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domenica 13 ottobre 2019

Yoko Ono, gli auguri collettivi a Sean e John Lennon: "Sei ancora con noi"

Yoko Ono



Yoko Ono, gli auguri collettivi a Sean e John Lennon: "Sei ancora con noi"

Con un post l'artista celebra il compleanno congiunto dell'ex marito e del figlio

9 OTTOBRE 2019

"Buon compleanno John e Sean": Yoko Ono celebra sui suoi account social il compleanno di John Lennon, che oggi avrebbe compiuto 79 anni, e del figlio Sean da lui avuto, che ne compie 44. Nati lo stesso giorno, separati da 35 anni di vita.




"John, sei ancora con noi, ci dai ispirazione e felicità quando servono assolutamente. Vi amo tutti", scrive Ono. L'hashtag #JohnLennon, a quasi 40 anni dalla morte dell'artista, oggi domina Twitter e ha raccolto decine di migliaia di messaggi.


Yoko Ono, gli auguri collettivi a Sean e John Lennon: "Sei ancora con noi"

Yoko Ono e John Lennon si incontrarono per la prima volta quando l'ex Beatle visitò la prima di un'esibizione dell'artista giapponese all'Indica Gallery di Londra. Era il 9 novembre 1966 e, il 20 marzo del 1969, sulla Rocca di Gibilterra, sarebbero diventati marito e moglie. Sean è l'unico figlio avuto dalla coppia. Lennon vide nascere, l'8 aprile 1963, Julian, concepito con la prima consorte Cynthia mentre Ono partorì Kyoko Chan Cox l'8 agosto 1963. Si era infatti sposata con il jazzista e produttore cinematografico americano Anthony Cox, dal quale divorziò il 2 febbraio 1964.

LA REPUBBLICA




martedì 22 gennaio 2019

Donne / Pirelli

From the forward of the calendar, Yao Chen

Donne
Pirelli 2016
Annie Leibovitz

January, Natalia Vodianova

February, Kathleen Kennedy

March, Agnes Gund, right, and Sadie Rain Hope-Gund

April, Serena Williams


May, Fran Lebowitz

June, Mellody Hobson

July, Ava Duvernay

August, Tavi Gevinson

September, Shirin Neshat

October, Yoko Ono

November, Patti Smith

December, Amy Schumer


Amy Schumer / Yoko Ono



sabato 15 luglio 2017

Gestures / Women in action

Yoko Ono & John Lennon
Bed in (1969)

Gestures
Women in action

6 feb — 10 apr 2016 presso Merano Arte a Merano

di 
Una rassegna dinamica e complessa. È quanto risulta essere la mostra Gestures- Women in action, in corso a Merano Arte fino al prossimo 10 aprile. Curata da Valerio Dehò, l'esposizione altoatesina presenta 40 opere - fotografie, video, oggetti e collage - che ripercorrono le espressioni più significative della Body Art femminile dagli anni Sessanta ad oggi. Sono lavori che esplorano il tema del corpo femminile impiegato come mezzo espressivo primario per veicolare un pensiero di protesta e sovvertimento dei valori costituiti, realizzati dalle più importanti esponenti della Body e Performance Art attive già dagli anni Sessanta e Settanta, quali Yoko Ono, Marina Abramovic, Valie Export, Yayoi Kusama, Ana Mendieta, Gina Pane, Carolee Schneemann, Charlotte Moorman, Orlan, alle esperienze più recenti di artiste quali Sophie Calle, Jeanne Dunning, Regina José Galindo, Shirin Neshat, Silvia Camporesi e Odinea Pamici.
La mostra testimonia un percorso artistico tortuoso, attraverso il quale le donne protagoniste del movimento della Body Art hanno mutato profondamente il corso dell'arte contemporanea. Uno dei punti principe è stato l'abolizione dei confini tra teatro, spettacolo, comunicazione e arte: le loro opere, infatti, hanno sviluppato un approccio che intendeva abolire la distanza tra artista e pubblico, facendo dell'arte un fondamento della comunicazione sociale, uno specchio e un laboratorio dei cambiamenti in atto. Il pubblico non era più considerato uno spettatore passivo, ma parte integrante dell'opera stessa.

