lunedì 30 dicembre 2019

Miriam Toews / Donne che parlano






Miriam Toews

Donne che parlano

Una nota al romanzo


Tra il 2005 e il 2009, in Bolivia, in una remota mennonita chiamata colonia di Manitoba - dal nome della provincia canadese - a molte ragazze e donne capitava di svegliarsi tutte doloranti e con un senso di sonnolenza, il corpo sanguinante e coperto di lividi per via delle violenze subite durante la notte. Le violenze erano imputate a fantasmi e demoni. Secondo alcuni membri della comunità, erano Dio o Satana a infliggere alle donne tali sofferenze come castigo per i loro peccati; molti accusavano le donne di mentire per attirare l'attenzione o per coprire l'adulterio; altri ancora credevano che fossero frutto della sfrenata immaginazione femminile.
Alla fine si scoprì che otto uomini della colonia ricorrevano a un anestetico veterinario per rendere incoscienti le proprie vittime e stuprarle. Nel 2011, questi uomini furono condannati a lunghe pene da un tribunale boliviano. Nel 2013, mentre i colpevoli erano ancora in carcere, fu reso noto che violenze simili e altri abusi sessuali continuavano a verificarsi nella colonia.
Donne che parlano è insieme una risposta narrativa a questi fatti di vita vissuta e un atto di immaginazione femminile.

Miriam Toews

Mi sembrava doveroso partire da qui, dalle parole dell'autrice. 
Ho letto queste righe almeno dieci volte, prima di addentrarmi oltre. Mi fermavo, cercavo qualcosa, la ragione di quel piccolo e primo scompenso al cuore, credo.
Miriam Toews parla di un atto di immaginazione femminile, un concetto che racchiude una bellezza imponente, ma pure l'orrore.
E questo mi ha immediatamente paralizzata, perché io lo sapevo bene quello che avrei letto, quello che avrei trovato tra le righe, tra una pagina e l'altra. 
Una storia terribile, di violenze inaudite, di donne violate.
Lo sapevo.
Ma la letteratura a volte diventa un atto necessario, di responsabilità e urgenza a cui non puoi sottrarti.
Aspettavo questo libro con una certa ansia, esplosa dopo la segnalazione di una cara amica. Donna, madre, lettrice appassionata come poche altre.

Venivano narcotizzate con lo spray per le mucche, e poi stuprate nel sonno.

"Siamo donne senza voce, afferma Ona, pacata. Siamo donne fuori dal tempo e dallo spazio, non parliamo nemmeno la lingua del paese in cui viviamo. Siamo mennonite senza una patria. Non abbiamo niente a cui tornare, a Molotschna perfino le bestie sono più tutelate di noi. Tutto quello che abbiamo sono i nostri sogni - per forza che siamo sognatrici".

Riunite in un fienile, le donne di Molotschna decidono di parlare, riflettere su quanto accaduto, probabilmente per la prima volta, e capire insieme cosa fare.
Il capo della comunità, Peters, ha fatto arrestare gli uomini. Presto, però, questi torneranno in attesa del processo. E alle donne è stata data un'unica opportunità: perdonarli affinché possano andare in paradiso. Se non perdonano, le donne dovranno lasciare la colonia e uscire nel mondo, del quale non sanno nulla.
In quel fienile le donne devono decidere, votare. 
Le opzioni sono tre:
1) Non fare niente.
2) Restare e combattere.
3) Andarsene.
Il tutto, ovviamente, in pochissimo tempo.

La voce che racconta, è quella di August Epp. L'unico uomo presente durante le riunioni delle donne e responsabile di trascrivere i verbali.
Non è un caso che August sia un insegnante, un ex membro della colonia, espulso e poi riaccolto, un uomo capace di desiderare la vita e la morte con la stessa intensità, sinceramente.

"Vogliamo che i nostri figli siano al sicuro. Vogliamo conservare la nostra fede. E vogliamo pensare".

L'aspetto più sorprendente di questo libro, di queste donne, di questi verbali, è la maniera di affrontare tutta quella violenza, quel male inflitto dal potere, che è uomo, perché nella comunità vige il patriarcato e la donna conta zero. Da Dio, che è uomo, perché le donne non sanno leggere e nessuna di loro ha la più pallida idea di cosa sia la parola di Dio se non per bocca di un uomo che gliel'ha letta, imposta.
E nonostante queste privazioni, queste ingiustizie primitive, barbare, schifosamente vere e inopinabili, loro si preoccupano di preservare quella maledetta fede, quella parola che forse è di Dio, o forse del diavolo, in fondo chi può dirlo?
Nonostante i lividi sulla faccia, il sangue ancora caldo, le ossa rotte e le vite crepate per sempre, di donne, ragazze, BAMBINE, le donne di Molotschna cercano di preservare quelle qualità che un presunto Dio gli ha donato, perché di notte mentre Adamo dormiva qualcuno si è avvicinato, e gli ha staccato una costola, e poi l'ha data a "te", donna. E questo ti impone per forza di cose una vita di dolore, di sottomissione e privazione.

C'è un tempo per amare, e un tempo per odiare, dice la Bibbia. Queste donne hanno capito che per amare e odiare è necessario prima pensare. Averne almeno la possibilità.

Ho chiuso il libro e mi sono vista in quel fienile. Ho sentito la paglia sfiorarmi le gambe, ho raccolto i miei capelli in un fazzoletto bianco. Ho cercato di coprire un ematoma sul viso, ho sentito un dolore terribile corrermi lungo tutta la schiena. Mi sono sentita rotta, finita.
Poi una voce mi ha raccontato una storia, e poi un'altra, e un'altra ancora.
Queste storie parlavano delle profondità del Mar Nero, della possibilità della vita, nonostante le condizioni più ostili.
Di libellule che hanno sei zampe ma che non sanno camminare, però sanno volare.
Di un artista chiamato Michelangelo che prima di dipingere non era certo di quello che avrebbe realizzato, non ne aveva idea, aveva paura, ma alla fine ce l'ha fatta.
Di un gruppo di donne coraggiose ignare del mondo, della felicità, della dignità, di una vita alla pari, che alla fine hanno deciso di parlare.

Avevo una mappa in mano, c'era scritto "mondo".
Ho pensato.
Ho scelto di andare.
(Non)Siamo solo donne che parlano...



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