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sabato 8 ottobre 2022

Annie Ernaux ha saputo raccontare le donne e le ha liberate dalla vergogna

 

Annie Ernaux

Annie Ernaux ha saputo raccontare le donne e le ha liberate dalla vergogna

Dall‘adolescenza alla maternità all‘aborto, la scrittrice vincitrice del premio Nobel per la Letteratura ha disinibito esperienze femminili rimaste finora vittima del rigido protocollo morale in cui viviamo

Benedetta Baroni

6 Ottobre 2022

Durante l’ultima edizione del Salone del libro di Torino, sotto i soffitti dei capannoni della fiera Lingotto, una asettica e compatta folla di persone sostava davanti alla Sala Azzurra, in trepidazione, come in attesa di una star del cinema.


E in effetti, già allora Annie Ernaux era un’icona per il pubblico letterario, una figura dai tratti quasi mitici di cui conosciamo ogni più recondito segreto, ogni svincolo esistenziale da lei raccontato, ripetuto e esposto nei suoi libri – privi tuttavia degli echi morbosi che di solito suscita chiunque parli di sé in prima persona con quella disarmante onestà, soprattutto se donna. «È lei, è qui», si vociferava in un’eco smorzata.

Quando poi è apparsa – bionda, lenta, a prima vista fragilissima, l’aria vagamente spaesata – si sono alzate verso l’alto fila di braccia nel tentativo di porgerle un saluto, di attirare la sua attenzione, il suo sguardo.


Annie Ernaux

L’intera redazione de L’orma – la casa editrice che dal 2014 la pubblica in Italia – ha dovuto farle scudo per consentirle un accesso, un corridoio, serrato a destra e a sinistra da pareti di cellulari puntati nella sua direzione. Era lì per ricevere il Premio Mondello e già allora si pettegolava a proposito del Nobel, partivano pronostici, scommesse. Ieri su Instagram abbondavano le griglie di percentuali che puntavano sui presunti vincitori: sarà Rushdie? Murakami? Houellebecq? O lei?

Chissà perché poi tanta affezione collettiva per l’autrice di punta di una patria con la quale siamo storicamente in competizione, quasi volessimo contendercela, attribuirle un nostro marchio, una nostra radice. A inserirla nell’immaginario nazionale sono state senz’altro le copertine ruvide dai toni pastello, i laconici titoli in grassetto e soprattutto il traduttore Lorenzo Flabbi, che ha avuto il merito di lanciarla nel nostro Paese e che lei quel giorno a Torino seguiva, cercava come un’ombra.

Il 7 marzo è uscito in libreria “Guarda le luci, amore mio” e a luglio del 2021 un saggio di Simone de Beauvoire dal titolo “La femminilità, una trappola” con in calce uno scritto di Annie Ernaux: “Il «filo doppio» che mi lega a Simone de Beauvoir”, ribadendo il concetto già espresso in diverse sue opere, quell’eredità evidente per chiunque le abbia lette entrambe, riconoscibile nello stile oggettivo e chirurgico delle studiose e al tempo stesso ridondante di echi autobiografici.

Sia Ernaux che de Beauvoire sono figlie delle proprie esperienze, non riescono a prescinderne al punto da elevarle a depositi cognitivi dell’epoca che abitano. Le loro infanzie, le loro adolescenze confluiscono rispettivamente in “Memoria di una ragazza perbene” apparso in Francia nel 1958 e in “Memorie di ragazza”, pubblicato dall’editore francese di Ernaux nel 2016.

La condizione femminile di cui prendono coscienza affonda gli albori in contesti insospettabili, reazionari, cattolicissimi, proletari nel caso di Ernaux: il bar-drogheria nel quale è cresciuta è scivolato ormai in una comune memoria, potremmo descriverne gli infissi, il tavolo da lavoro su cui la madre faceva di conto a fine giornata, la scala che portava alle camere da letto, il banco su cui gli avventori si fermavano a bere un bicchiere, i rumori, gli stralci delle conversazioni, il cigolio della bilancia che pesava gli alimenti.

Ecco, forse abbiamo un debito nei suoi confronti. Attraverso una scrittura raffinata, altera, severissima, Annie Ernaux ha liberato un vissuto tormentato, contraddittorio, altalenante e comune a tutte le donne. E se lo strascico è stato entusiasta in Italia più che altrove, lo dobbiamo al clima moralista e censorio nel quale siamo immersi ancora oggi nostro malgrado.

Descrive i suoi tentativi di emancipazione dal nucleo famigliare e soprattutto materno con la prima esperienza fuori casa, in una colonia estiva, a soli diciotto anni, l’incontro con l’altro sesso e la ricerca di consensi maschili.

