Il nuovo libro di Claudia Rankine è un inventario del presente in cui la poesia incontra la realtà
Dall'autrice di Citizen, un nuovo imperdibile volume.
11/08/2021
“Sull’autobus due donne discutono se Rudy Giuliani dovesse inginocchiarsi di fronte alla regina d’Inghilterra quando è stato nominato cavaliere,” racconta la voce di Non lasciarmi sola, il nuovo libro della poetessa statunitense Claudia Rankine. Sean Connery e Mick Jagger lo avevano fatto. Alla fermata giusta, scesa dall’autobus, ripensa all’attacco del World Trade Center. Il paragrafo successivo è occupato da una citazione del poeta Wallace Stevens che parla di immaginazione e nobiltà.
I libri di poesia si leggono raramente e ancora più raramente capita di consigliarli agli altri: questo genere letterario sembra destinato a una forma di inattualità che lo rende un improbabile oggetto di promozione editoriale. Per qualche ragione, si fa fatica a definire una raccolta di poesia ‘nuova’ o ‘appena uscita’, perché rimanda a un’idea di consumabilità, di tempestività, di adesione al momento presente che sembra sminuire o addirittura insultare il lavoro poetico; ogni libro di poesia pare dover essere futuro o antico. Eppure Non lasciarmi sola. Una lirica americana., il libro di Rankine edito da 66thand2nd con traduzione di Isabella Ferretti, è capace di raccontare il presente meglio di tanta della narrativa che della contemporaneità ricalca solo l’immaginario spicciolo - i lavori mal pagati, le relazioni traballanti, il futuro che diventa sempre ipotetico. Più che raccontare il mondo forse bisognerebbe dire che lo rappresenta nelle sue strutture essenziali, ne restituisce nel modo in cui lo comprendiamo e lo esperiamo.
Non lasciarmi sola precede cronologicamente il già pubblicato Citizen, un libro che più di altri è stato capace di raccontare l’esperienza dei neri americani, di cambiare i termini della discussione sulla razza. Se sulla copertina di Citizen campeggiava un cappuccio nero - un'immagine che evoca insieme il KKK, i prigionieri di Abu Ghraib, ma soprattutto l'omicidio del diciassettenne Trayvon Martin per mano del vigile George Zimmerman, che lo aveva considerato “sospetto” e “pericoloso” proprio perché indossava una felpa - su quella di Non lasciarmi sopra c’è un televisore con lo schermo sintonizzato sul rumore bianco.
“Di notte guardo la televisione perché mi aiuta a prendere sonno, oppure la guardo perché non riesco a dormire,” si legge in uno dei paragrafi che compongono il libro e quella televisione sintonizzata sul canale zero sembra rappresentare contemporaneamente la disconnessione dal mondo, il desiderio di oblio e l’irricevibilità delle notizie. Pubblicato per la prima volta nel 2004, a poca distanza dall’attacco alle Torri Gemelle, Non lasciarmi sola è una riflessione sulla morte, gli psicofarmaci, la malattia e la solitudine - sull’umanità come corpo e la parola come strumento di incontro possibile con l’altro (alla fine, accanto all’immagine di un cartellone che recita QUI, scrive “Paul Celan ha detto che la poesia non è diversa da una stretta di mano. Io non vedo alcune differenza di principio tra una poesia e una stretta di mano - così Rosemary Waldrop ha tradotto dal tedesco”).
La stessa televisione punteggia tutto il testo, questo lungo poema per frammenti, interrotto da spazi bianchi, ritagli di giornali, elenchi di compagnie farmaceutiche, fotografie di uomini e donne uccisi: Non lasciarmi sola è una specie di inventario del presente fatto di oggetti incongrui e corredato da un lungo apparato di note che riconsegna ognuna delle citazioni al contesto originario. È insieme una lista di scomparse e un tentativo di dire queste cose, perché sono esistite.
