottare con la raucedine per ripetere cose dette mille volte, mercoledì, suscitava un misto di tenerezza e terrore. Ma stiamo parlando di un capo di governo che, sulla questione più importante del secolo, non dispone di una maggioranza. Le dimissioni sembrano, più che dovute, logiche. Servirebbero anche per costringere il partito laburista di Jeremy Corbyn a uscire dall’equivoco e fornire le risposte chiare che tutti aspettano: vuole restare nell’Unione Europea oppure no? Ma non arriveranno: né le risposte, né le elezioni. In compenso, il circo va avanti. I saltimbanchi sembrano esausti, però, e i pagliacci sono scomparsi: restano i domatori e le bestie feroci, e il pubblico di tutta Europa che guarda, allibito.