Vita e amori di Sibilla Aleramo, donna emblema del femminismo del Novecento italiano
Madre, amante, autrice, protagonista: la storia di una donna.
Rina Faccio, meglio nota come Sibilla Aleramo, ebbe una vita turbolenta. Le sue esperienze diventarono presto storia, denuncia, poesia, narrazione. La scrittrice e poetessa italiana, nata nel 1876, è infatti ricordata ancora oggi come una delle primissime penne femministe del Novecento. Il suo primo lascito si trova all'interno sua opera più celebre, Una donna, capolavoro autobiografico in cui la scrittrice incluse molti altri aspetti fondamentali della sua vita, come le imposizioni sociali legate alla figura della donna, le relazioni coniugali costrittive, violente, frustranti e quelle familiari in relazione all'idea della donna-madre, considerata da lei troppo opprimente. Non manca poi il trauma subito in gioventù, la violenza sessuale subita da parte di un dipendente del padre, una vicenda che intrappolò la giovane scrittrice in un matrimonio riparatore.
Già agli inizi del Novecento, la Aleramo diventa uno degli emblemi del femminismo, uno spirito libero che abbandona marito e a malincuore anche il figlio Walter, per seguire la sua passione più grandi: quella della letteratura.
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È l'inizio del XX secolo quando la Aleramo scappa da Milano a Roma per scrivere di racconti, pubblicare articoli, collaborare con giornali femministi, politici, culturali, e partecipare a campagne femministe. In lei vi è forza e determinazione, ma anche dolore e sofferenza, che la conducono anche verso un tentato suicidio. Dopo una soffocante relazione con l'ex marito, Sibilla Aleramo intraprende una storia con il capo redattore di Nuova Antologia,Giovanni Cena, con cui condivide la passione per la letteratura e gli impegni legati al sociale. Quando l'amore con Cena termina, iniziano per lei una serie di legami con diversi intellettuali, tra cui Vincenzo Cardarelli e Salvatore Quasimodo, il folle amore con Dino Campana, tossico, tempestoso, brevissimo ma profondo, finito a causa dell'internamento e della malattia di lui; ci sono anche storie con donne, come quella che ebbe con Lina Poletti, grandissima scrittrice italiana. Ben presto, questi amori diventano protagonisti delle prose e le poesie della Aleramo.
Le influenze che entrano in armonia e si mescolano con la vita della Aleramo sono diverse: incontra artisti del movimento Futurista, stringe un forte rapporto con D'Annunzio e poi sia avvicina alle ideologie politiche, prima del Fascismo, poi a quelle del Partito Comunista. A distanza di oggi, impossibile pensare a lei senza sottolineare quella che fu la sua figura, così eclettica e incisiva, quella di una donna, moglie, madre, amante, autrice e protagonista, che lascia in eredità un patrimonio letterario ancora rivoluzionario e dirompente.
Bette Howland che ha ritrovato il sogno americano fra i derelitti
"Storie di vite diverse" sono racconti di ordinaria follia. Inclusa quella dell'autrice, grande dimenticata della letteratura Usa con Lucia Berlin
Gian Paolo Serino
17 Febbraio 2022 - 08:49
Dimenticata per anni dagli editori e dai lettori americani, è stata finalmente riscoperta Bette Howland (1937-2017), scrittrice che ha in comune con Lucia Berlin l'oblio e la grandiosità di scrittura: in Italia hanno appena pubblicato Storie di vite diverse (Sem, pagg. 408, euro 19, traduzione di Tiziana Lo Porto). Undici racconti che sono graffi sul vetro della vita, frammenti di esistenze al limite della nostra ordinaria follia: radiografie di una società dove «la soluzione all'isolamento è più isolamento», dove gli interni domestici diventano spesso inferni di vite arredate da un sogno americano ridotto a stracci.