Marina Abramovic
Ritratto di Platon

L'esposizione si sviluppa in senso cronologico e si apre con la grande fotografia di Marina Abramovic. A seguire una serie di immagini e video di Yoko Ono, già esponente negli anni Cinquanta del movimento Fluxus. In mostra figurano il celebre video e alcune fotografie della performance Cut piece (1965), e altre tratte dalla performance eseguita con il marito John Lennon: Bed In (1969). Ed ecco la serie di foto e video di Marina Abramovic con le sue performance estreme in cui esplora i limiti della sopportazione corporea, le potenzialità della mente e della concentrazione. Nella seconda sala troviamo la performance Blood sign (1972) dell'artista cubana Ana Mendieta, i cui lavori si caratterizzano per una singolare una ritualità legata alle antiche culture indigene e una forte radice trans-culturale, in cui il corpo si confronta con l'ambiente e gli elementi naturali.
Dialoga con quest'opera una fotografia de Azione sentimentale (1973) di Gina Pane, una delle grandi esponenti della Body Art in Italia. E dell'artista giapponese Yayoi Kusama, attiva negli USA come performer e artista dagli atteggiamenti osè , è la fotografia di una performance svoltasi nel corso dei propri happening. Il percorso espositivo prosegue con l'artista austriaca Valie Export, pseudonimo attraverso il quale ha voluto negare il cognome paterno e del marito per sostituirlo a una scritta a caratteri cubitali che rimanda alla marca di sigarette austriache Export Smart. E sempre per il suo lavoro sul corpo, sulla sessualità e sui generi, è l'americana Carolee Schneemann, con la serie fotografica che documenta la performance Ice naked skating (1972), e con un'opera che fa parte della straordinaria serie Eye Body (1963). Ancora al centro della sala, due grandi fotografie della francese Orlan, esponente di spicco del corpo estremo rendendolo materiale artistico primario e riflettendo sul tema dell’ibridazione tra natura e tecnologia.

Mon ami (1984)
Sophie Calle

Altra importante artista francese è Sophie Calle con la fotografia Mon ami (1984). Le opere dell'artista francese, dal sapore voyeuristico, esplorano il tema dell'identità e intimità femminile, interrogandosi sul confine tra esperienza pubblica e privata. E ancora di Marina Abramovic è Balkan Baroque, performance con cui ha ottenuto il Leone d’oro alla Biennale di Venezia del 1997 . A fare da contrappunto all'immagine traboccante della Abramovic, è quella di Jeanne Dunning, dalla serie Long Hole (1994-96). Il lavoro dell'artista statunitense riflette sulla relazione che ognuno di noi intrattiene con la propria singolare fisicità, identità e sessualità, esplorando gli aspetti stranianti che emergono da questo confronto.
L'opera dell'iraniana Shirin Neshat si focalizza sul ruolo sociale della donna nelle società islamiche contemporanee. In mostra è una visione oscura e intima, uno still del cortometraggio realizzato dall'artista nel 2001 intitolato Pulse. Mentre con Il sale della terra (2006) la giovane fotografa italiana Silvia Camporesi crea un universo molto delicato e poetico, letto in chiave intimista. Più corporea e provocante Odinea Pamici che con Ballo per Yvonne (2005) gioca con gli stereotipi femminili, i simboli del matrimonio e della cucina come spazio consacrato alla donna dalla tradizione. A chiudere il percorso espositivo meranese sono alcune opere della performer guatemalteca Regina José Galindo. Nelle sue performance, l’artista opera con una gestualità aggressiva sui propri limiti fisici e psicologici, trasformando il proprio corpo nel teatro di un conflitto permanente, in una storia infinita per un tempo indissolubile.

