domenica 8 settembre 2024

Francis Kéré alla biennale di architettura di Venezia 2023






Tecla c2, lago Corazza, dettaglio di passaggio da camera da letto al soggiorno


Francis Kéré alla biennale di architettura di Venezia 2023

Il futuro dell’architettura in Terra: “Tecla: La terra per la Terra di Mario Cucinella”

Chiara Rigotti
10 NOVEMBRE 2023

Costruire non è un problema. Ma riempire un luogo di vita, questo è il vero problema...

Alcuni sognatori credono che bastino quattro mura e un tetto per cambiare la realtà.

(Diébédo Francis Kéré)

La 18ª Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, curata da Lesley Lokko, si è concentrata su temi centrali legati alla diaspora africana, al cambiamento climatico, alle economie verdi africane e alla decolonizzazione atmosferica. Intitolata "In the Laboratory of the Future", presenta diversi partecipanti che contribuiscono con il loro messaggio e la loro prospettiva sul ruolo dell’architettura nel plasmare il futuro. Uno di questi partecipanti è Francis Keré, un architetto molto popolare tra i giovani, vincitore del Premio Pritzker nel 2022, originario del Burkina Faso.

Il messaggio principale della mostra è quello di esplorare e immaginare nuovi modi di progettare e costruire gli spazi, tenendo conto delle sfide globali come il cambiamento climatico, l'urbanizzazione, la diseguaglianza sociale e la sostenibilità. La mostra incoraggia gli architetti e i partecipanti a esplorare soluzioni innovative che siano inclusive, rispettose dell'ambiente e culturalmente rilevanti. Il messaggio di Lesley Lokko all’inaugurazione della Biennale lo scorso maggio, citando Thomas Sankara, ex Presidente del Burkina Faso, sottolinea l'importanza di non concepire il futuro come un copione da scrivere da zero, ma piuttosto di individuare le potenzialità e le opportunità presenti nel contesto attuale. Questo invita a considerare i vuoti, le lacune e le sfide presenti nella società contemporanea come punto di partenza per immaginare e costruire un futuro migliore.

Secondo Lesley Lokko la transizione verso energie più sostenibili rischia di essere vana se non viene accompagnata da una riconsiderazione dell'etica della società, che spesso si basa sullo sfruttamento delle risorse, sull’industria estrattiva e sul consumismo.

Vengono citati due esempi specifici per evidenziare le conseguenze negative di alcune iniziative sostenibili. In Cile, l'estrazione del litio, un componente chiave per le batterie delle auto elettriche, ha provocato gravi conseguenze per le comunità indigene di Atacameño, lasciandole senza acqua e compromettendo il loro sostentamento. Nei Paesi nordici, l'espansione dei parchi eolici sta minacciando l'allevamento delle renne, mettendo a rischio la sussistenza delle comunità che dipendono da questa attività.

Questi esempi evidenziano una possibile crisi emergente, definita come "colonialismo verde", in cui le comunità indigene vengono messe in pericolo in nome della sostenibilità stessa. Ciò richiama l'attenzione sulla necessità di includere le comunità locali nei processi decisionali, garantire la redistribuzione dei benefici e rispettare i diritti sociali e ambientali.

L'Agenda 2030 è un piano d'azione globale per il progresso sociale, economico ed ambientale adottato dalle Nazioni Unite nel settembre 2015, suddiviso in 17 obiettivi principali. L’ obiettivo generale è quello di affrontare le sfide più urgenti, tra cui la povertà, l'ineguaglianza, il cambiamento climatico, la protezione dell'ambiente e la promozione della pace e della giustizia.

A questo proposito l'Agenda 2030 promuove un approccio integrato, riconoscendo che lo sviluppo sostenibile richiede un equilibrio tra gli aspetti economici, sociali e ambientali. Inoltre, enfatizza l'importanza della partnership tra i governi, il settore privato, la società civile e le comunità locali per raggiungere gli obiettivi. Uno dei principi fondamentali dell’Agenda è quello di "Leaving No One Behind" (Non Lasciare Nessuno Indietro), che si impegna a garantire che tutti gli individui, indipendentemente dalla loro etnia, genere, disabilità, età, provenienza sociale o geografica, abbiano l'opportunità di beneficiare dallo sviluppo sostenibile.

Questi riferimenti all’Agenda 2030 sottolineano l'importanza di un approccio etico e inclusivo nella progettazione e nella realizzazione di soluzioni sostenibili in ambito architettonico, affrontando sia le questioni ambientali che quelle sociali. Il dibattito si concentra sul superamento dei paradigmi precedenti e sulla creazione di modelli più equi, in cui la sostenibilità non sia solo un obiettivo, ma venga raggiunta attraverso un'impronta sociale e ambientale positiva. Dove lo stesso processo, dalla progettazione alla realizzazione, avvenga con la partecipazione attiva dei beneficiari, in quanto processo socio-ecologico e inclusivo.

Francis Keré, nato in Burkina Faso, rappresenta un importante punto di vista africano nell'ambito dell'architettura. Nato in un villaggio rurale molto lontano dalla capitale, fu mandato a scuola in città grazie all’aiuto economico di tutta la comunità. Dalla capitale vinse una borsa di studio per la Germania e fece il Liceo e l’Università in un paese straniero, da solo. Quando cominciò ad acquisire fama a Berlino decise di tornare in Burkina e dare a tutti i bambini del suo villaggio una nuova scuola primaria e secondaria. La scuola di Gando per cui vinse il premio Aga Khan nel 2004.

La scuola di Gando è oggi un'icona dell'architettura sostenibile e dell'impegno sociale. Situata nel villaggio di Gando, in Burkina Faso, la scuola è stata costruita per fornire un'istruzione di qualità ai giovani della comunità locale. Uno degli aspetti più distintivi del design della scuola è il suo approccio all'architettura bioclimatica. Le pareti in mattoni di terra compressa forniscono isolamento termico naturale, mantenendo gli ambienti freschi durante le calde giornate e riducendo la necessità di energia per il raffreddamento. Inoltre, il tetto in lamiera che serve da ombrello, distanziato dal soffitto in terra dell’aula, molto sporgente, offre ombra e protezione dalla pioggia. Questi tetti sporgenti di Kéré sono imitati dai giovani, creando un modello per le scuole di tutte le zone rurali del mondo.

La scuola di Gando è stata concepita come un luogo di apprendimento aperto e inclusivo. Le aule sono progettate per massimizzare la ventilazione naturale e la luce solare, creando un ambiente confortevole e stimolante per gli studenti. Gli spazi esterni sono stati integrati nel design per incoraggiare l'apprendimento all'aperto e favorire l'interazione sociale. Oltre a fornire un'istruzione di qualità, la scuola di Gando ha avuto un impatto significativo sulla comunità locale. Durante la fase di costruzione, è stato coinvolto attivamente il lavoro degli abitanti del villaggio con la produzione dei blocchi, promuovendo l'empowerment e l'economia locale. Inoltre, la scuola ha contribuito a migliorare le condizioni di vita della comunità e a promuovere la consapevolezza sull'importanza dell'istruzione.