Sono esterni di case alla periferia di ogni metropoli, in questo caso Chicago, dove dalla ferrovia si vedono bandiere dove ci sono più strisce che stelle, finestre con nastri di cellophane al vento come a dire «questa casa è abitata». Sono scenari, scritti dal 1962 al 1999, raccontati anche da John Cheever, Raymond Carver e anche dalla Lucia Berlin citata all'inizio che ne La donna che scriveva racconti (Bollati Boringhieri) ha la stessa forza nel raccontare esistenze disperate perché sembrano subire la realtà mentre la vivono.
Sia i protagonisti della Howland che di Lucia Berlin hanno creduto in un sistema, hanno creduto ad occhi chiusi nel vero miracolo economico americano: non quello dopo la Grande depressione del 1929, non quello dei favolosi anni '60, ma quello che sul finire degli anni '70 ha promesso centri commerciali a tutti, trasferendo in quei megastore, ristoranti e bowling la vita sociale. Una vita sociale inscatolata, in cattività, mentre tutto attorno i negozi chiudono, le strade sono deserte, le tivù sono accese e le menti sono spente: ognuno nella propria casetta a proteggersi da un nemico che ha il volto efferato di una follia collettiva.
«Sono iniziate ad accadere cose che in passato non sono mai accadute: corpi richiusi nei bagagliai, sparatorie nelle stazioni di servizio, brutali omicidi che finiscono sui giornali di Chicago. Quindi potete immaginare il grande successo che hanno sulla stampa locale abituata alle notizie sulle vendite di torte in chiesa e sui falsi allarmi di incendi».
Perché tutti i racconti sono venati di ironia ed è questa capacità di sorridere davanti ai drammi, anche personali, a rendere Bette Howland un caso unico nella letteratura americana. La sua ironia non cade mai nella satira, nella ferocia, nella caricatura: è sempre misurata anche quando descrive la sua esperienza di ricoverata in un istituto psichiatrico. Per la Howland «la storia è melodia, ma l'arte è nell'improvvisazione, nel dare voce»: come nella Chicago che racconta, e dove è nata, il fraseggio del blues lascia il posto al jazz.
In Italia questi racconti sono stati molto ben accolti dalla critica, peccato che i contenuti e la scrittura siano stati oscurati da articoli dedicati più alla sua storia personale che alla sua bravura. Ci interessa sino ad un certo punto che sia stata l'amante di Saul Bellow, perché non sono i consigli di Bellow ad averle insegnato qualcosa, ma i suoi libri: «Chicago, quella città cupa», come scrive Bellow nella frase di apertura di Le avventure di Augie March ha influito più di mille pettegolezzi. La critica italiana l'ha ridotta, alla fine, ad una comprimaria, ad una amante con il vizio della scrittura mentre Bette Howland è stata una scrittrice con il vizio dell'amante. Il mondo che descrive, sia che stia raccontando della precarietà della classe operaia o dell'ansia ossessionata dal crimine della middle class, è carico di sentimenti potentemente intensi di rabbia, allarme e pietà - sentimenti resi sopportabili dall'intelligenza arguta e piena di risorse di Howland e dalla sua compassione rigorosamente non sentimentale.
Se il romanzo precedente W-3, ad oggi inedito in Italia e di prossima pubblicazione da Sem, è il commovente resoconto del soggiorno di Bette Howland nel reparto psichiatrico di un ospedale dopo aver ingoiato una manciata di sonniferi, tra le pagine di queste Storie ci dice poco della sua vita: è divorziata, ha due figli che vivono con il padre ed è una studentessa laureata all'università. A differenza della maggior parte degli scrittori contemporanei, non ci inonda di particolari intimi al minimo stimolo, ma si sofferma più sulle descrizioni della sua famiglia di indigenti e dei sobborghi operai di Chicago dove alcuni dei suoi parenti ancora vivono: ed è questo a dare un senso vivido del temperamento generosamente reattivo della scrittrice.
Un altro tema centrale è la vecchiaia perché «tutto acquista valore con l'età tranne una vita umana». Sensibile com'è al pathos della vecchiaia, è ammirevolmente insensibile alle sue tentazioni sdolcinate. Nella parte più coinvolgente del libro, un racconto ironico e toccante intitolato Servizi pubblici, ricorda con meravigliosa vitalità comica la biblioteca di quartiere dove una volta aveva un lavoro part-time al banco di consultazione. Qui i vecchi disperati di un quartiere semiabbandonato trovano il loro rifugio. Nella biblioteca, i malati si scervellano instancabilmente sul Dizionario medico, a caccia di parole che nobilitino le proprie sofferenze.
