Illustration by Marie Real |
Marco Belpolite
Smoke
Da ragazzo ho fumato. Sigarette offerte dagli amici. Poi ho cominciato a comprare i pacchetti. Erano le MS, una specie di Marlboro, solo più economiche. Poi di colpo, anni dopo, ho smesso. Non so perché, ma non mi piaceva più. Forse ero diventato grande e non ne avevo più bisogno. Le sigarette mi erano servite a fare società, a entrare nel gruppo, in una compagnia, a far parte di una setta. Non solo maschile, perché alla mia epoca anche le donne fumavano. Insieme ai maschi. Si fumava e si scambiavano parole. Si amoreggiava tra un tiro e l’altro. Avete presente la bellissima fotografia di Mario Dondero, quella dei ragazzi irlandesi che stanno fumando appoggiati a un muretto? Ragazzini. Fumare faceva diventare grandi. Poi di colpo, è arrivato il proibizionismo. Fumare faceva male, malissimo. È accaduto negli anni Novanta. Niente più fumo da nessuna parte. Tutto questo mi viene in mente leggendo e guardando il bellissimo libro di John Berger e Selçuk Demirel, Smoke (tr. it. di Maria Nadotti, € 9). Sono poche frasi che accompagnano le tavole del disegnatore turco, collaboratore di quotidiani, illustratore. O piuttosto il contrario: sono le frasi di Berger ad accompagnare i disegni, perché questi formano un racconto parallelo e convergente con quello dello scrittore inglese. Cosa dice Berger?
Due pagine di disegni stupendi con omini stilizzati. Da contemplare per capire cosa è la fantasia quando si trasforma in segno: rasentano l’onirico. La perversione ha che fare con il sogno? O con l’incubo? Fatto sta che da rito collettivo, dopo la crociata salutista, il fumo si è trasformato in un vizio privato, una perversione appunto. Tutto ora è così. Azzardo: persino il sesso. Ma questo non lo possono ancora proibire, se no ci estinguiamo. Prima o poi ci arriveremo: fa male! Ci sarà allora una macchina per inseminare, un sistema per farlo senza il sesso, trasformato in una perversione individuale (ma è solo un’immaginazione, forse un incubo, non so, forse esagero,però…). Fatto sta mentre vengono perseguiti a termini di legge i fumatori, il pianeta è invaso dai fumi dei gas industriali. Si riscalda sempre più. A Pechino non respirano più. Sono sicuro che il neopresidente americano, Donald Trump, che non farà nulla contro i gas di scarico di automobili, anzi li moltiplicherà, non fuma. Lui deve essere un salutista, uno di quei tipi che per campare a lungo hanno messo al bando il fumo. L’aspetto di vizioso, per via dei capelli tinti, e non solo, ce l’ha, ma credo proprio che non fumi. Gli interessa più il sesso, e almeno per questo siamo sicuri che non lo proibirà (o forse no, come i dittatori proibirà in pubblico quello che coltiva in privato). Berger ha una parola anche per la Volkswagen: “mentiva sui gas di scarico delle sue automobili”. Finale: i fumatori ostinati, banditi dai luoghi pubblici, sia all’aperto che al chiuso, vagavano verso gli stessi nascondigli, ed erano felici di incontrarsi come fuorilegge. Giusto il tempo per una sigaretta e una storia…”.
Hanno sempre fumato operai e intellettuali, uomini semplici e geni. Ricordate Hannah Arendt con la sigaretta eternamente in bocca? E Jean Paul Sartre? Se fumavano loro, perché non possiamo farlo noi? No! Non si fa. Fa male. Vero, ma perché siamo entrati in questa spirale persecutoria, perché ci colpevolizziamo a vicenda, perché il Potere persegue i fumatori? Ci vogliamo conservare per vivere più a lungo. Poco olio, molta insalatina. Niente carne, niente salumi. E tutto il resto, fumo compreso. Berger lo dice in modo chiaro ed efficace. Siamo sempre più longevi, ma anche sempre più soli. Quasi quasi torno a fumare, se serve per stare insieme, per scambiarci pareri, racconti di viaggi reali e immaginari, se serve per pensare alla lotta di classe che hanno abolito da mo’ e nessuno sa più cosa sia. Vedi Trump, e poi muori.
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