Nel 2008 insieme alla onlus Architettura senza Frontiere Piemonte ho invitato Francis, conosciuto sul cantiere di Fisa International in Burkina, nel contesto dell’UIA World Congress of Architects 2004 a Torino, introducendolo nella lista dei migliori architetti internazionali.

Oltre a questi riconoscimenti, Francis Kéré è stato anche nominato Membro dell'Accademia di Belle Arti di Berlino nel 2017 e ha ricevuto la Medaglia di Oro del Royal Institute of British Architects (RIBA) nel 2018. Il Pritzker Prize nel 2022 gli è stato assegnato per il suo eccezionale contributo all'architettura. La vittoria di un architetto africano che costruisce in terra rappresenta un passo significativo per l'architettura africana e il suo riconoscimento a livello mondiale. Questo evento può contribuire a cambiare la percezione dell'architettura africana e ad aprire nuove prospettive per lo sviluppo sostenibile e l'innovazione nel campo dell'architettura in tutto il continente.

Infatti rappresenta un importante riconoscimento delle sue tradizioni costruttive. L'architettura in terra rappresenta una soluzione sostenibile e ecologica per la costruzione degli edifici. L'utilizzo della terra come materiale di costruzione promuove un'architettura in armonia con l'ambiente circostante. La vittoria di un architetto Burkinbé specializzato nell'uso della terra come materiale di costruzione stimola e promuove comportamenti virtuosi negli intenti delle nuove generazioni fronte alla rapida urbanizzazione in atto oggi nel continente africano. La presenza di Francis Kéré alla Biennale di Venezia 2023 enfatizza e consolida l'importanza di considerare l'Africa come un contesto significativo per la sperimentazione e l'innovazione architettonica.

“L’intero continente africano produce meno del 4% delle emissioni mondiali di gas serra. Questo fatto sorprendente impone una pausa in cui osservare e pensare. Per creare consapevolmente obiettivi in linea con i bisogni che nascono dall’interno. Per trovare modalità di costruzione che non riproducano la perdita, ma ricostruiscano antichi saperi. Per trovare un sapere che non sia privo di valore, ma piuttosto costituisca una preziosa saggezza in grado di alimentare la speranza.”

Kéré Architecture: counteract, Biennale di Venezia 2023

Nous faisons une vision et non une retrospective.

[Facciamo una visione, non una retrospettiva.]

La mostra su Francis a Counteract, alla Biennale di Architettura 2023, si articola in tre momenti distinti che mettono al centro il lavoro e la visione comunitaria e visionaria dell’architetto Burkinabé. Un percorso, con muri che cambiano: dai panelli pubblicitari delle strade delle città Burkinabé a un muro di argilla con decorazioni dell’Archiettura Sudano-Sahelienne, tipica del Sahel, una zona in Africa al di sotto del Sahara caratterizzata da una morfologia da savana arida che in stagione delle piogge diventa molto umida.

Il primo momento della mostra, intitolato "Ciò che era", esplora l'architettura sostenibile e naturale attraverso un'esposizione di edifici storici e contemporanei che si integrano armoniosamente con l'ambiente circostante. Si pone l'accento sulla costruzione con materiali sostenibili e sulle tecniche ereditate da generazioni di costruttori. Attraverso immagini e schizzi, si illustrano i metodi di costruzione di queste strutture, mostrando esempi in diverse fasi di realizzazione.

Il secondo momento, chiamato "Ciò che è", affronta la situazione attuale dell'ambiente costruito in Burkina Faso. Si evidenziano gli edifici urbani, sia esternamente che internamente, rivelando la loro natura utilitaria e le sfide architettoniche dell'odierna vita contemporanea. Si sottolinea l'importanza di trovare soluzioni che rispondano alle esigenze attuali, evitando l'uso massiccio di materiali non sostenibili come la plastica. Il terzo momento, intitolato "Ciò che potrebbe essere", invita i visitatori a considerare approcci alternativi alla costruzione che integrano le esigenze della vita quotidiana e utilizzano conoscenze e materiali provenienti dall'era passata. Si crea così uno spazio che unisce familiarità e innovazione, aprendo la strada a soluzioni architettoniche più sostenibili e inclusive.

Attraverso un approccio consapevole all'uso dei materiali, alla sostenibilità e all'adattamento alle esigenze delle comunità, Keré rappresenta un punto di riferimento per una nuova visione dell'architettura africana. Ma vediamo ora quale è stato il terreno fertile su cui si è posata l’opera di Francis Kéré. Thomas Sankara, l'ex presidente del Burkina Faso (1984-87), è ampiamente riconosciuto per la sua visionaria leadership e la sua ideologia politica progressista. Le sue idee e politiche continuano a ispirare molte persone, in particolare i suoi concetti di "consommez local" (consumate locale) e "osez inventer l'avenir" (osate inventare il futuro).

"Consommez local" enfatizza l'importanza di promuovere la produzione e il consumo locali per raggiungere l'autosufficienza e l'indipendenza economica. Sankara credeva nella riduzione della dipendenza dalle merci e dalle risorse straniere sostenendo le industrie e l'agricoltura locali. Questo approccio mirava a rafforzare l'economia nazionale, creare opportunità di lavoro e preservare il patrimonio culturale del Burkina Faso. "Osez inventer l'avenir" racchiude l'appello di Sankara a osare inventare il futuro. Egli credeva nel mettere in discussione lo status quo e liberarsi dalle influenze neocoloniali. Sankara incoraggiava le nazioni africane a affermare la propria indipendenza, a riconquistare la propria identità culturale e a perseguire soluzioni innovative per affrontare le sfide socioeconomiche. Questa mentalità promuove una visione proattiva, l'autosufficienza e l'empowerment delle comunità africane per plasmare il proprio destino.

Da un punto di vista scientifico, il pensiero politico di Sankara può essere analizzato nel contesto dello sviluppo sostenibile e delle teorie socioeconomiche. La sua enfasi sul consumo locale si allinea ai principi dell'economia ecologica, che promuove la produzione localizzata e le economie circolari per ridurre l'impatto ambientale. La visione di Sankara di inventare il futuro si allinea al concetto di innovazione trasformativa, in cui le società si impegnano attivamente nella creazione di modelli alternativi per affrontare le questioni più urgenti.