Analizza i pericoli e i rischi che ha sfiorato in questa fase, dove in lei trionfa l’identificazione con un ideale femminile frivolo, fintamente disinibito e invece carico di subalternità: «Quella che H avrebbe trovato alla colonia l’estate successiva sarebbe stata una ragazza diversa sotto ogni punto di vista, bella e brillante, che l’avrebbe lasciato di sasso facendolo innamorare al primo sguardo, cancellando il ricordo di colei che, nelle settimane trascorse tra la prima e l’ultima notte passata assieme, era saltata da un ragazzo all’altro. […](Riscontro qui il primo manifestarsi di un’aspirazione all’inaccessibilità che nella mia vita amorosa è sempre giunta troppo tardi). Per piacergli, per farmi amare, bisognava diventare qualcuno di radicalmente diverso, essere quasi irriconoscibile».

La dipendenza dalla propria immagine e il rifiuto di essa sfocia in un disturbo alimentare mai diagnosticato: «Vent’anni dopo, sfogliando per caso in biblioteca un volume sui disturbi alimentari […] avrei dato un nome a ciò che è stato lo sfondo della mia esistenza per mesi – a quell’oscenità, quel piacere inconfessabile che produce grassi ed escrementi da evacuare, sangue prosciugato – a quella forma mostruosa, disperata, del voler vivere a qualunque prezzo, anche a costo del disgusto di sé e del senso di colpa: la bulimia».

La rivendicazione cercata nello studio e nella filosofia, quella «filò» che ai tempi salvò anche Simone de Beauvoire, contesa allo stesso modo tra la sottile linea di rasoio della dispersione di sé e il rigore, la passione, l’ambizione feroci.

Il racconto spietato del proprio aborto ne “L’evento” (2019) quando ancora significava attraversare il calvario composto dall’eventuale, rara magnanimità dei medici e più spesso al supplizio fisico inferto dalle mammane, assumendosi così il merito e l’onere di esibire la condizione in cui le donne interrompevano le gravidanze prima del 1975 in Francia – 1978 in Italia.

La scomposizione del matrimonio col padre del suo unico figlio ne “La donna gelata” (2020), in cui coinvolge chiunque la legga nel più scomodo dei quesiti, nella più antica delle perplessità: come mai una donna, dal momento che diventa moglie e madre, è tenuta a rinunciare automaticamente a tutto, compresa la carriera intellettuale, anche se è sposata a un altro intellettuale? Perché è vittima inconsapevole del proprio ruolo biologico che le impone di entrare nei supermercati, amministrare la cucina, i pasti, l’accudimento di un figlio, mentre il proprio compagno ne è per le stesse, sotterranee ragioni, esentato?

«Bisogna toccare il fondo della desolazione, mangiare il più possibile fino a sera per riprendere il digiuno di buon mattino, caffè nero e nient’altro».

«È assurdo quanto la filosofia possa renderci ragionevoli. A furia di pensare, ripetere, scrivere che gli altri non ci devono servire da stumenti ma da fine, che siamo esseri razionali e, pertanto, l’incoscienza e il fatalismo sono degradanti, quella donna mi ha tolto il gusto di flirtare».

«In classe mi applico con un’energia nuova, bruta. […] Leggo Sartre, Camus, naturalmente. Quanto mi paiono meschini i problemi di vestiario, di appuntamenti deludenti. Letture liberatorie, che mi allontanano una volta per tutte dai romanzi a puntate e dai libri scritti per le donne. Che questi, invece, siano libri scritti da uomini e con protagonisti sempre maschili è un dettaglio cui non presto alcuna attenzione”.

«Perché non mi ha accompagnata al supermercato? Finisco per comprare una quiche già pronta al bancone della gastronomia, formaggio e pere. Quando sono rientrata l’ho trovato che ascoltava la musica. Ha scartato tutto con un entusiasmo da ragazzino. Le pere erano mezze marce, “ti sei fatta fregare”. Lo odio. Non mi sposerò».

Annie Ernaux ha cominciato un processo sommesso, culminato con un nuovo e diverso «Me too» ribadito a gran voce a tutte le latitudini geografiche e che oggi viene coronato dall’assegnazione del premio Nobel. Se le donne che l’hanno letta potessero parlarle, le direbbero: «Anch’io». Restituire possibilità espressiva a esperienze prima obbligate a perire dietro una coltre di imbarazzo è una conquista che riempie sempre di gratitudine.

«Prima dei pannolini, del secchiello e della paletta in spiaggia, degli uomini che non vedo più, delle riviste dei consumatori per non farsi fregare, del suo piatto preferito, il cosciotto di agnello, del reciproco calcolo delle libertà perdute. Un periodo in cui si può cenare con uno yogurt, preparare la valigia in mezz’ora per un fine settimana improvvisato, passare una notte intera a parlare. Leggere tutta la domenica sotto le coperte. Impigrirsi in un bar, guardare le persone entrare e uscire, sentirsi galleggiare tra quelle esistenze anonime. Tenere il muso senza remore quando ci si sente giù di corda. […] Tutte le ragazze l’hanno vissuto, quel periodo lì, più o meno lungo, più o meno intenso, ma guai a ripensarci con nostalgia. Che vergogna!».