Ricordo che una volta in un incontro Ilide Carmignani aveva ipotizzato che la crescente popolarità della poesia avesse a che fare con Instagram: il fatto che i testi fossero brevi faceva sì che entrassero perfettamente nel quadratino della app; la poesia era, insomma, più fotografabile di altre forme. Leggendo Non lasciarmi sola mi viene il dubbio che la ragione sia un’altra, cioè che la poesia (questa poesia, per lo meno) sia la forma migliore di rappresentazione della realtà per come la viviamo. Le immagini giustapposte, la possibilità di raccontare senza archi narrativi ed evoluzioni, l’assenza di riempitivi, le voci altrui che si sovrappongono alla nostra. Come nel brano citato in apertura, la vita è la collezione delle apparizioni e delle sparizioni, delle cose che ci attraversano per un secondo o che ricordiamo - la letteratura, la morte di tremila persone in mondovisione, due donne sull’autobus, un politico.
Se la televisione che evoca Rankine ci permetteva, cambiando da un canale all’altro, di passare da uno spot di macchine a immagini di guerra a commedie romantiche nello spazio di un attimo, a distanza di più di quindici anni questo montaggio incomprensibile non ha fatto che intensificarsi - non solo le notizie che ci raggiungono ovunque, cambiandoci la vita in mezzo a spazi indifferenti, ma qualsiasi timeline affianca le foto di vacanze a disastri climatici, annunci di morte, aneddoti divertenti, polemiche e ricordi, canzoni.
Se prima quel montaggio metteva in forma visiva la contemporaneità di eventi incongrui tra loro, creando relazioni dove prima non c’erano, adesso questo montaggio include anche la nostra vita, i nostri post annegati tra un mondo e l’altro, le stories su Instagram che tengono insieme tutto, noi, gli altri, il personale, il tempo là fuori, in una specie di haiku perenne, senza risoluzione.
Scrivevo prima che tanti romanzi contemporanei sembrano solo mimare la realtà: ogni tanto uno dei personaggi apre un computer, manda una mail, riceve un messaggio, qualcuno si ossessiona con una persona conosciuta su Instagram o inventa una personalità fittizia da usare online. In molti casi si tratta di effetti di realtà, segnali per indicare il momento in cui il libro è stato ambientato, ma poi questi libri preferiscono la consequenzialità alla compresenza agerarchica di eventi; del resto sono romanzi, tentativi di dare ordine al mondo, sistemi di realismo. Forse è alla poesia che possiamo guardare quando il realismo non sembra più efficace per spiegare il rumore bianco dentro cui viviamo, l’inconciliabilità del corpo con il mondo.
Rankine, con la sua poesia che usa le immagini, le citazioni, che è in bilico tra la lirica e il saggio, prova a farlo, a dare quella stretta di mano di cui parlava Celan (“la stretta di mano è il nostro rituale convenzionale per affermare (Io sono qui) e consegnare il proprio io a un’altra persona”). Non è la sola - nell’introduzione a Nuova Poesia Americana, la collana antologica di poesia curata da John Freeman e Damiano Abeni per Black Coffee, lo stesso Freeman scriveva “ciò che abbiamo davanti agli occhi oggi non è una generazione di poeti, bensì un nuovo modello di poesia americana che ci restituisce sotto forma di personalità poetiche tutta l’intensità delle pressioni cui è sottoposto” e il successo di autori come Kae Tempest, Ben Lerner, Ocean Vuong sembra confermarlo.
“Come posso dirle, Comprendi senza sforzo che l’uomo rimane, a volte, pensieroso, quasi volesse piangere. Cito, riformulandoli un po’, i versi del poeta César Vallejo perché Vallejo è quello che più si avvicina a spiegare che qualunque forma di conoscenza può essere una ricetta contro la disperazione, ma questa risposta non la accetterebbe, non potrebbe mai usarla come blurb per il libro”.
BAZAAR
Nessun commento:
Posta un commento