La lezione della piazza
(e di «Green Book»)
Si può essere preoccupati per l’immigrazione (malgestita) e non essere razzisti
di Beppe Severgnini
2 marzo 2019 (modifica il 2 marzo 2019 | 20:39)
Non ho deciso di scrivere questa rubrica ieri, dopo aver saputo del grande raduno «People» a Milano. L’ho deciso giovedì, dopo aver visto un bel film, «Green Book». Stesso tema: il razzismo. La piazza e il cinema possono fare molto; per esempio, svegliarci dall’incantesimo secondo cui l’Italia sta diventando un po’ razzista, e va bene così. Be’, non va bene per niente. E, soprattutto, non è vero. Non ancora. Si può essere preoccupati per l’immigrazione incontrollata (o malgestita) e non essere razzisti: vi assicuro.
Il film, dunque. È la storia di una bizzarra amicizia on the road tra un buttafuori italo-americano del Bronx (Tony «Lip» Vallelonga, interpretato da Viggo Mortensen) e un virtuoso, coltissimo pianista afroamericano (Don Shirley, Mahershala Ali), nell’America dei primi anni Sessanta (guardatela in inglese coi sottotitoli, gli accenti sono formidabili!). Un viaggio negli Stati del Sud per una serie di concerti, ispirato a una storia vera. La gente ai tempi trovava normale applaudire un celebre concertista e poi chiedergli di usare la latrina all’aperto perché aveva la pelle scura. Finché qualcuno non gli ha detto che non era normale: era mostruoso.
L’America da allora è cambiata, e speriamo non torni indietro (alcuni rigurgiti preoccupano, un presidente come Trump non aiuta). L’Italia, invece, non deve cambiare: resti quello che è, una nazione accogliente e tollerante. Non è debolezza, come qualche carciofo da talk-show vuole farci credere; è una dimostrazione di forza e lungimiranza, invece.
Perché «Green Book» commuove e funziona? Perché prova, in maniera spettacolare e divertente, una cosa che sappiamo tutti, ma tendiamo a dimenticare: i razzisti sono, prima di tutto, ignoranti spaventati. Quando due esseri umani si trovano a condividere un pezzo di strada o di vita — stessa cosa — scoprono che non è così difficile capirsi, e migliorarsi a vicenda. Perché c’è sempre da migliorare. Non ci sono neri e bianchi, non ci sono buoni e cattivi: ci sono uomini e donne imperfetti.
Per chiudere. Se avete letto fin qui e state pensando «Bah, questi sono discorsi da élite...», preoccupatevi: qualcuno potrebbe farvi diventare ciò che non siete. Il razzismo è un veleno sottile, e qualcuno sta provando a spargerlo in giro. Va fermato.
hshhshs
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