mercoledì 26 ottobre 2022

Dave Eggers, l’ex genio da citare per essere "in"

 

Dave Eggers


Dave Eggers, l’ex genio da citare per essere "in"


Osannato e riverito dagli Stati Uniti all'Europa, in realtà è più pubblicizzato che letto: un "caso" editoriale. Se il nuovo romanzo Le creature selvagge fosse arrivato anonimo a un qualsiasi editor, sarebbe stato cestinato


Gian Paolo Serino
27 Ottobre 2009 - 09:42

Se non è vietato è obbligatorio: è il titolo di un racconto di Dave Eggers, pubblicato da minimum fax, e potremmo adottarlo per sintetizzare al massimo il ruolo dello scrittore americano alle nostre latitudini culturali. L’autore di romanzi come L’opera struggente di un formidabile genio, di Conoscerete la nostra velocità o del nuovo Le creature selvagge (questi ultimi tutti editi da Mondadori) è uno scrittore che anche in Italia è diventato di culto. Di quegli autori che è impossibile evitare se non si vuole rimanere esclusi dai salotti letterari, soprattutto virtuali, e dal chiacchiericcio delle adunate editoriali più chic che radical. È il tipico esempio estero di autore radical flop: tutti ne parlano, ma chi lo legge?

L’esordio da «formidabile genio», romanzo salutato dalla critica come un capolavoro, in realtà non è nulla più di una sorta di Che Guevara dell’upper class: un eroe che parte dalla tristezza di un evento autobiografico (?), la perdita di entrambi i genitori, per scoprire on the road tutte le ombre del «sogno americano». Indubbiamente qualcosa di già letto, dai tempi di Cheever, Yates, Gaddis per non parlare di Carver o Ellis.

Dave Eggers ha avuto l’abilità di trasformare un naufragio in un’odissea. Impresa non da poco, certo, ma nemmeno così potente da farne, come scrisse Zadie Smith, «un libro meraviglioso: le cose nel mondo degli scrittori americani non saranno più le stesse». Il panorama, a quasi dieci anni da quel debutto, non appare molto cambiato, anzi. L’impressione è che Eggers sia l'ennesimo caso di genio a (s)comparsa: più commentato che letto, più cool che capace di lasciare delle tracce nella narrativa non solo americana. A confermarlo è anche questo Le creature selvagge, appena pubblicato da Mondadori (pp. 236, euro 17): se fosse arrivato sulla scrivania di un editor come manoscritto di un anonimo esordiente è forte il dubbio che il passaggio al cestino sarebbe stato quasi immediato. Non che sia illeggibile ma per tutto il romanzo la domanda che si pone il lettore è delle più semplici: e quindi? L’idea di scrivere «una favola» che diventa metafora dei nostri tempi spesso «selvaggi» lascia il tempo che trova: molto meglio, e geniale, una puntata dei Simpson che leggere le disavventure del protagonista, il bambino Max mandato a letto per punizione dalla mamma e costretto a inventarsi un mondo popolato di «esseri mostruosi» di cui presto diventa il Re. L’aria più che di una favola è quella della parabola (postmoderna?), metafora per farci comprendere che in «ognuno di noi c’è una creatura selvaggia».

E se nei libri precedenti - ridondanti di cliché solo in apparenza «contro» ma in realtà ai confini delle più miti delle ribellioni giovanili - la lettura poteva anche essere interessante, in quest’ultima prova narrativa Dave Eggers getta la maschera. Poche, pochissime, le pagine di un qualche minimo spessore: sa tutto di maledettamente edulcorato, di rivolta dalla parte del silenzio. Una satira solo in apparenza feroce sul nostro mondo (in) folle: in realtà una parodia da apocalittico e integrato. Perché Le creature selvagge dimostra come Eggers da genio a (s)comparsa si sia trasformato in genio compres(s)o nel prezzo: un Giovane Holding che spara a salve contro le anatre nel parchetto dietro casa. Più che un romanziere contemporaneo dimostra di essere un utensile semiotico. Uno scrittore egocompatibile che ha più meriti editoriali che narrativi. La rivista McSweeeney’s, ad esempio, è davvero tra le riviste letterarie americane più interessanti: fondata e diretta proprio da Eggers, come l’omonima casa editrice, è qualcosa capace di andare oltre lo sperimentalismo e la polvere dell’accademia. Come narratore, invece, affermare che sia sopravvalutato è già un complimento. Infatti più che lettori ha fan, più che appassionati ha supporter. Logico, quindi, leggere che per Eggers «Alessandro Baricco è uno dei migliori scrittori viventi». Alessandro Baricco tra «i migliori scrittori viventi»? Qualcosa non funziona.

Ma la prova empirica è semplice: basta leggere Le creature selvagge. Voleva essere una favola socialmente estremizzata contro le disfunzioni di un Sistema che crolla e il risultato è una (p)resa sociologica da cartoon.

L’impressione è che Dave Eggers, come molti altri autori contemporanei, si trovi davvero a proprio agio nello scrivere. E questo è il peggior male per uno scrittore. Perché come annotava Kafka nei suoi Diari «Quando mi siedo al tavolo di lavoro mi sento come uno che fosse appena caduto sulla piazza dell’Opera in pieno traffico rompendosi le gambe». Non si pretende che la metafora di Kafka sia comprensibile a tutti. Ma almeno chi può, come potrebbe Eggers, non la dimentichi. Sarebbe selvaggio.


IL GIORNALE




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