L'ADAUA, acronimo di Association pour le Développement d'une Architecture et d'un Urbanisme Africains, era un'organizzazione composta da persone provenienti da diversi paesi, con sede a Ouagadougou, in Burkina Faso. Fondata nel 1975, l'ADAUA aveva come obiettivo quello di rilanciare e promuovere l'architettura tradizionale africana e di formare gli abitanti locali nelle tecnologie appropriate. L'obiettivo principale dell'ADAUA era quello di preservare e valorizzare le pratiche architettoniche tradizionali africane, che riflettevano la cultura, l'identità e l'ambiente dei luoghi in cui erano sviluppate. L'organizzazione promuoveva la conservazione del patrimonio architettonico africano e sosteneva la formazione e la sensibilizzazione sulla progettazione sostenibile e sull'utilizzo delle risorse locali.

Attraverso programmi di ricerca, formazione e scambio di conoscenze, l'ADAUA si impegnava a garantire la continuità delle tradizioni architettoniche africane e ad adattarle alle esigenze e alle sfide dell'urbanizzazione contemporanea. L'organizzazione lavorava in collaborazione con le comunità locali, i professionisti dell'architettura, gli urbanisti, gli studiosi e le istituzioni al fine di promuovere una progettazione consapevole, inclusiva e rispettosa dell'ambiente.

L'ADAUA è stata un importante centro di ricerca nel campo dell'architettura e dell'urbanistica africane e ha svolto un ruolo significativo nel promuovere la diversità culturale e la valorizzazione delle identità locali attraverso l'architettura. La sua attività ha contribuito alla conservazione del patrimonio culturale africano e alla creazione di spazi urbani sostenibili e funzionali che rispondessero alle esigenze delle comunità locali, come l’Ospedale Regionale di Kaédi in Mauritania, progettato e realizzato da Fabrizio Carola. L’ultimo progetto dell’ADAUA, trasformata in Fisa International nel 2007, è stato il Restauro del Museo della Musica di Ouagadougou di cui sono stata l’Architetto principale dal 2008 al 2009. Un progetto realizzato nel 1983 costruito in terra con forme organiche e cupole importanti, situato nel centro della capitale del Burkina Faso. Fisa International crede che esempi eccellenti di architettura in terra aiutino a credere nelle potenzialità dei materiali locali come l’argilla, spesso associati a idee di povertà e al mondo rurale.

Conclusioni

L’architettura di Francis Keré e l’architettura in terra in generale, con una storia che risale a migliaia di anni, presente in diverse culture in tutto il mondo, dimostra un approccio mimetico, olistico e in armonia con la natura circostante. Questo approccio si fonda su principi di basso impatto ambientale, utilizzo efficiente delle risorse e una stretta connessione con la natura.

Gli edifici realizzati con la terra hanno molteplici vantaggi. I materiali sono abbondanti, facilmente reperibili e a basso costo. Il loro uso dinamizza le economie locali. Inoltre, le pareti di terra hanno ottime proprietà termiche e acustiche, garantendo un buon isolamento naturale. Questi edifici sono anche esteticamente affascinanti, con una sensazione di calore e connessione con la terra.

Oggi, l'architettura in terra sta vivendo una rinascita grazie al crescente interesse per la sostenibilità e l'eco-design. Gli architetti e i designers stanno sperimentando nuove tecniche e innovazioni per migliorare le prestazioni strutturali e le finiture degli edifici in terra. Un esempio è Gaia la casa stampata da una gigantesca Stampante 3D. Presentata il 6 e 7 di Ottobre del 2018 a Massa Lombarda (RA), Gaia è la prima casa realizzata con una stampante 3d a base di terra cruda locale (a km zero), e scarti della lavorazione del riso (paglia e lolla di riso), da WASP, leader nella stampa tridimensionale, e con i materiali messi a disposizione dalla Startup italiana RiceHouse.

La vespa vasaia è il nostro modello di sviluppo, un approccio perfetto per costruire case a basso costo, con materiale naturale, a chilometro zero.

(Massimo Moretti)

La realizzazione di Gaia attraverso la stampa 3D in argilla ha comportato una riduzione dei tempi di costruzione e dei costi. “Gaia è un’abitazione piccola (di soli 20 metri quadrati), ma confortevole, che non necessita di riscaldamento o impianti di condizionamento, ma sfrutta la massa termica dei materiali per mantenere la temperatura all’interno costante e mite sia d’estate che d’inverno.”

Gaia rappresenta un esempio significativo di come l'architettura e la stampa 3D possano combinarsi per creare edifici ecologici, esteticamente piacevoli e funzionali. Questo progetto pionieristico ha aperto nuove possibilità nel campo dell'edilizia sostenibile e ha influenzato il progetto dell’architetto Mario Cucinella: “Ispirato metaforicamente a una delle città invisibili di Italo Calvino – la città in continua costruzione – TECLA, un prototipo innovativo di habitat stampato in 3D, è un nuovo modello di abitazione che costituisce una sintesi della filosofia progettuale di MCA. Il nome TECLA (risultato di Technology and Clay) evoca il forte legame tra passato e futuro unendo la materia e lo spirito di antiche dimore senza tempo con il mondo della produzione tecnologica del XXI secolo.”

TECLA: Technology and Clay

La casa progettata da Mario Cucinella nel 2020 si chiama Tecla ed è il prototipo di una abitazione più grande rispetto a Gaia, stampata in 3D in terra cruda.

Tecla rappresenta un'importante innovazione nel campo dell'edilizia sostenibile: utilizzando la tecnologia di stampa 3D, l'edificio è stato realizzato interamente con materiali naturali, in particolare con l'uso di terra cruda come materiale principale.

La tecnica di stampa 3D utilizzata per Tecla consente di creare strutture complesse e dettagliate con una maggiore efficienza e rapidità rispetto ai tradizionali metodi di costruzione. L'uso della terra cruda come materiale di costruzione offre numerosi vantaggi, tra cui la riduzione dell'impatto ambientale, la facilità di reperibilità e la capacità di riciclaggio.

Il design di Tecla presenta forme organiche e curve, ispirate alla natura e all'ambiente circostante. L'edificio è progettato per essere energeticamente efficiente, con un'attenzione particolare all'isolamento termico e all'ottimizzazione dell'uso delle risorse naturali.

Oltre ai vantaggi ecologici, Tecla dimostra anche la flessibilità e le possibilità di personalizzazione offerte dalla tecnologia di stampa 3D. Gli spazi interni ed esterni possono essere progettati in base alle esigenze specifiche degli abitanti, consentendo un'abitazione su misura e funzionale.

La realizzazione di Tecla rappresenta un passo avanti significativo nel campo dell'architettura sostenibile e delle tecnologie di costruzione avanzate. Questo progetto apre nuove strade per l'edilizia e potrebbe avere un impatto significativo sulla progettazione e la costruzione delle abitazioni in futuro.


