mercoledì 18 dicembre 2019

Street Art / La Tour Paris 13




Street Art: La Tour Paris 13

Fino al 31 ottobre 2013 nel XIII° arrondissement a Parigi.

SARA DURANTINI
OTTOBRE 2013

Si dice che la street art sia violenta, che offenda la sensibilità visiva, che si nutra di velleità che non le appartengono. Si dice (o si vocifera) che la street art provochi, alle volte, delle proteste sociali che coinvolgono tanto le istituzioni politiche quanto quelle culturali. Si spendono tante parole quando in campo scende la street art ma in questo momento vorrei accantonare le critiche ingiustificate per dare spazio a una delle iniziative che lascerà il segno. Parigi, capitale artistica della street art, ospita il progetto realizzato da Galerie Itinerrance in collaborazione con Le Grand Jue. La Tour Paris 13: 9 piani, 36 appartamenti che, per un mese, saranno a disposizione di street artist provenienti da tutto il mondo. Le Grand Jeu, nella persona di Christian Omodeo, direttore artistico dell'agenzia, professore e storico dell'arte, ha accolto il progetto elaborato da Galerie Itinerrance occupandosi della direzione di un intero piano dedicato alla street art italiana. Abbiamo chiesto a Christiane Omodeo di entrare nel dettaglio del progetto.

1. Cosa c'è all'origine de Le Grand Jeu e che ruolo ha avuto all'interno del progetto La Tour Paris 13?

Le Grand Jeu è un punto di osservazione a partire dal quale un gruppo di amici connessi via internet si interrogano sulle logiche dell’entertainment e su come queste modificano il DNA del mondo dell’arte. Molti temono e criticano questo cambiamento, lo vedono come la fine della cultura. Noi lo interpretiamo piuttosto come un cambio di paradigma, ma soprattutto come la sfida della nostra epoca: come fare cultura in un periodo storico in cui l’art-entertainment ha preso il posto dell’arte? Il nostro interesse per la Street Art nasce in gran parte da questo interrogativo, perché la Street Art esprime, meglio di altri fenomeni artistici contemporanei, questi nuovi modi di fare e di consumare cultura.
2. Con La Tour Paris 13 avete condensato centinaia di street artist provenienti da tutto il mondo. Credi che sia un progetto che coinvolgerà solo gli addetti ai lavori oppure desterà anche l'interesse dell'opinione pubblica che a quanto pare a Parigi sembra molto attenta alla street art?

Le file lunghissime di questi primi giorni di apertura, l’attenzione dei media – non soltanto francesi – per questo progetto e la reazione eccezionale del pubblico, proveniente da paesi diversi, dimostrano che la Tour Paris 13 non è un progetto riservato esclusivamente agli addetti ai lavori. Conferma inoltre, se ancora ce ne fosse bisogno, la capacità innata della Street Art di confrontarsi con un ampio pubblico. La cosa fantastica di questo progetto è che trasporta all’interno di 36 appartamenti quegli stessi spettatori che incrociano la Street Art in strada. A far la fila, non c’è solo quel pubblico che frequenta abitualmente i musei.



3. Quali difficoltà avete incontrato nella realizzazione di questo lavoro?

Non ci sono state né difficoltà tecniche né problemi curatoriali insormontabili. L’unico vero problema è stato come finanziare un progetto che non ha accettato né cercato sponsorizzazioni. In questo, la Tour Paris 13 e tutti coloro che hanno collaborato alla sua realizzazione hanno dimostrato le potenzialità del modello economico su cui si fonda la Street Art. Tramite internet, la Street Art si è creata un proprio spazio nel mondo dell’arte e nel mercato dell’arte. Non ha avuto bisogno di un sostegno da parte dei critici e delle istituzioni. Oggi, che ha conquistato una sua autonomia – critica e finanziaria –, può permettersi anche di investire a fondo perduto una parte dei propri ricavi per finanziare progetti che hanno un impatto sociale e culturale notevole. La Street Art si è fondata sul crowdfunding prima ancora che nascessero i primi siti di crowdfunding.
4. Il Portogallo e l'America Latina sono due dei paesi che hanno rappresentato questo progetto. Che cosa offrono e quali sono gli elementi identificativi?

La Street Art nasce su internet, dove non esistono frontiere nazionali. E’ quindi difficile identificare degli elementi che caratterizzano queste due comunità di artisti. Quel che è certo, però, è che sia il Portogallo che l’America Latina hanno dimostrato di meritare un posto d’onore nel panorama attuale della Street Art. Personalmente, interpreto la ricchezza di questi scenari come la conseguenza di una concezione meno rigida dello spazio pubblico rispetto agli USA o al Nord Europa. In questi ultimi, dove la Street Art è nata, dipingere in strada era ed è un modo per contestare quei divieti che limitano la libertà di esprimersi nello spazio pubblico. In Portogallo o in America Latina, dove la Street Art è un fenomeno importato, la presenza di street artist nelle strade è vissuta in maniera meno drammatica, perché lo spazio pubblico è visto come un luogo di mediazione tra le diverse forze che compongono una società. Non mi stupisco quindi di fronte alla velocità con cui la Street Art è maturata in questi contesti.



5. Un edificio di nove piani, uno di quali dedicati alla street art italiana che vede coinvolti un numero di gran lunga superiore di artisti rispetto alle altre nazioni. Qual'è il rapporto tra Italia e street art?

Purtroppo, è un rapporto schizofrenico. L’Italia è uno dei primi paesi ad avere dato spazio alla Street Art. Arte di frontiera, la mostra tenutasi alla GAM di Bologna nel 1984, è una pietra miliare a livello internazionale. Senza dimenticare il writing degli anni ‘90, bisogna ricordare che l’Italia è uno degli scenari più importanti della Street Art degli anni 2000. Penso a mostre come Arteimpropria a Milano nel 2003 o all’International Poster Art organizzato a Roma nel 2006. Eppure, nonostante tutto ciò, l’Italia è oggi un paese che non comprende e non riesce a interagire con questo movimento artistico. Poche, pochissime sono le realtà museali e istituzionali che si relazionano seriamente con la Street Art. Tante, ma soprattutto troppe e inutili sono le polemiche scatenate sui media da persone, che vorrebbero trasformare le nostre città in paesaggi da middle class americana, capaci di esultare di fronte a un ventenne mandato a processo per associazione a delinquere per aver dipinto dei muri. E’ un delirio giudiziario che sottoscrivono in tanti, da Giuliano Pisapia a Achille Bonito Oliva. Ma non sarebbe più logico capire prima di tutto le ragioni del persistere di questo vandalismo visivo nelle nostre città?




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