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venerdì 7 ottobre 2022

Annie Ernaux / Una vittoria per tutte le donne

 


Annie Ernaux


Annie Ernaux, una vittoria per tutte le donne


La scrittrice francese Nobel per la Letteratura è una femminista di sinistra impegnata nella difesa del diritto all'aborto

Non è solo un Nobel a una donna. È un Nobel ai diritti delle donne, e a chi fa della propria vita, e della propria letteratura, uno strumento di lotta per difenderli. Perché Annie Ernaux ha sempre scelto da che parte stare.


di Stefania Aloia
7 Ottobre 2022

"Lotterò fino al mio ultimo respiro affinché le donne possano scegliere se essere madri o meno: la contraccezione e l'aborto sono un diritto fondamentale". Ernaux è come la sua prosa: necessaria, mai superflua. Tra le boiserie color crème della sede parigina del suo editore Gallimard ha chiarito: il premio che le ha assegnato l'Accademia di Svezia non cambia nulla e non farà mancare il suo impegno alla doverosa battaglia sociale e politica contro tutte le ingiustizie.

La maternità e il diritto di non sceglierla, "la matrice della libertà delle donne" nella definizione che ne ha dato ieri delineando un confine che non lascia spazio alle interpretazioni, sono state spesso il soggetto della sua narrazione. Nel suo primo libro, Gli armadi vuoti del 1974, la scrittrice francese ha esplorato il tema dell'interruzione di gravidanza. E nel romanzo autobiografico L'evento ha raccontato il suo aborto clandestino, praticato quando aveva 23 anni. Clandestino perché proibito in quel 1963, ma dissepolto per il lettore nel 2000. L'opera, pubblicata in Italia nel 2019, poi è diventata un film, La scelta di Anne - L'Événement di Audrey Diwan, vincitore del Leone d'Oro alla Mostra del cinema di Venezia dell'anno scorso.

C'è una reale contingenza anche in una vicenda di quasi sessant'anni fa, ambientata in una Francia dove l'aborto era reato e si rischiava il carcere. Proprio per questo la storia è risultata così credibile anche oggi. L'aspetto più moderno della narrazione risiede nel modo con cui è sottolineata la negazione dell'identità della donna. Allora come ora.

Togliamoci dalla testa che la difesa del diritto di non portare avanti una gravidanza sia una priorità di società arcaiche o fortemente confessionali. È un'urgenza anche dove sembrava non esserlo più. E non è un caso se ieri, citando la situazione politica italiana che ha spinto al potere il partito sovranista di Giorgia Meloni, la scrittrice ha criticato l'estrema destra che "nella storia non è mai stata favorevole alle donne". Forti e chiari sono giunti oltralpe gli echi dei proclami pronunciati dalla leader di Fratelli d'Italia prima delle elezioni ("Vogliamo dare alle donne il diritto a non abortire", con un ribaltamento di senso che avrebbe dovuto spostare il voto femminile).

Le donne al potere, se hanno buttato la matrice della loro libertà, non possono essere una cura omeopatica contro la violazione dei diritti delle donne stesse. Ernaux, indomita femminista, lo sa e da intellettuale di sinistra si è adoperata, con le parole e la testimonianza, perché Marine Le Pen fallisse la sua rincorsa verso l'Eliseo. Del resto la presidente del Rassemblement National, una che ha fatto del suo essere donna macho la cifra della propria immagine politica, a giugno aveva respinto la proposta della maggioranza francese di Macron di inserire il diritto all'aborto nella Costituzione, proprio mentre in America la Corte Suprema trumpiana aboliva la storica sentenza Roe v. Wade con cui nel 1973 era stata legalizzata l'interruzione di gravidanza. Decisione che, va detto, come un boomerang sta avendo effetti positivi sulla rimonta dei democratici verso le elezioni di Midterm.


Dunque è impossibile ignorare come ormai l'aborto e la riemersa necessità di difenderlo come diritto inscalfibile di tutte le donne siano davvero al centro del nostro dibattito politico. E questo Nobel della letteratura a un'interprete di quell'impegno è un invito a salvare la laicità dell'Occidente contro l'assalto degli integralismi.

LA REPUBBLICA





giovedì 6 ottobre 2022

La scrittrice francese Annie Ernaux ha vinto il Nobel per la letteratura





© Ulises Ruiz / AFP

- Annie Ernaux

La scrittrice francese Annie Ernaux ha vinto il Nobel per la letteratura

"Per il coraggio e l'acutezza clinica con cui svela le radici, gli allontanamenti e i vincoli collettivi della memoria personale" si legge nella motivazione

6 ottobre 2022

AGI - Il premio Nobel per la Letteratura è stato assegnato alla francese Annie Ernaux "per il coraggio e l'acutezza clinica con cui svela le radici, gli allontanamenti e i vincoli collettivi della memoria personale".