Residenze insegnanti con rivestimento presso il Villaggio dell'Opera. Foto di Kéré Architettura
Cortile del Burkina Institute of Technology (BIT). Foto di Kéré Architettura
Vllaggio per scuola primaria ideata da Francis Keré, Gando, Burkina Faso
Vllaggio per scuola primaria ideata da Francis Keré, Gando, Burkina Faso
Studenti seduti sulle panchine integrate durante la pausa al Lycée Schorge. Foto di Andrea Maretto per Kéré Architettura
Vista dal cortile della Casa dei Medici Léo. Foto di Jaime Herraiz per Kéré Architecture
  1. Residenze insegnanti con rivestimento presso il Villaggio dell'Opera. Foto di Kéré Architettura
  2. Cortile del Burkina Institute of Technology (BIT). Foto di Kéré Architettura
  3. Vllaggio per scuola primaria ideata da Francis Keré, Gando, Burkina Faso
  1. Vllaggio per scuola primaria ideata da Francis Keré, Gando, Burkina Faso
  2. Studenti seduti sulle panchine integrate durante la pausa al Lycée Schorge. Foto di Andrea Maretto per Kéré Architettura
  3. Vista dal cortile della Casa dei Medici Léo. Foto di Jaime Herraiz per Kéré Architecture




MEER





venerdì 6 settembre 2024

Agricoltura urbana / Ubuntu Urban Food



Università Agraria di Bogor, Jawa Barat, Indonesia


Agricoltura urbana: Ubuntu Urban Food

Una lezione dall'Africa

10 LUGLIO 2024, 



L'agricoltura urbana sta emergendo come una soluzione innovativa ed efficace per i problemi legati alla sicurezza alimentare, alla sostenibilità e all'innovazione sociale nelle aree urbane. Con l'aumento della popolazione urbana e la diminuzione delle aree agricole disponibili, l'agricoltura urbana offre una strategia promettente per migliorare l'accesso a cibo fresco e nutriente, ridurre l'impronta ecologica delle città e coinvolgere le comunità in pratiche agricole sostenibili.

Uno dei principali vantaggi dell'agricoltura urbana è la sua capacità di trasformare spazi inutilizzati o sottoutilizzati, come tetti, balconi, parcheggi e terreni incolti, in aree produttive per la coltivazione di frutta, verdura e erbe aromatiche. Questo non solo contribuisce alla biodiversità urbana e al verde cittadino, ma promuove anche la resilienza alimentare locale, riducendo la dipendenza da fonti di cibo distanti e potenzialmente vulnerabili.

L'agricoltura urbana può assumere varie forme, dalla coltivazione domestica in piccola scala fino a progetti comunitari e imprenditoriali più ampi, che impiegano tecniche innovative come l'idroponica, l'acquaponica e l'agricoltura verticale. Queste tecnologie permettono una produzione efficiente in termini di spazio e risorse, minimizzando l'uso di acqua, fertilizzanti e pesticidi e, in alcuni casi, eliminando completamente il bisogno di terreno agricolo.

Inoltre, l'agricoltura urbana ha un impatto sociale significativo. Coinvolge le comunità nella produzione di cibo, migliora la conoscenza e l'apprezzamento per l'agricoltura, rafforza il legame tra le persone e il cibo che consumano e promuove stili di vita più sani. I progetti di agricoltura urbana possono anche fornire opportunità di lavoro e formazione, specialmente per i giovani e per le comunità marginalizzate, contribuendo allo sviluppo economico locale.

Diverse città in tutto il mondo stanno riconoscendo il valore dell'agricoltura urbana e stanno implementando politiche per supportarne lo sviluppo. Queste includono la fornitura di spazi comunali per orti urbani, incentivi per l'agricoltura sui tetti, e il supporto a iniziative di agricoltura comunitaria. Alcune città hanno anche iniziato a integrare l'agricoltura urbana nei loro piani di adattamento ai cambiamenti climatici, riconoscendo il suo potenziale per migliorare l'assorbimento di CO2, ridurre le isole di calore urbano e gestire le acque piovane.

Nonostante le sfide, come la contaminazione del suolo urbano, la disponibilità limitata di spazio e la necessità di competenze specifiche, l'agricoltura urbana continua a crescere, alimentata da un crescente interesse per la sostenibilità, la sicurezza alimentare e la qualità della vita nelle città. Man mano che le tecnologie e le pratiche si evolvono, l'agricoltura urbana è destinata a giocare un ruolo sempre più importante nel modellare il futuro delle nostre città, rendendole più verdi, resilienti e inclusive.

L'articolo Gli orti urbani di Fabrizio Fasanella, pubblicato sulla rivista Nature Cities, affronta l'interessante tema dell'agricoltura urbana, evidenziandone i benefici ma anche le sfide ambientali. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l'agricoltura urbana presenta un'impronta carbonica superiore a quella dell'agricoltura tradizionale, a causa dell'uso intensivo di risorse in contesti urbani. Tuttavia, Fasanella sottolinea l'importanza culturale e il potenziale di tali pratiche per abbassare le temperature in città e contribuire alla sostenibilità ambientale, educando i cittadini all'importanza della produzione alimentare locale e sostenibile.

Nonostante le emissioni elevate, l'articolo mette in luce come l'orticoltura urbana non debba essere demonizzata, ma incentivata e innovata per ridurre l'impatto ambientale attraverso l'uso di materiali più ecologici e pratiche sostenibili. Emerge, quindi, la necessità di un cambio di prospettiva che veda l'agricoltura urbana non solo come un'attività ricreativa o educativa, ma come un vero e proprio strumento di innovazione sociale e ambientale, capace di rafforzare il tessuto comunitario e di promuovere un modello di consumo più consapevole e vicino ai ritmi della natura.

Il movimento Ubuntu Urban Food si immerge profondamente nella filosofia di Ubuntu per trasformare i sistemi alimentari, promuovendo un approccio inclusivo che armonizza le prospettive globali e locali e sottolinea l'importanza dell'innovazione radicata nel territorio. Questa iniziativa globale sottolinea la necessità di unire forze sia dalle radici (bottom-up) che dalle cime (top-down) della società, per rafforzare la collaborazione attraverso il sistema alimentare e oltre.

Attingendo all'antica saggezza africana dell'Ubuntu, che predica l'interdipendenza e il collettivismo umano, il movimento cerca di instaurare un dialogo inclusivo che accoglie molteplici voci e prospettive per navigare le complessità dei sistemi alimentari contemporanei. Attraverso storie di successo e casi di studio, Ubuntu Urban Food dimostra come l'innovazione a livello locale e l'empowerment delle comunità di base possano effettivamente contribuire a sicurezza alimentare, sostenibilità e inclusione sociale.