Sebbene Bette Howland scriva dei malati, degli indifesi, dei dimenticati, la sua Chicago è molto diversa dalla cupa vita metropolitana di uno scrittore come Nelson Algren, tra i padri del realismo americano, che ha scritto: «Amare Chicago è come amare una donna dal naso rotto». L'umanità descritta da Bette Howland è deragliata ma è come se tenesse stretta la città in un abbraccio inquieto ma affettuoso, come se fosse lo sfacelo dal quale ripartire per il sogno di una nuova America.
La scrittrice francese Annie Ernaux ha vinto il Nobel per la letteratura
"Per il coraggio e l'acutezza clinica con cui svela le radici, gli allontanamenti e i vincoli collettivi della memoria personale" si legge nella motivazione
6 ottobre 2022
AGI - Il premio Nobel per la Letteratura è stato assegnato alla francese Annie Ernaux "per il coraggio e l'acutezza clinica con cui svela le radici, gli allontanamenti e i vincoli collettivi della memoria personale".
"In 'L'occupazione' (2002) Ernaux analizza la mitologia sociale dell'amore romantico. Sulla base di appunti in un diario che registra il suo abbandono da parte di un amante, confessa e attacca un'immagine di sé costruita su stereotipi. La scrittura diventa un'arma affilata per sezionare la verità", ha spiegato il comitato che assegna il premio.
Ernaux, si è detta "molto felice" e "orgogliosa" per il riconoscimento ricevuto dall'Accademia svedese. È "un grandissimo onore" e una "responsabilita'", ha detto l'autrice francese parlando alla tv svedese dopo l'annuncio del Nobel
Una breve biografia
Nata in Normandia nel 1940, è la sedicesima autrice d'oltralpe a ricevere il Nobel per la letteratura, facendo della Francia il Paese che ne ha ricevuti di più nella storia del premio. I suoi libri autobiografici, fra i più famosi Les Années (Gli anni) e L'evenement (L'evento), sono stati studiati e pubblicati in tutto il mondo.
Nel breve ritratto che le dedica il suo editore italiano sul suo sito web, L'Orma, si legge che Ernaux "ha reinventato i modi e le possibilità dell'autobiografia, trasformando il racconto della propria vita in acuminato strumento di indagine sociale, politica ed esistenziale. Considerata un classico contemporaneo, è amata da generazioni di lettori e studenti".
Fra i testi di Ernaux pubblicati in italiano, L'orma ricorda 'Il posto', 'Gli anni', vincitore del Premio Strega Europeo 2016, 'L'altra figlia', 'Memoria di ragazza', 'Una donna', vincitore del Premio Gregor von Rezzori 2019, 'La vergogna', 'L'evento' e 'La donna gelata'.
L'opera di Annie Ernaux racconta nei dettagli l'intimità di una donna e la sua evoluzione con i cambiamenti della società francese dal dopoguerra. Premio Renaudot nel 1984 per "Il posto" e finalista del premio Booker internazionale nel 2019, la docente di letteratura all'università di Cergy-Pontoise ha scritto una ventina di volumi.
I temi trattati sono essenzialmente quello delle differenze di classe, particolarmente lacerante per una donna di origine popolare come lei, e della passione amorosa.
Considerata di sinistra, Annie Ernaux ha assorbito negli anni '70 i principi del sociologo Pierre Bourdieu, di una decina d'anni piu' anziano, che le hanno permesso di individuare il "malessere sociale" di cui ha sofferto fin dagli anni della scuola. A 18 anni lascia il bar-drogheria dei suoi genitori a Yvetot in Alta Normandia, dove ha trascorso la sua infanzia e adolescenza, dopo avere ottenuto una licenza in lettere moderne a prezzo di studi molto intensi.
