Brexit, il circo che umilia Londra
In Gran Bretagna, di fronte al desolato panorama del caos sulla Brexit, non ride più nessuno, e sta emergendo un atteggiamento finora sconosciuto: l’autocommiserazione
di Beppe Severgnini
13 marzo 2019 (modifica il 13 marzo 2019 | 22:16)
Carolyn Fairbairn, la direttrice generale della Cbi, la Confindustria britannica, ha usato una parola nuova per definire la battaglia parlamentare intorno a Brexit: «Un circo». Ha dimenticato una cosa: al circo ci si diverte, e spesso si ride. In Gran Bretagna non ride più nessuno, e sta emergendo un atteggiamento finora sconosciuto: l’autocommiserazione. Passato lo stupore, superata la rabbia, sono rimaste la preoccupazione e la ricerca di umana comprensione. Che l’Unione Europea sembra disposta a concedere: ma solo quella.
In questa vicenda tragicomica — banche che traslocano silenziosamente, mercato immobiliare in stallo, supermercati che accumulano scorte — mercoledì s’è infilato, tuttavia, un timido raggio di buon senso: il Parlamento ha votato, in maggioranza, contro l’ipotesi di lasciare la Ue senza un accordo (no deal). È una buona notizia: se il 29 marzo il Regno Unito uscisse bruscamente dall’Unione si fermerebbero le linee di produzione, gli ospedali avrebbero difficoltà di approvvigionamento, porti e aeroporti scivolerebbero nel caos. I Brexiteers più estremisti minimizzano e parlano di «difficoltà passeggere». È una bugia, peraltro non la prima. Un’uscita senza accordo sarebbe catastrofica. Un’umiliazione che il Regno Unito non merita. Cosa succede, a questo punto? Giovedì è previsto un altro voto parlamentare, dall’esito quasi scontato.
Il quesito stavolta sarà: la House of Commons — dopo aver bocciato (due volte) l’accordo di Theresa May e aver rifiutato il no deal — è favorevole a chiedere all’Unione Europea una proroga oltre il 29 marzo? La risposta della Ue, si presume, sarà positiva. A quel punto si aprono, teoricamente, sei possibilità: (1) un’uscita senza accordo, sempre possibile (2) un terzo voto sull’accordo Uk/Ue già bocciato due volte dal Parlamento (3) nuovi negoziati con l’Unione Europea (4) un nuovo referendum (5) nuove elezioni (6) niente Brexit, il Regno Unito resta nell’Unione Europea.
Se tutto questo vi appare orrendamente complicato, non preoccupatevi: lo è. Ma è in questo ginepraio di ipotesi che si dibatte la nazione, oggi. E la complessità, unita al senso di impotenza, sta irritando sempre di più l’opinione pubblica. Il timore di molti è che un nuovo referendum sarebbe preceduto da una campagna elettorale feroce, forse addirittura violenta. Ed eventuali nuove elezioni finirebbero per concentrarsi su una cosa sola: l’uscita dall’Unione Europea, tralasciando tutto il resto. Eppure la soluzione elettorale appare, a questo punto, la più logica.
La testardaggine shakesperiana di Theresa May è ammirevole, per certi versi: vederla lottare con la raucedine per ripetere cose dette mille volte, mercoledì, suscitava un misto di tenerezza e terrore. Ma stiamo parlando di un capo di governo che, sulla questione più importante del secolo, non dispone di una maggioranza. Le dimissioni sembrano, più che dovute, logiche. Servirebbero anche per costringere il partito laburista di Jeremy Corbyn a uscire dall’equivoco e fornire le risposte chiare che tutti aspettano: vuole restare nell’Unione Europea oppure no? Ma non arriveranno: né le risposte, né le elezioni. In compenso, il circo va avanti. I saltimbanchi sembrano esausti, però, e i pagliacci sono scomparsi: restano i domatori e le bestie feroci, e il pubblico di tutta Europa che guarda, allibito.
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