Il movimento porta alla luce progetti trasformativi come Producers DirectMama's KitchenGarda Pangan e MA'O Organic Farms, evidenziando il potenziale dell'innovazione territoriale e della collaborazione nel creare sistemi alimentari più giusti e sostenibili. Queste iniziative sottolineano il valore dell'empowerment agricolo, delle pratiche alimentari responsabili, della riduzione dello spreco alimentare e del sostegno alla leadership indigena e giovanile.

Ubuntu Urban Food invoca un cambiamento radicale nel modo in cui pensiamo e agiamo riguardo alla produzione e al consumo alimentare, promuovendo un modello di sviluppo che valorizzi le conoscenze locali e incoraggi un dialogo aperto tra tutti gli stakeholder. Il movimento si pone come una fonte d'ispirazione per future iniziative di leadership nel campo della trasformazione dei sistemi alimentari, guidate dai principi dell'Ubuntu e del rispetto reciproco, sottolineando l'urgenza di un'azione collaborativa e inclusiva per affrontare le sfide globali.

In Uganda, l'agricoltura urbana sta guadagnando sempre più riconoscimento come soluzione innovativa per promuovere la sostenibilità e l'autosufficienza alimentare nelle aree urbane. La Kwagala Farm, nella città di Kampala, si propone come modello di fattoria urbana, ispirando persone di tutte le età ad abbracciare questa pratica. La fattoria si concentra sulla coltivazione di frutta e verdura e sulla trasformazione dei prodotti per il mercato, oltre a offrire formazione su come coltivare colture domestiche per il consumo familiare e la vendita del surplus.

Un altro progetto notevole è il Vertical and Micro Gardening (VMG), nato nel 2014 dall'iniziativa di Paul Matovu. VMG mira a fornire agli abitanti delle città strumenti per diventare più autosufficienti. Attraverso quattro anni di ricerca e sviluppo, hanno creato il Vertical Farm 1.0, una soluzione di agricoltura verticale integrata in legno, la prima del suo genere in Uganda. Questa struttura consente alle famiglie urbane di coltivare 200 piante in soli 3 metri quadrati, promuovendo la consumazione di cibo sano e biologico e offrendo l'opportunità di avviare microimprese agroalimentari.

Donne e gruppi comunitari sono al centro di molte di queste iniziative, con organizzazioni come Women Smiles Uganda che sviluppano soluzioni di agricoltura verticale accessibili. Queste iniziative non solo migliorano la sicurezza alimentare, ma offrono anche formazione sull'agricoltura urbana, sulla produzione di fertilizzanti organici e su come massimizzare i rendimenti in spazi ristretti.

A Dakar, il progetto The Rooftop mira a promuovere la sicurezza alimentare e lo sviluppo comunitario attraverso l'installazione di giardini sui tetti. Questa iniziativa non solo mira a migliorare l'accesso al cibo nelle aree urbane, ma cerca anche di rafforzare i legami comunitari e promuovere lo sviluppo sostenibile.

L'agricoltura sui tetti, come esplorato nel documento Rooftop Agriculture - a climate change perspective, elaborato da Marielle Dubbeling e Edouard Massonneau per la RUAF Foundation, rappresenta una pratica innovativa e sostenibile volta alla produzione di alimenti freschi (verdure, erbe, frutti, fiori edibili e talvolta piccoli animali) sui tetti per il consumo locale. Questo tipo di agricoltura combina produzione alimentare e sostenibilità ecologica, offrendo vantaggi quali la riduzione del deflusso delle acque piovane, benefici termici come la potenziale riduzione del fabbisogno di riscaldamento e raffreddamento (risultando in minori emissioni), miglioramento della biodiversità, valore estetico migliorato e qualità dell'aria. Si distingue per l'utilizzo spesso di metodi di coltivazione in contenitori o "tavoli", sistemi idroponici, e talvolta il terreno basato sulla produzione diretta in letti poco profondi.

Ci sono tre tipi principali di tetti verdi produttivi identificati:

  • Tetti agricoli verdi o tetti verdi direttamente produttivi, dove le colture crescono direttamente in letti poco profondi in un mezzo di coltivazione basato sul suolo.
  • Giardini in contenitori sui tetti, che prevedono la coltivazione di verdure, erbe, frutti e fiori in vasi, contenitori o letti rialzati contenenti un mezzo di coltivazione basato sul suolo.
  • Sistemi idroponici sui tetti, che implicano la coltivazione di piante utilizzando soluzioni nutrienti a base d'acqua al posto del suolo.

L'agricoltura sui tetti può essere posizionata su case individuali, edifici istituzionali e uffici, tetti di ristoranti e serve sia per il consumo domestico che per l'uso di prodotti freschi nei ristoranti o nelle cucine istituzionali o per la produzione commerciale. L'obiettivo è massimizzare sia la produzione alimentare che il potenziale di generazione di reddito per ridurre la vulnerabilità alle carenze alimentari/aumento dei prezzi degli alimenti e cambiamenti nel reddito, diversificare le fonti di reddito (aumentando così la resilienza dei produttori) e consentire ulteriori investimenti (ad esempio, in tecnologie per la raccolta dell'acqua piovana). 

Questo approccio non solo mira a combattere l'insicurezza alimentare ma contribuisce anche alla mitigazione e all'adattamento ai cambiamenti climatici, promuovendo la biodiversità, riducendo il deflusso delle acque piovane e migliorando la qualità dell'aria attraverso la cattura di particelle inquinanti e la produzione di ossigeno. Inoltre, l'agricoltura sui tetti può ridurre significativamente il cosiddetto "effetto isola di calore" urbano, contribuendo a diminuire le temperature nelle aree urbane densamente costruite.

A Parigi esiste un'iniziativa pionieristica, nel cuore della capitale francese, dove la più grande fattoria urbana sul tetto del mondo ha iniziato a produrre frutti, verdure e erbe aromatiche. Situata in cima a un padiglione espositivo nel 15° arrondissement, questa fattoria utilizza tecniche di agricoltura verticale e aeroponica per coltivare le piante senza suolo, sospese in aria, con le radici alimentate da una soluzione di acqua arricchita con nutrienti minerali.

Pascal Hardy, ingegnere e consulente per lo sviluppo sostenibile, è la mente dietro questo progetto, che si estende su una superficie di 14.000 metri quadrati. L'agricoltura praticata qui è descritta come pulita, produttiva e sostenibile, capace di contribuire alla resilienza delle grandi città. Nonostante le dimensioni ridotte rispetto alla vastità delle necessità alimentari urbane, l'iniziativa mira a coprire una percentuale significativa del consumo locale attraverso una produzione iper-locale.

