martedì 7 novembre 2017

Ewa e Osvaldo, la Fabbrica dei Desideri / Una cornice fuori dalla realtà


L'ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci

Ewa e Osvaldo, la Fabbrica dei Desideri

Una cornice fuori dalla realtà...

7 APRILE 2013, 

Pensate a un quadro, alla cornice di un bel dipinto, ai ghirigori intagliati nel legno che circondano una magnifica pittura: senza quel contorno la tela non avrebbe senso di esistere. Allo stesso modo la scenografia è, per un film, la corona necessaria senza la quale il dipinto non avrebbe valore, talvolta è parte del riquadro stesso. E non pensiate che sia facile dare una cornice a un film, è un lavoro smisurato: ci vogliono le idee, il progetto e la capacità di dirigere le risorse a disposizione o addirittura di inventarsele. Per comprendere meglio il lavoro dello scenografo abbiamo intervistato Ewa e Osvaldo Desideri, Premio Oscar come migliore Scenografia per il film L'ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci.
Sono stata accolta nella loro dimora di Albano, una casa ordinata e risplendente, con le pareti piene della memoria di una vita dedicata al cinema, una scenografia nella scenografia. Accompagnata dal regista Michele Labozzetta che ha ripreso le scene e ci ha gentilmente fornito le fotografie dell’intervista.
Mi sono rivolta prima a Ewa.

PB: Ewa, penso sempre che dietro a un grande uomo ci sia una grande donna che lo sostiene, anche se poi Osvaldo era già famoso quando tu lo hai incontrato. Mi racconti come lo hai conosciuto? Come è nata la vostra collaborazione professionale? E la decisione di condividere la vita?
ED: Molti sono convinti che io abbia conosciuto Osvaldo sul set, invece, io al cinema sono capitata per puro caso d’amore. È successo tanti anni fa: ero venuta in Italia per una vacanza. Me lo hanno presentato gli amici durante una gita al lago di Castel Gandolfo. Quel giorno indossavo una maglia nera, un pantalone nero e delle scarpe scure stringate da uomo. Osvaldo era vestito pressoché allo stesso modo… “Sei un architetto?”, mi ha chiesto. Poi abbiamo camminato nel bosco facendo il giro del lago e lui ha colto per me un piccolo ciclamino selvatico…

L'ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci


PB: Sedotta con un fiore? E poi come ti ha convinta a restare?

ED: Non c’è voluto molto, ho capito in un secondo che volevo passare con lui il resto della vita. Il tempo di raccogliere le mie cose e mi sono lasciata dietro la Polonia, il lavoro d’architetto, i legami familiari e quant’altro. Sono ormai vent’anni che seguo Osvaldo in giro per il mondo. Ho vissuto esperienze intense e in poco tempo ho appreso i segreti del mestiere…
PB: Come riuscite a collaborate sul set, cioè come vi dividete i compiti? Chi fa una cosa e chi l’altra?

ED: Noi due siamo complementari, lui è spontaneo e immediato, io sono decisamente analitica. Lui risolve la scena con due o tre lampi di genio, due o tre cose di grande effetto, io invece parto dal presupposto che la materia, l’intensità di colore si veda anche nei piccoli dettagli, perché si nota se qualcosa è stata risolta velocemente e senza precisione. Spesso è lui che legge il copione per primo, poi me lo racconta. Io all’inizio mi accontento del suo racconto, perché sono ansiosa di occuparmi subito della progettazione, sono una formichina, analizzo tutto in ogni dettaglio. Osvaldo è più saggio di me, all’inizio mi suggerisce di incentrare l’attenzione sulla storia e mi fa comprendere i punti salienti su cui concentrarmi, è più intuitivo di me, mi guida. I nostri set, tutto sommato, possiedono una certa poesia. Non sono stracolmi di oggetti, spero che abbiamo un’atmosfera “metafisica”…
PB: Osvaldo, in cosa consiste il vostro lavoro? Mi racconti come si fa una scenografia?

OD: All’inizio è importante leggere il copione, quindi fare un sopralluogo con la troupe che deve girare il film. Se si entra in un buon contatto empatico con il regista, questo favorisce un giusto stimolo alla creazione delle idee. È necessario studiare bene l’ambientazione del film, cercare di fissare concretamente lo spazio-tempo in cui nasce la scena, spesso attraverso un’approfondita ricerca storica. Si deve fare poi un’attenta selezione dei materiali da costruzione e quando tutti i materiali sono approvvigionati si può stimare il tempo necessario per dare la scenografia ultimata attraverso attente valutazioni progettuali e di budget…
PB: Oddio che parola terribile, e chi si occupa di queste valutazioni?