Dagli "Armadi vuoti" del 1974 agli "Anni" del 2008, la scrittrice ha seguito una traiettoria di scrittura che l'ha portata da un primo romanzo giovanile aspro e violento a una autobiografia storica di ampio respiro. Il suo stile clinico, senza lirismi, suscita sentimenti contrastanti: i suoi detrattori pensano che la sua sia una scrittura oscena e misera, ma con questo stile "piatto" riesce a ricondurre l'universale nel racconto singolare della sua esistenza. Dopo aver abbandonato il romanzo, ha inventato "l'autobiografia impersonale".
"Mi considero molto poco come un essere singolo ma piuttosto come una somma di esperienze o di determinazioni, sociali, storiche, sessuali, di linguaggi e continuamente in dialogo con il mondo (passato e presente), ha scritto nel suo "La scrittura come un coltello".
Vivendo dal 1977 a Cergy-Pontoise, ha dedicato molti dei suoi scritti alla vita di chi vive in questa cittadina della banlieue parigina, persone che incrocia nei supermercati o nel treno regionale per la capitale. Una certa fama le e' arrivata dall'adattamento cinematografico dell'"Evenement", La scelta di Anne in italiano, che ha vinto il Leone d'Oro a Venezia nel 2021.
Il commento di Macron
"Annie Ernaux scrive, da 50 anni, il romanzo della memoria collettiva e intima del nostro Paese. La sua voce è quella della liberta' delle donne e dei dimenticati del secolo". Lo ha affermato il presidente francese, Emmanuel Macron, commentando in un tweet l'assegnazione del premio Nobel per la letteratura a Ernaux.
La scrittrice, conclude l'inquilino dell'Eliseo, "con questa incoronazione si unisce al grande cerchio dei Nobel della nostra letteratura francese"
Francesca Marciano, sceneggiatrice romana giramondo che a NY ha capito di essere una scrittrice
Scrive sceneggiature per cinema in italiano (David di Donatello nel 1992) e romanzi in inglese. Ha conquistato Michiko Kakutani, feroce critica del New Yorker
Central Park, New York. Oggi, metà pomeriggio. Uno sciame di bolle di sapone – piccole, piccolissime – si alza nell’ aria spinto dal vento, ondeggia in fila scomposta sopra il lago e scoppia su uno acero norvegese dalle grosse foglie rosse. Francesca Marciano le osserva seduta da un tavolino del Loeb Boathousee ripensa alle parole che le ha detto Michele Crescenzo a Milano, quando ha paragonato i suoi racconti proprio a delle bolle di sapone: di diversi colori, con voli imprevedibili e che raccontano qualcosa di fragile e mutevole come i rapporti tra le persone.
Sorseggia il suo the osservando Central Park circondata da vivaci colori primaverili: l’erba è di un verde intenso e le querce rosse hanno perso la sfumatura bronzea dell’inverno per vestirsi di rosso purpureo. La luce del sole viene da occidente, ed è ancora forte.
A Michele ha anche raccontato che “qui ci è arrivata giovanissima, alla fine degli anni’70, nel momento in cui lei stava diventando una persona adulta, assaggiava l’indipendenza e ha fatto le prime esperienze. Era una città molto diversa da adesso, non era così divisa in classi sociali, tutto era coeso in un’atmosfera bohemien e c’erano serate incredibili con persone che poi non si sarebbero mai più incontrate” Sorride “C’è stato un momento, un giorno preciso, in cui si è resa conto che voleva essere una scrittrice e che si doveva prendere la responsabilità di questa decisione ed è successo proprio qui, a New York. Ma da quel momento e la pubblicazione sono passati anni” Francesca Marciano aggiunge acqua calda al suo the e gira il cucchiaino in piccoli cerchi.