La fattoria produce una vasta gamma di ortaggi, con il team di agricoltori urbani che già raccoglie quantità significative di lattughe e fragole. I prodotti sono destinati sia ai residenti locali, attraverso ordini online, sia a strutture come hotel, ristoranti e mense aziendali, promuovendo un modello di consumo a "chilometro zero".

Oltre al suo impatto diretto sulla fornitura alimentare urbana, il progetto serve anche come vetrina per la società di Hardy, Agripolis, che propone di esportare il modello di fattoria urbana senza suolo in altre parti del mondo. L'iniziativa evidenzia i benefici di questo approccio agricolo, come la riduzione dell'uso dei pesticidi, il minor trasporto necessario e l'uso efficiente dello spazio e delle risorse idriche, offrendo un modello replicabile che combina sostenibilità e innovazione.

Il progetto ProGIreg, sostenuto dall'Unione Europea tramite il programma Horizon 2020, mira a rivoluzionare l'approccio all'agricoltura urbana coinvolgendo cittadini e comunità nella rigenerazione delle aree urbane post-industriali attraverso soluzioni basate sulla natura (NBS). Torino, con il distretto di Mirafiori Sud, rappresenta l'unico esempio italiano di questa innovativa iniziativa, dove vengono testate sette tipologie di NBS, tra cui nuovi suoli rigenerati, orti comunitari e scolastici, sistemi di acquaponica, tetti e pareti verdi, e corridoi verdi accessibili. Questi interventi mirano a migliorare la salute e la qualità della vita, riducendo la vulnerabilità climatica e apportando benefici economici tangibili per cittadini e imprese.

Parallelamente, l'Impresa Sociale Agricola Grow-up, attiva nel cuore di Torino, concretizza la visione di un'agricoltura multifunzionale all'interno della città, promuovendo l'educazione e la pratica dell'agricoltura sostenibile. Attraverso progetti come Edufarm e l'adozione di tecniche innovative quali l'acquaponica, Grow-up si impegna per un cambiamento verso modalità di produzione e consumo responsabili, sostenendo inclusione sociale e lavorativa. L'agricoltura urbana, quindi, diventa un ponte tra tradizione e innovazione, capace di rigenerare il tessuto urbano e sociale di Torino.

Concludendo, le città possano trasformarsi in ecosistemi viventi e sostenibili. Questi progetti non solo dimostrano il potenziale dell'agricoltura urbana nel rispondere alle sfide contemporanee di sicurezza alimentare, cambiamenti climatici e coesione sociale, ma aprono anche la strada a un futuro in cui le comunità sono al centro della rigenerazione urbana, lavorando insieme per un ambiente più sano, resiliente e inclusivo. La scommessa per il futuro sarà quindi quella di replicare e adattare questi modelli di successo in altri contesti urbani, promuovendo un'agricoltura che sia allo stesso tempo radicata nel territorio e aperta all'innovazione.

MEER



giovedì 5 settembre 2024

Lina Iris Víctor / Una donna nera e d’oro


Lina Iris Viktor, artista e pittrice anglo-liberiana, in posa con una delle sue opere, "Materia Prima"
Lina Iris Viktor, artista e pittrice anglo-liberiana, in posa con una delle sue opere, "Materia Prima"


Lina Iris Viktor, la Klimt africana

Una donna nera e d’oro

10 APRILE 2024, 


Lina Iris Viktor è un'artista anglo-liberiana dall'eclettico talento, nata nel 1987 in Inghilterra, che abbraccia una vasta gamma di discipline creative, tra cui performance, installazioni site-specific, scultura, pittura e fotografia. Il suo lavoro è stato distintamente etichettato come afro-futuristico dal New York Times.

La pratica di Viktor è intrinsecamente multidisciplinare. Ha ricevuto la sua istruzione in una scuola internazionale a Londra, dove si è concentrata principalmente sulle arti performative. In quanto studentessa residente sette giorni su sette, Viktor spiega come questa esperienza l'abbia immersa in un vortice di culture e religioni differenti, l'abbia insegnata a parlare diverse lingue e a convivere con persone provenienti da tutto il mondo. Questo background le ha donato la visione del mondo che possiede oggi. In seguito, Viktor ha proseguito i suoi studi in teatro al Sarah Lawrence College negli Stati Uniti, ma ha trovato quest'esperienza eccessivamente limitante e riduttiva. Le frustrazioni legate alle questioni razziali e sociopolitiche che ha vissuto in quel contesto l'hanno spinta a cambiare direzione.

Dopo una parentesi nel mondo del cinema, dove ha lavorato con Spike Lee, Viktor ha aperto la sua agenzia di design. Tuttavia, la sua ricerca dell'arte pura e della soddisfazione di creare autonomamente il suo lavoro l'hanno portata verso studi più artistici. Ha studiato fotografia e design presso la School of Visual Arts di New York e si è dedicata a esprimere le sue idee sulla tela. Questo percorso artistico e multidisciplinare riflette chiaramente la sua visione e influenza profondamente il suo lavoro.

La Liberia, situata nella regione occidentale dell'Africa, è una terra di contrasti e complessità storiche. Fondata nel 1847 come rifugio per gli schiavi liberati, la nazione è caratterizzata da una storia di segregazione e disuguaglianza. Qui, le disuguaglianze etniche e sociali, spesso alimentate da una complessa relazione con il passato schiavista, sono rimaste un tema centrale per gran parte del suo sviluppo. Lina Iris Viktor porta con sé questa eredità storica mentre crea le sue opere che sono un crocevia di identità africane, arti visive e commento sociale. Viktor è emersa come un'artista provocatoria e visionaria il cui lavoro esplora profondamente i temi della modernità, delle tradizioni africane e dell'identità, il tutto mentre utilizza l'oro e il nero in un modo che richiama le opere di Gustav Klimt.

L'opera di Lina Iris Viktor è un connubio di materiali, metodi e lessici visivi associati alle forme d'arte contemporanee ed antiche. L'artista plasma una mitologia peculiare che intreccia il profondo passato di una diaspora con un presente espansivo, cercando di scrutare immaginari futuri. La sua sintesi di pittura, scultura, performance, fotografia e doratura con oro a 24 carati produce una carica materialità che affronta contemporaneamente idee filosofiche del finito e dell'infinito, del microcosmo e del macrocosmo, dell'evanescenza e dell'eternità.

Nella cosmologia di Viktor, il nero, sia come sostanza che come colore, ricopre il ruolo principale di materia prima o di fonte primordiale della vita, provocando e sfidando le preconcette visioni sociopolitiche e storiche riguardo alla "nerezza" e alle sue implicazioni universali. Il nero, in Viktor, non è semplicemente un colore o una tonalità, ma è un'entità che rappresenta una forza creativa, un punto di partenza e un simbolo di potere. Questo approccio sfida pregiudizi profondamente radicati legati al colore della pelle e alle connotazioni storicamente attribuite al nero. Si tratta di un invito a riconsiderare e riconsiderare il significato del nero, spingendo a riflettere sulle interpretazioni culturali e sociali che spesso lo hanno circondato.