OD: Questo è il difficile e delicato compito di Ewa, che si preoccupa di ogni particolare costruttivo. E c’è da dire che spesso i suoi disegni sono pitture, vere e proprie rappresentazioni del mondo che si andrà a creare. Mi sono così innamorato di certi suoi quadri che ho voluto trovare ad essi un posto nella nostra casa. Quelle immagini spesso mi fanno pensare a un determinato film o a un certo momento della costruzione della scena, o forse a un pensiero o a una chiacchierata con il regista.



PB: Sono disegni straordinari, mi piace questo delle capanne africane e questa prospettiva come di un trono. È raro incontrare oggi degli architetti capaci di fare ancora delle opere interamente a mano libera, con tutte le ombreggiature e gli arricchimenti decorativi del caso. In genere si fa tutto al computer…

OD: Quando siamo arrivati a questa fase Ewa si chiude nello studio a disegnare, dall’alba al tramonto, nessuno la distoglie dal suo lavoro. Ci mette tutta la sua passione, la sua creatività e la sua competenza professionale. Ogni tanto ci confrontiamo, ma lei va avanti senza sosta, talvolta le porto una tisana o un caffè perché lei è capace di stare ore senza muoversi dal suo tavolo da disegno. Quando ha finito il progetto in ogni particolare, si passa alla fase di costruzione della scena di cui in genere ci interessiamo insieme per realizzare le scene nel modo migliore possibile. Spesso abbiamo dovuto costruire intere città, è un grande impegno, ma, ottenuto il consenso della regia, del produttore e del direttore della fotografia, ti devo dire che proviamo una soddisfazione immensa. A quel punto ci dedichiamo alla prossima scena!
PB: Ewa, qual è stato il tuo primo film?

ED: La serie televisiva con Bud Spencer girata in Costa Rica, dove abbiamo costruito un intero villaggio, con case, chiese e barche di navigazione. Abbiamo fatto tante e tante scenografie, ma tutto sommato è stato un inizio facile.
PB: Qual è stata invece, l’esperienza cinematografica che ti è piaciuta di più? E perché?

ED: La mia più grande avventura nel cinema italiano è stato il film realizzato con Pasquale Scimeca, Gli indesiderabili, nel 2003. Si trattava di un film che narrava le faccende di piccoli operai della mafia, ambientato negli Stati Uniti negli anni ‘40-‘50. Abbiamo fatto il film con le poche risorse a disposizione, ma è stata un’esperienza importante, Scimeca è un regista fantastico, possiede una grande dote umana. C’è della poesia in quello che fa e poi mi piace la sua determinazione, lui sa sempre cosa vuole ottenere...
PB: Leggendo il tuo curriculum, Osvaldo, vengono i brividi, hai lavorato con i più grandi registi italiani da Pasolini a Rossellini, da Bertolucci a Visconti, da Zeffirelli a Sergio Leone e poi Scola, Monicelli, Tornatore, Vanzina, Comencini, Benigni, i Fratelli Taviani, ecc. Qual è stato il film che ti ha dato più soddisfazione dal punto di vista del rapporto umano con il regista? Con quale regista non sei, invece, riuscito a trovare delle affinità elettive?

OD: Sono più di cinquant’anni che faccio questo lavoro, ho girato un centinaio di film, ho avuto la fortuna di incontrare le menti più eccellenti e raffinate del panorama del cinema italiano e non vorrei privilegiare una qualità piuttosto che un’altra di uomini di grande intelligenza e spessore, per cui citerò soltanto alcuni fatti che mi sono capitati. Il mio regista preferito è Billy Wilder, con lui ho avuto un buon rapporto, quasi un’amicizia, non so perché è nato questo, forse, come dici tu, avevamo in comune delle affinità elettive. Mi ricordo che adorava la cucina italiana e spesso pranzavamo insieme. Una volta non volevo seguirlo perché ero impegnato a finire un ambiente, uno di quei momenti in cui non riesci a staccarti dalla creazione e lui, nonostante fosse un grande perfezionista, mi disse: “Vieni Osi, non importa se la porta non si chiude, meglio una porta che non si chiude piuttosto che perdere un amico…".
PB: Wilder era un grande uomo anche dal punto di vista umano, ma tu hai avuto a che fare con tanti grandi registi. Quest’anno si festeggia Fellinianno 2013, parte la stagione che ricorda il Maestro, come ti sei trovato con lui?