Michele Crescenzo (sinistra) e Francesca Marciano (destra)
I camerieri del Loeb Boathouse lavorano con costanza ma senza fretta, lavano bicchieri, shakerano Martini, si passano le mani umide sopra i grembiuli neri. Un ragazzo – circondato da una dozzina bambini sporchi della schiuma leggera delle bolle di sapone – si avvicina ad un cameriere. Appoggia per terra una coppia di bastoni uniti da una garza e chiede delle indicazioni stradali. Ha un grande volto sorridente, gli ricorda quello di Claudio Amendola quando lo ha diretto in Lontano da dove, il film che ha girato del 1982 insieme a Stefania Casini proprio a New York.
È una relazione anomala quella che ha con il cinema: è passata da attrice, a regista a sceneggiatrice affermata. “Quando ho recitato ero giovanissima” – ricorda ad Ilaria Zaffino su Repubblica“è stato un periodo molto breve della mia vita, ho capito che non era la mia strada. Il primo film è capitato per caso con Lina Wertmüller, avevo vent’anni. Dopo ho lavorato con Pupi Avati, ma poi basta, sono andata in America a studiare. Non mi piaceva fare l’attrice, mi sentivo passiva, invece a me interessava quel che succedeva sul set ma volevo stare dall’altra parte, dalla parte di chi lo faceva. Ho sempre continuato a lavorare per il cinema, alternando film e romanzi”. Dal 1982 ad oggi ha scritto venticinque sceneggiature lavorando con Bernardo Bertolucci, Gabriele Salvatores, Maria Sole Tognazzi e Valeria Golino. Nel 1992 ha vinto il David di Donatello per la sceneggiatura di Maledetto il giorno che t’ho incontrato con Carlo Verdone.
“Aver scritto tanto per il cinema mi ha allenato a gestire i tempi, con i tagli, la velocità con cui si passa da un momento all’altro, come nelle sceneggiature una scena succede all’altra” racconta a Repubblica“Certo quando si scrive un film tutto quello che scrivi si vede, la magia della letteratura è invece mescolare il visibile e l’invisibile. Ma la scrittura cinematografica è sicuramente nel mio retropensiero anche quando scrivo”.
L’animatore con la faccia da Claudio Amendola sfrega le palme delle mani sulle ginocchia dei jeans appiccicosi. Ringrazia e va via portandosi con sé il gruppetto di ragazzini che riprendono ad urlare festosi. Le piace lo schiamazzo dei bambini, l’ottimismo senza complicazioni delle loro voci è lo stesso sia a New York che a Roma che a Nairobi.
Era in Africa quando il suo primo romanzo Rules Of the Wild (Cielo scoperto, Mondadori 1998) è stato acquistato dalla Alfred A Knopf. Lei e la sua editor hanno lavorato senza conoscersi e mandandosi il manoscritto usando DHL con le note scritte a penna. “Una volta” ha raccontato sempre a Michele “ho affidato il mio manoscritto ad un pilota di un piccolo aereo rudimentale da dieci posti sperando che arrivasse a destinazione. Per fortuna tutto è andato bene.” Rivolge lo sguardo verso la Random House Tower come se la potesse scorgere tra le foglie. Ricorda l’emozione quando è entrata per la prima volta nell’enorme hall della Knopf dove sono esposte le prime edizioni di tutti gli scrittori che hanno pubblicato per loro dagli anni Venti. “È stata davvero un’emozione incredibile, pensavo di essere arrivata nel cuore della letteratura americana”.
Rules of the wild, pubblicato nel 1998, racconta la storia di Esmé che, dopo la morte improvvisa dell’eccentrico padre, lascia Roma e parte per il Kenya. Conquistata dallo spettacolo della natura, decide di restarvi. Attraverso la conoscenza di due uomini conosce il lato romantico e doloroso dell’Africa. Dopo la pubblicazione negli Stati Uniti venne pubblicata in Italia dalla Mondadori e successivamente in altri tredici paesi trasformando il romanzo in un best seller. Sulle pagine del New York Times Richard Bernstein parlò di un «romanticismo degno di Flaubert» ed elogiò incondizionatamente «la forza narrativa e la capacità di coinvolgimento» dell’autrice.