Il lavoro di Viktor è fondato sulla ricerca e attinge a influenze diverse, tra cui l'arte, l'architettura, la scienza, la matematica, e l'astrofisica, per esaminare non solo le storie culturali della diaspora africana globale, ma anche le civiltà antiche attraverso il tempo e lo spazio. Sebbene i suoi lavori siano spesso intrecciati con simboli e ricche eredità materiche, è importante sottolineare che questi non sono autoritratti, sono forme, donne complesse. Questa forma può rappresentare un personaggio specifico, come ad esempio Yaa Asantewaa, una regina guerriera Ashanti, o la Sibilla Libica, una profetessa della mitologia greca che, durante l'abolizione della schiavitù, è stata riconfigurata come un potente simbolo di emancipazione. Lavorare con i personaggi in questo modo conferisce ai suoi lavori un elemento performativo, poiché permette allo spettatore di immergersi in un universo da lei creato.

Il risultato è un corpus di opere che si muove agilmente tra diversi campi e influenze, offrendo uno sguardo unico sulla complessità delle culture e della storia africana, tanto antica quanto contemporanea. Questo approccio all'arte incarna la visione di una donna libera da stereotipi, confini e regole predefinite, che abbraccia con fluidità le diverse sfaccettature della sua identità, e che si impegna attivamente nella lotta per l'uguaglianza di genere e la giustizia sociale, combinando abilmente tradizione e innovazione.

Kara Walker, un'altra delle figure più influenti dell'arte contemporanea, ha affrontato il tema della "nerezza" attraverso il suo lavoro, fornendo un quadro importante per comprendere le narrazioni visive complesse di artiste come Lina Iris Viktor. Entrambe affrontano la complessità dell'identità nera, del passato storico e del presente, sebbene con approcci artistici distinti.

Kara Walker, nata nel 1969 a Stockton, California, è cresciuta a Atlanta, Georgia. Ha ottenuto il riconoscimento internazionale per il suo uso audace della silhouette e per le opere che esplorano le rappresentazioni e le percezioni razziali negli Stati Uniti. Le sue silhouette, spesso elaborate e dettagliate, affrontano i temi dell'oppressione, dell'identità, del potere e della violenza razziale nella storia americana. Walker è diventata famosa per la sua capacità di raccontare storie complesse attraverso le silhouette, un mezzo che tradizionalmente è associato all'arte dell'Ottocento. Ha reinventato questa forma artistica per narrare una "storia dell'America oscura". Le sue installazioni site-specific spesso immergono gli spettatori in una sorta di sogno allucinato, in cui le silhouette, spesso in nero, raffigurano scene oscure e disturbanti del passato e del presente americano. Le opere di Walker sono cariche di simbolismo, e il nero è un colore chiave nel suo lavoro, non solo come colore della silhouette, ma come veicolo per rappresentare la complessità dell'esperienza nera.


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Kara Walker: My Complement, My Enemy, My Oppressor, My Love | Whitney Museum of American Art

Sebbene gli stili di Kara Walker e Lina Iris Viktor siano differenti, entrambe le artiste si dedicano a una profonda esplorazione delle rappresentazioni della "nerezza" e delle identità nere nella loro opera. Kara Walker usa le silhouette per narrare storie complesse sulla storia razziale dell'America, l’uso del nero rappresenta una sfida alle visioni tradizionali del colore come oscurità e, al contrario, lo trasforma in uno strumento potente per rivelare l'America oscura e la complessità dell'esperienza nera. Lina Iris Viktor, dall'altra parte, esplora il nero non solo come colore, ma come "materia prima" o "fonte primordiale" della vita nella sua opera. Il suo uso dell'oro, in particolare, in contrapposizione al nero, è un elemento chiave che porta in luce la tensione tra tradizione e modernità, creando una profonda connessione con le radici africane e l'immaginario afro-futuristico. Mentre Kara Walker si concentra sulla narrazione storica e politica attraverso l'uso delle silhouette, Viktor adotta una prospettiva cosmologica, spingendo a riflettere sul significato del nero nell'universo e nella storia dell'umanità.

Nonostante le differenze nei loro approcci artistici, sia Kara Walker che Lina Iris Viktor sfidano le convenzioni preconcette sul colore nero e la nerezza. Entrambe mettono in luce le complesse connessioni tra passato e presente, tradizione e modernità, e sfidano gli spettatori a riconsiderare il modo in cui la "nerezza" è rappresentata e compresa nell'arte contemporanea. Nel processo, entrambe le artiste aprono spazi per un dialogo più ampio sulle identità nere, la loro storia e il loro futuro. L'interesse di Lina Iris Viktor per l'architettura, la materialità degli oggetti e il loro rapporto con lo spazio influenza molte delle installazioni che immagina e realizza. Con un impulso estetico archeologico e influenze che spaziano dalle tradizioni scultoree dell'Africa occidentale, all'iconografia dell'antico Egitto, all'astronomia classica e alla ritrattistica europea, la pratica di Viktor attraversa i confini tra il mondo mortale e quello divino.

Le sue opere audaci e sfaccettate che mescolano arte africana tradizionale, simbolismo moderno e stile si distinguono anche per l’uso dell’oro. Nell'uso dell'oro notiamo un chiaro omaggio a Gustav Klimt, il celebre pittore simbolista austriaco. Questo omaggio, però, è più di un semplice richiamo; è un dispositivo per esplorare le contraddizioni dell'identità africana nel mondo contemporaneo. Viktor usa l'oro, una tonalità che evoca regalità, ricchezza e prestigio, come sfondo nelle sue opere. Questo non è un omaggio casuale all'oro africano, che è stato una fonte di ricchezza e potere sin dai tempi antichi, ma anche una dichiarazione sulla percezione dell'arte africana e delle culture africane in un contesto contemporaneo. L'uso dell'oro sottolinea l'importanza dell'Africa nel panorama globale e sfida l'idea che le culture africane siano marginali o periferiche.

Nella cultura occidentale l'oro, da sempre, ha detenuto un significato speciale nell'arte. È stato utilizzato per rappresentare non solo la ricchezza materiale, ma anche il lusso, la spiritualità e il potere. Gustav Klimt è noto per la sua "Fase d'Oro", un periodo in cui ha creato opere d'arte che sono intrise di dettagli dorati. Un'opera emblematica di questo periodo è il "Fregio di Beethoven". Questo ciclo murario, realizzato nel 1902 per la 14a mostra della Secessione viennese, celebra il compositore Ludwig van Beethoven. Questo non è stato solo un atto di estrema bellezza, ma anche un gesto audace di sfida all'aristocrazia viennese dell'epoca. Mentre i nobili di Vienna potevano permettersi l'oro nei loro palazzi, Klimt lo ha portato direttamente al pubblico, dichiarando che l'arte dorata non era solo per l'élite.