Enrico Gusella
Enrico Gusella, (laurea in DAMS all’Università degli Studi di Bologna) è critico e storico delle arti.
E’ cultore della materia presso il Dipartimento TeSIS dell’Università di Verona. E’ stato professore a contratto per l’insegnamento di Storia della Fotografia e delle Arti Visive all’Università Ca’ Foscari di Venezia – SSIS Veneto, e borsista per seminari di specializzazione in arte contemporanea, antropologia, estetica e semiotica all'Università "Suor Orsola Benincasa" di Napoli, all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e al Centro Internazionale di Semiotica e Linguistica dell'Università di Urbino.
Dai primi anni Novanta a oggi ha curato oltre 250 mostre tra cui: Vittorio Storaro. Un percorso di luce; Mimmo Jodice. Tempo interiore; Eugene Smith; Tina Modotti. Una vida fragil; Gianni Berengo Gardin. Copyright; Mario Giacomelli. Poesia come realtà; Wim Wenders. Il mondo delle immagini; Andrej Tarkovskij.Luce istantanea; Giovanni Umicini. Per Padova; Giovanni Chiaramonte. Nascosto in prospettiva; Mario Schifano. Gioie istantanee; Roman Signer. Fotografie di viaggio; Passaggi a Nord Est; Buby Durini for Joseph Beuys; Albert Steiner. Del paesaggio sublime; Dieci fotografi d’oro; Douglas Kirkland. Portraits; Ricordando Krzysztof Kieslowski. Fotografie di Piotr Jaxa; Glocal 3; Forme del paesaggio contemporaneo.
Ideatore di convegni e seminari sulla fotografia e le arti visive contemporanee quali Il Fotogiornalismo. Rapporti tra agenzie, fotografi e photoeditor; Dell'imperfezione. Dieci incontri sull'estetica contemporanea; La camera oscura. Storia ed estetica della fotografia; Del senso; La realtà fotografica in Italia. Istituzioni, fondazioni e gallerie a confronto; Wim Wenders. L’occhio in movimento; Il paesaggio nelle arti.Ideatore di rassegne di scultura all’aperto, Materie. I luoghi della forma, e dell’arte contemporanea emergente - Altre presenze del contemporaneo.
Studioso che in ambito scientifico si occupa di semiotiche delle arti, e delle poetiche del paesaggio e dell’architettura. Come giornalista-pubblicista collabora per le pagine culturali di alcuni quotidiani italiani e con riviste d’arte.


venerdì 13 giugno 2014

Yoko Ono / La bambina dell’oceano diventa una performer


Yoko Ono

La bambina dell’oceano diventa una performer

13 GIUGNO 2014, 
Se questa fosse una sera di marzo del 1965 e io mi trovassi al Carnegie Recital Hall di New York con una forbice in mano e a un passo dalla sua veste sfrangiata, sono certa che taglierei un brandello di stoffa proprio lì… in prossimità di quello che definisco lo zenit della femminilità: il seno. Le scoprirei i seni, uno dopo l’altro... e poi parte dello sterno. Così. Cautamente. E so che lei resterebbe immobile, con lo sguardo fisso su una qualche intimissima lontananza, o perso a rincorrere una qualche memoria liquida. Così, a braccia conserte e gambe incrociate. Felice di essere sbucciata. Felice di essere stanata. Perché si è più vivi quando si è esposti; si è più puri quando non si hanno difese.


“Sbucciami... Spogliami... Sfogliami...”
Cut Piece, la più celebre performance di Yoko Ono, fu un’azione comportamentale audace e catartica. Quella sera di marzo del 1965 – appena vent’anni dopo l’esplosione della bomba atomica –, la bambina che veniva dall’oceano e che, insieme alla propria famiglia, aveva vissuto gli orrori della guerra, decise di sfidare le ombre della paura celebrando la propria nudità. In silenzio, sedette al centro del palco, incrociò le gambe in posizione meditativa e lasciò che il primo spettatore le si avvicinasse. Gli porse dunque un paio di forbici, e lo invitò a tagliarle via l’abito-corazza. Dopo il primo arrivò il secondo, e poi il terzo e il quarto… e l’ennesimo. I primi spettatori sferrarono timide sforbiciate. Ma con i successivi il ritmo si fece più intenso. Anche chi tagliava perdeva frattaglie delle proprie paure e partecipava emotivamente all’azione. Lei era lì, senza orpelli e senza voce. Indossava null’altro che un lungo abito scuro. E da quell’abito chiedeva di essere liberata. Piano. Brandello dopo brandello. Sforbiciata dopo sforbiciata. Strati di inconsapevoli menzogne cadevano dal corpo, come lembi di un inutile vestito. E la bambina dell’oceano tornava a respirare.