Ritratto di Francesca Marciano
Nel 2002 viene pubblicato Casa Rossa (Loganesi, 2002) che racconta una saga familiare che attraversa gli anni Settanta. Antonio Monda ne scrive così su Repubblica: L’ ambientazione italiana di Casa Rossa rivela molti riferimenti autobiografici che vengono rivissuti con uno sguardo che alterna la malinconia del ricordo alla necessità della ricerca e della comprensione. Casa Rossa è il nome di una villa posseduta in Puglia per tre generazioni dalla famiglia Strada. La protagonista, di nome Alina, ritorna nella vecchia casa di campagna quando questa viene messa in vendita, e si presenta al lettore con un incipit spiazzante, che dà immediatamente il tono all’ intero romanzo: “Quando eravamo piccole, io e mia sorella Isabella ci chiedevamo se Alba avesse ucciso nostro padre. Ucciso, e poi messo in piedi la storia del suicidio“. La vicenda, che per usare le parole della protagonista “non racconta quello che sappiamo o abbiamo, ma quello che abbiamo perso.”
Il terzo romanzo The End of Manner (La fine delle buone maniere, 2007) è la storia di Maria, una fotografa che preferisce lavorare con i cibi anziché le persone. Un’agenzia internazionale la sceglie per fotografare donne afgane che tentano di sottrarsi ai matrimoni combinati.
Il Loeb Boathouse si riempie all’improvviso di gente elegante. Persone d’affari che hanno finito di lavorare e si ritrovano con gli amici per un drink prima di andare a casa. Alcuni di loro hanno una copia del The New York Times piegata nella tasca esterna della giacca. Francesca Marciano ricorda nitidamente quando il suo nome è stato pubblicato su quel giornale e il suo libro è stato apprezzato da Michiko Kakutani, la terribile critica letteraria americana.
“Non me l’aspettavo che recensisse il libro e lo apprezzasse.” Racconta su Repubblica“Tutti la temono, non si è fatta scrupolo di stroncare scrittori molto importanti. Quando ha telefonato al mio editore americano per chiedere se veramente l’inglese fosse la mia seconda lingua, sono andati tutti nel panico. Io non ci ho dormito la notte e sicuramente non mi aspettavo il suo commento, quel suo: ‘not unlike, cioè non differentemente, da Alice Munro’.
Michiko Kakutani ha recensito il libro di racconti “The Other Language” Isola grande Isola piccola (Bompiani 2014) definendo le storie di Francesca Marciano “magiche e veloci che passano da Roma a New York a Mombasa, da un piccolo villaggio greco a un’isola remota al largo della Tanzania a una fortezza sulle rive del fiume Narmada in India.” Sottolinea come per i personaggi del libro, viaggiare – o trasferirsi in un’altra città o paese, in un’altra cultura – è un modo per reinventarsi, per scrollarsi di dosso un’identità e provare qualcosa di incantevolmente esotico o solo vagamente nuovo. “Marciano ci fa vedere che queste azioni apparentemente impulsive sono in realtà radicate nell’accumulo, nel corso degli anni, di una miriade di piccoli e grandi risentimenti, e di tracciati e ripercussioni di dipendenze e modelli infelici.”
Nel 2021 viene pubblicato Animal Spirit (Mondadori, 2021) una raccolta di sei racconti attraversati, illuminati – talvolta infestati – dalla presenza animale. Le protagoniste sono principalmente donne che si trovano ad affrontare una scelta, un bivio cruciale che cambierà la loro vita: relazioni clandestine che terminano dolorosamente, eventi che riportano a galla dolorosi e traumatici ricordi del passato, vacanze che cambiano di segno e aprono a nuove avventure.
La redazione di Radio Città Fujiko ha sottolineato come “le storie, seppur piene di difficoltà, hanno tutte una risoluzione, un battito d’ali che ci riconduce fuori e rende liberi: ed è proprio questa ritrovata connessione con il mondo e la natura che diventa salvifica e ci fa splendere di nuovo.”
Adesso il sole è basso all’orizzonte. La luce del tramonto è dappertutto, violenta e fluente, violacea e stupenda. Francesca Marciano si alza dalla sedia del Loeb Boathouse. È il momento di tornare a scrivere.