"In 'L'occupazione' (2002) Ernaux analizza la mitologia sociale dell'amore romantico. Sulla base di appunti in un diario che registra il suo abbandono da parte di un amante, confessa e attacca un'immagine di sé costruita su stereotipi. La scrittura diventa un'arma affilata per sezionare la verità", ha spiegato il comitato che assegna il premio.

Ernaux, si è detta "molto felice" e "orgogliosa" per il riconoscimento ricevuto dall'Accademia svedese. È "un grandissimo onore" e una "responsabilita'", ha detto l'autrice francese parlando alla tv svedese dopo l'annuncio del Nobel

Una breve biografia

Nata in Normandia nel 1940, è la sedicesima autrice d'oltralpe a ricevere il Nobel per la letteratura, facendo della Francia il Paese che ne ha ricevuti di più nella storia del premio. I suoi libri autobiografici, fra i più famosi Les Années (Gli anni) e L'evenement (L'evento), sono stati studiati e pubblicati in tutto il mondo.

Nel breve ritratto che le dedica il suo editore italiano sul suo sito web, L'Orma, si legge che Ernaux "ha reinventato i modi e le possibilità dell'autobiografia, trasformando il racconto della propria vita in acuminato strumento di indagine sociale, politica ed esistenziale. Considerata un classico contemporaneo, è amata da generazioni di lettori e studenti".

Fra i testi di Ernaux pubblicati in italiano, L'orma ricorda 'Il posto', 'Gli anni', vincitore del Premio Strega Europeo 2016, 'L'altra figlia', 'Memoria di ragazza', 'Una donna', vincitore del Premio Gregor von Rezzori 2019, 'La vergogna', 'L'evento' e 'La donna gelata'. 

L'opera di Annie Ernaux racconta nei dettagli l'intimità di una donna e la sua evoluzione con i cambiamenti della società francese dal dopoguerra. Premio Renaudot nel 1984 per "Il posto" e finalista del premio Booker internazionale nel 2019, la docente di letteratura all'università di Cergy-Pontoise ha scritto una ventina di volumi.

I temi trattati sono essenzialmente quello delle differenze di classe, particolarmente lacerante per una donna di origine popolare come lei, e della passione amorosa.

Considerata di sinistra, Annie Ernaux ha assorbito negli anni '70 i principi del sociologo Pierre Bourdieu, di una decina d'anni piu' anziano, che le hanno permesso di individuare il "malessere sociale" di cui ha sofferto fin dagli anni della scuola. A 18 anni lascia il bar-drogheria dei suoi genitori a Yvetot in Alta Normandia, dove ha trascorso la sua infanzia e adolescenza, dopo avere ottenuto una licenza in lettere moderne a prezzo di studi molto intensi.

Dagli "Armadi vuoti" del 1974 agli "Anni" del 2008, la scrittrice ha seguito una traiettoria di scrittura che l'ha portata da un primo romanzo giovanile aspro e violento a una autobiografia storica di ampio respiro. Il suo stile clinico, senza lirismi, suscita sentimenti contrastanti: i suoi detrattori pensano che la sua sia una scrittura oscena e misera, ma con questo stile "piatto" riesce a ricondurre l'universale nel racconto singolare della sua esistenza. Dopo aver abbandonato il romanzo, ha inventato "l'autobiografia impersonale".

"Mi considero molto poco come un essere singolo ma piuttosto come una somma di esperienze o di determinazioni, sociali, storiche, sessuali, di linguaggi e continuamente in dialogo con il mondo (passato e presente), ha scritto nel suo "La scrittura come un coltello".

Vivendo dal 1977 a Cergy-Pontoise, ha dedicato molti dei suoi scritti alla vita di chi vive in questa cittadina della banlieue parigina, persone che incrocia nei supermercati o nel treno regionale per la capitale. Una certa fama le e' arrivata dall'adattamento cinematografico dell'"Evenement", La scelta di Anne in italiano, che ha vinto il Leone d'Oro a Venezia nel 2021. 

Il commento di Macron

"Annie Ernaux scrive, da 50 anni, il romanzo della memoria collettiva e intima del nostro Paese. La sua voce è quella della liberta' delle donne e dei dimenticati del secolo". Lo ha affermato il presidente francese, Emmanuel Macron, commentando in un tweet l'assegnazione del premio Nobel per la letteratura a Ernaux.

La scrittrice, conclude l'inquilino dell'Eliseo, "con questa incoronazione si unisce al grande cerchio dei Nobel della nostra letteratura francese"

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