Nei lavori della Viktor l'oro non è solo un elemento decorativo, ma un simbolo di emancipazione e di ridefinizione della visione della donna africana. Le sue opere sfidano gli stereotipi che hanno a lungo confinato le donne africane in ruoli statici. Le sue opere spesso presentano figure femminili, avvolte in sfumature di nero, che sembrano emergere dall'oro circostante. Questo contrasto tra l'oro brillante e l'ombra evoca una contraddizione intrinseca. La donna ritratta è in bilico tra la modernità e le tradizioni ancestrali. La sua identità è sfaccettata, così come il suo ambiente. Viktor usa l'oro per creare sfondi luccicanti e intricati dettagli, trasmettendo una sensazione di potere e regalità. Le sue opere sono un'opposizione diretta alla rappresentazione stereotipata e spesso degradante delle donne africane.

Questa contraddizione è un riflesso delle complessità dell'esperienza africana contemporanea. Mentre il continente abbraccia la modernità in costante evoluzione, molti cercano di mantenere le loro radici culturali e tradizioni. Viktor cattura questa tensione, spesso rappresentando le sue figure con corone di ispirazione africana, simboli di eredità e nobiltà. L'oro, come elemento comune in queste due storie d'arte, di Klimt ieri e di Lina Iris Viktor oggi, diventa un simbolo di creatività e di sfida artistica. Rappresenta il potere dell'arte di infrangere schemi e di emancipare l'individuo, indipendentemente dal tempo o dal luogo.

L'arte africana sta vivendo una rinascita, spingendo gli artisti a esplorare una vasta gamma di temi e tecniche. La diversità culturale e geografica del continente si riflette nell'arte, che è varia e multiforme. L'arte contemporanea africana sfida anche le etichette culturali e le definizioni. Non è più circoscritta da confini geografici o da temi specifici, ma abbraccia la globalizzazione e le sfide sociali. Gli artisti africani affrontano questioni come il colonialismo, il cambiamento climatico, l'identità di genere e l'urbanizzazione, dimostrando una profonda consapevolezza delle questioni globali. Kara Walker e Lina Iris Viktor, insieme ad altri artisti contemporanei, stanno aprendo nuovi percorsi nella comprensione dell'arte e della cultura africana. Il loro lavoro è un richiamo all'importanza di una narrazione più inclusiva e completa, che non limiti l'Africa a semplici preconcetti.

Tuttavia, questo non è un percorso privo di sfide. Gli artisti africani contemporanei devono affrontare il rischio di commercializzazione e di sfruttamento culturale. Mentre il mondo mostra un crescente interesse per l'arte africana, c'è il pericolo che essa venga svuotata del suo significato autentico e ridotta a mero oggetto di consumo. Interessante notare che, nonostante la ricchezza degli imperi nella storia africana, spesso la narrazione dell'Africa in Occidente è stata dominata da stereotipi negativi che ritraggono il continente come una terra di povertà e fame. Questo divario tra la realtà storica e la percezione occidentale è una sfida significativa che gli artisti africani devono affrontare. La Biennale di Venezia del 2023 in generale, e l'opera di Lina Iris Viktor in particolare, hanno posto l'attenzione su questa questione. Questa spunto di Lina Iris Viktor come "Klimt africana" sottolinea la necessità di riconsiderare le rappresentazioni dell'Africa e di riconoscere la ricchezza delle sue culture e la complessità della sua storia.

In conclusione, desidero condividere un'esperienza significativa vissuta in un Liceo in Burkina Faso, che riflette il potere trasformativo dell'arte. In questo contesto, ci siamo trovati a creare la scenografia per un cortometraggio, un progetto che ci ha spinto a immaginare la città del 2150 e disegnare il ritratto delle donne del futuro con l'ausilio delle intelligenze artificiali. Questo esercizio ha contribuito a gettare le basi di un'ispirazione profonda, una visione che artiste come Lina Iris Viktor, Kara Walker e Wangechi Mutu suscitano in me, un architetto di formazione politecnica, e nelle nuove generazioni africane.

La figura della "donna di Wasya," nata da questo processo creativo, rappresenta una testimonianza tangibile del potere dell'arte nel plasmare il cambiamento sociale. Questa donna, libera dai limiti e dagli stereotipi, incarna un mondo di scelte fluide e di identità multiformi. Nel rispetto delle sue radici culturali, abbraccia le nuove idee e le tecnologie, dimostrando una notevole capacità visionaria. Ma ciò che la distingue è il suo ruolo attivo nella lotta per l'uguaglianza di genere e la giustizia sociale. Non è semplicemente una spettatrice passiva del cambiamento, ma si erge a leader e promotrice attiva del progresso. Nel suo abbigliamento, fonde con eleganza tradizione culturale e design innovativo, attingendo ispirazione da artiste come Lina Iris Viktor e Claude Kameni. Questi abiti sono una celebrazione della sua identità unica e della sua creatività. Tuttavia, non si ferma qui. Questa donna è anche un'ambientalista consapevole dell'importanza di un mondo sano e sostenibile. Si impegna instancabilmente nella protezione dell'ambiente e nella promozione di stili di vita ecologici.

Il nostro progetto, chiamato "Wasya", è realizzato con i ragazzi della 3° del Liceo Internazionale Francese André Malraux di Bobo-Dioulasso, Burkina Faso, 2022-2023.


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Lo spazio animista e la donna di Wasya - Arch. Chiara Rigotti
No. XXVI "Refuge from the aftermath... A Reckoning to come", Lina Iris Viktor
Lo spazio animista e la donna di Wasya - Arch. Chiara Rigotti
Lo spazio animista e la donna di Wasya - Arch. Chiara Rigotti
Lo spazio animista e la donna di Wasya - Arch. Chiara Rigotti
"Syzygy", Lina Iris Viktor
  1. Lo spazio animista e la donna di Wasya - Arch. Chiara Rigotti 
  2. No. XXVI "Refuge from the aftermath... A Reckoning to come", Lina Iris Viktor
  3. Lo spazio animista e la donna di Wasya - Arch. Chiara Rigotti 
  1. Lo spazio animista e la donna di Wasya - Arch. Chiara Rigotti 
  2. Lo spazio animista e la donna di Wasya - Arch. Chiara Rigotti 
  3. "Syzygy", Lina Iris Viktor


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