“La mia anima è a Trieste” (James Joyce, “Lettera a Nora”, 27 Ottobre 1909). |
Alla scoperta di Trieste in compagnia di Umberto Saba e James Joyce
25 maggio 2017
“Trieste ha una scontrosa grazia. Se piace, è come un ragazzaccio aspro e vorace, con gli occhi azzurri e mani troppo grandi per regalare un fiore” (Umberto Saba, “Trieste“, 1910-1912).
Mi sono più volte chiesta il motivo di tanto amore verso questa città italiana, geograficamente “relegata” nell’angolo più orientale della nostra Penisola, e devo ammettere che, dopo averla visitata, non posso che condividere questo sentimento: ho infatti scoperto una città dalle mille sfaccettature.
Trieste, città colta: da sempre considerata crocevia della cultura italiana e mitteleuropea, è una città suggestiva, affascinante, a tratti un poco malinconica. E’ indiscutibile il fascino che questa città seppe esercitare su artisti e letterati, italiani e non solo: Umberto Saba e Italo Svevo, che qui nacquero, ma anche James Joyce e Stendhal che ne celebrarono la bellezza e ne trassero ispirazione per le loro opere.
Trieste, città travagliata, terra di confine e, dunque, contesa.
Trieste, città ricca di storia, che porta ancora i segni di un difficile passato.
Il “biglietto da visita” che Trieste ci porge al nostro arrivo è di tutto rispetto. Davanti ai nostri occhi si apre un panorama mozzafiato: il nostro sguardo si perde nel golfo di Trieste dove il mare Adriatico svela inattese sfumature che vanno dal blu allo smeraldo, le sue placide acque solcate dal leggere vele bianche.
In lontananza scorgiamo il Castello di Miramare che si erge in cima al promontorio: è di un bianco abbagliante e, con il suo bellissimo parco di oltre 20 ettari, domina l’intero golfo. Fu l’arciduca austriaco Massimiliano D’Asburgo a volerne la costruzione nel 1856 per potervi vivere con sua moglie Carlotta del Belgio: purtroppo, però, la loro unione finì tragicamente perché Massimiliano venne fucilato in Messico mentre Carlotta impazzì. Percorrendo il balcone che corre lungo il perimetro del castello sembra quasi di percepire la presenza della bella Carlotta che attende invano il ritorno del suo amato marito!
Camminare lungo le vie del centro cittadino mi permette di scoprire che Trieste conserva un’inaspettata anima retrò: sarà merito dei bellissimi palazzi o dei caffè storici frequentati da scrittori ed intellettuali! Il celeberrimo Caffè degli Specchi del 1839, il Caffè Tommaseo del 1830, il Caffè San Marco del 1914. Fu in questa città che James Joyce completò la sua opera Dubliners (Gente di Dublino) e cominciò a lavorare a Ulysses (Ulisse) e fu qui che nacque la sua profonda amicizia con Italo Svevo.
Eccoci giunti in Piazza Unità d’Italia, così chiamata nel 1918 dopo l’annessione di Trieste al Regno d’Italia: bellissima e maestosa, affacciata direttamente sul golfo, è incorniciata da splendidi edifici storici quali Palazzo Stratti, Palazzo del Lloyd Triestino, Palazzo della Prefettura, solo per citarne alcuni. E basta attraversarla per trovarsi proprio di fronte al mare!
Ci spostiamo un poco fino a raggiungere il Canal Grande, canale navigabile che si trova nel cuore del Borgo Teresiano, quartiere voluto nel Settecento dagli Asburgo: passeggiando lungo le sue rive, dove vi sono graziosi locali, per un istante provo la sensazione di essere ritornata a Copenaghen !
Lasciato il centro cittadino, Ciccio ed io ci “inerpichiamo” sulle ripide salite della parte alta di Trieste fino a raggiungere l’imponente Faro della Vittoria: costruito nel 1923 per commemorare i marinai italiani caduti durante la Prima Guerra Mondiale, il faro celebra anche la vittoria italiana contro l’Impero Austro-Ungarico: non a caso sorge proprio dove una volta si trovava il forte austriaco di Kressich… In cima al faro l’imponente statua della Vittoria Alata domina l’intero il golfo.
Sempre nella parte alta della città, in cima all’omonimo colle, si trova anche la Cattedrale di San Giusto, risalente al 1300, al cui interno è possibile ammirare splendidi mosaici di epoca bizantina: quassù, oltre a godere di una splendida vista della città e delle colline circostanti, c’è una pace incredibile!
Ciccio ed io non possiamo però lasciare Trieste senza avere prima visitato il quartiere periferico di San Sabba, testimone suo malgrado di un periodo storico terribile quale fu quello del Nazifascismo. Infatti, è in questa parte della città che sorge la Risiera di San Sabba: costruita nel 1913 come stabilimento per pilare il riso, quando Trieste fu sottoposta al controllo diretto del Terzo Reich, il complesso di edifici venne trasformato dapprima in campo di prigionia per i militari italiani, poi in centro di raccolta dei detenuti in attesa di essere deportati in Germania ed in Polonia ed, infine, in vero e proprio campo di sterminio dove trovarono la morte partigiani, prigionieri politici, ebrei. Il solo varcare la soglia d’ingresso e percorrerne lo stretto corridoio che conduce al cortile ci fa venire la pelle d’oca… A ricordo di dell’orrore che si verificò all’interno della risiera restano le 17 celle di detenzione, la cella della morte ed una stele dove una volta sorgeva il forno crematorio, distrutto dai Nazisti nel tentativo di coprire i loro efferati crimini.
Con il cuore pieno di commozione lasciamo quel luogo e, prima di ripartire, salutiamo un’ultima volta Trieste.
“Ho attraversato tutta la città. Poi ho salita un’erta popolosa in principio, in là deserta […] La mia città che in ogni parte è viva ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita pensosa e schiva” (Umberto Saba, “Trieste”, 1910-1912).
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