Come scrisse lo storico dell’arte Edward Lucie-Smith, “l’artista non crea qualcosa di separato e chiuso, ma piuttosto fa qualcosa per rendere lo spettatore più aperto, più consapevole di se stesso e del suo ambiente”. Dunque, chi tagliava, diventava consapevole del valore di quell’atto. Sapeva che stava privando l’artista del suo involucro protettivo. Mentre perdeva la corazza, Yoko Ono non dava alcun segno di turbamento. Restava ferma, apparentemente distaccata. L’abito si sfogliava e la sua pelle sbocciava, come un fiore lunare. “Mentre lo facevo, guardavo fisso nel vuoto, mi sentivo un po’ come se stessi pregando. Io sacrificavo volentieri me stessa”. Cut Piece è stato un atto performativo di grande intensità; una sorta di inno all’autenticità. Il risultato di un percorso intimo e spirituale che portò Yoko Ono a riconoscere una volta per tutte la giusta direzione che la sua vita doveva prendere.


Figlia di un ricco banchiere giapponese e di una pianista che aveva sacrificato la propria creatività per lavorare in banca, Yoko Ono dovette strapparsi di dosso la camicia di forza di una educazione rigida e anaffettiva. I suoi genitori desideravano che frequentasse ricche e facoltose famiglie statunitensi. E lei, per tutta risposta, disubbidì. Prese a incontrare artisti, poeti, bohemienne e anticonformisti di ogni sorta. Si battè per i diritti umani. E creò. La ragazzina giapponese scampata allo shock dei bombardamenti divenne insofferente alle buone maniere e decise, infine, di sfidare la rigida e algida educazione famigliare. Il suo nome significa “bambina dell’oceano”, e la sua personalità fluida e ribelle ne fu un fedelissimo riflesso.


Nata Tokyo nel 1933 e presto trasferitasi negli Stati Uniti, Yoko Ono è ricordata dai più come la compagna del grande musicista e cantautore Jonh Lennon. Non tutti sanno, invece, che fu una straordinaria artista, precorritrice della Performing Art degli anni Settanta e tra le prime sperimentatrici di happening. Aderì sin da subito al movimento Fluxus, fondato dal lituano-americano George Maciunas con l'ambizione di miscelare, mediante fluide contaminazioni, arti visive, poesia, musica sperimentale e teatro.


Già sul finire degli anni Cinquanta iniziò a comporre quello che lei stessa definì "un manuale di istruzioni per l’arte e per la vita": Grapefruit. Il pensiero liquido, in linea con la storica poetica fluttuante giapponese, qui diventa immagine nella parola. Ogni pensiero è figlio di un giorno preciso o di una stagione, di un attimo fugace eternato dall’inchiostro. Ogni pensiero dona forma all’energia immaginifica. Secondo Yoko Ono l’immaginazione è il vero potere dell’essere umano. Può tutto. Può persino fornire strumenti per migliorare la realtà. Lo stesso Lennon confessò di aver preso spunto da alcuni di questi versi per scrivere quella che è divenuta la sua canzone più celebre: ImagineGrapefruit è una raccolta di versi asciutti, memori della tradizione haiku. Apparentemente fondati sul paradosso e sul nonsense, e invece magici e fluidi. Profondissimi come l’oceano. Frammenti poetici a tal punto figurabili da poter essere azioni performative in linea con la ricerca Fluxus.


Frammento Pulsante:

“Ascoltatevi le pulsazioni l’un l’altro


mettendo l’orecchio uno sullo stomaco

dell’altro.” (1963 Inverno)

Frammento dell’acqua:

“Ascolta il suono dell’acqua


sotterranea.” (1963 Primavera)

Frammento di vento:

“Taglia un dipinto a pezzi e lascia che si perdano nel vento”


(1962 Estate)

Frammento dell’Ombra:

*“Metti insieme le tue ombre


finché diventano una sola”

(1963)

Brandelli di un’anima liquida. Quella di Yoko Ono. Fluxus-Haiku. Frammenti fluidi, che sfidano la plausibilità del reale. E che hanno permesso alla bambina dell’oceano di ascoltare la sua anima fluttuante.

WSI



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