OD: Purtroppo non sempre le cose vanno lisce, il mio rapporto con Fellini è stato difficile, non so perché non c’era sintonia, e non credo fosse colpa di nessuno, semplicemente due caratteri possono non essere affini. Mi è capitata la stessa cosa anche con Antonioni, quando feci Professione reporter. Ho avuto due mesi terribili, non riuscivamo a capirci, poi magicamente tutto questo si è sbloccato, non so perché è successo, ma da quando abbiamo iniziato a comunicare il film è stato tranquillo fino alla fine.



PB: Meraviglioso! Tutto è bene quel che finisce bene… Come è andata invece con Visconti?

OD: Luchino Visconti è un regista veramente eccezionale. Con lui mi sono trovato benissimo, perché sapevi sempre quel che dovevi fare. Quando abbiamo girato Morte a Venezia, una volta stabilito il periodo storico, sapevi quel che dovevi fare, ti preparavi per quello. Analizzavi tutto quel che poteva accadere ed era accaduto in quel periodo e dopo questa analisi, ti trovavi in perfetto accordo con l’Autore.
PB: Ewa, vuoi raccontarci qualche fatto accaduto con lui, di quelli che sono piaciuti a Osvaldo?

ED: Sì, mi è venuto in mente un ricordo carino. Sai, Visconti era un perfezionista, amava occuparsi di ogni dettaglio. Era così attento a tutto che faceva mettere anche il profumo nei cassetti. E adorava i fiori freschi, tutti sapevano che detestava i fiori finti. Una volta Osvaldo creò un ambiente e ci mise dei piccoli fiorellini finti. Tutta la troupe era preoccupata per l’arrivo di Visconti, si aspettava una vera e propria sfuriata, invece il regista non disse nulla, anzi quando si rese conto che tutti erano increduli perché lui aveva comunque apprezzato il lavoro, disse: “I fiori sono finti, non crediate che non l’abbia visto, ma quando una cosa è bella, è bella e basta…
PB: È una bella soddisfazione Osvaldo che Visconti abbia apprezzato… lui che era così attento. Ti è capitato invece che qualcuno ti lasciasse fare, senza interferire con il tuo lavoro?

OD: Sì, mi è capitato con Pier Paolo Pasolini, lui era il contrario, nel campo della scenografia e arredamento, chiedeva pochissimo. Ricordo, preparando Salò, gli presentavo le mie proposte e lui diceva: “Osvaldo, io me ne intendo pochissimo, non mi occupo di arredamento, sei tu l’esperto, mi fido di te". E così siamo andati avanti, incentrando il lavoro sulla fiducia, un rapporto molto piacevole. Poi Pasolini era una persona splendida, non ho mai conosciuto un altro regista che rispettasse la troupe più di lui. Era così umile, gentile e semplice che veniva a lavorare sul set con la tuta da metalmeccanico. Era incredibile, si doveva girare alle 8,30? Lui arrivava alle 8 del mattino, indossava la sua tuta da lavoro e iniziava a girare puntualissimo. E non allungava mai le riprese, all’ora stabilita finiva, con un rispetto assoluto per tutti i lavoratori del cinema. All’ora di pranzo non voleva privilegi, faceva la fila come l’ultima comparsa, non scavalcava nessuno e trattava con il massimo rispetto chiunque, era una persona veramente rara…
PB: Tu, Osvaldo, hai lavorato con Ferdinando Scarfiotti, com’era?

OD: Con lui ho realizzato L’Ultimo Imperatore, un film fortunato, siamo riusciti a vincere l’Oscar per la Scenografia e per l’arredamento, io l’ho vinto per l’arredamento. Se lui si metteva in testa una cosa, era quella. Ricordo le sue parole: “Quando tutto il materiale sarà portato a Pechino, io avrò bisogno di dodici settimane di preparazione”. E così è stato. Sono proprio soddisfatto di quello che il cinema mi ha regalato come esperienza di vita e delle persone che mi hanno aiutato a crescere, lui è uno di questi…
PB: Cosa significa Osvaldo vincere un Oscar?

OD: L'Oscar alla migliore scenografia viene assegnato agli scenografi votati come migliori dall'Academy of Motion Picture Arts and Sciences, cioè l'ente che assegna gli Academy Awards, i celebri premi conosciuti in Italia come premi Oscar. È il riconoscimento più importante nel campo del cinema, soprattutto perché è assegnato a tutte le categorie professionali e ti rende in qualche modo immortale…
PB: Finora abbiamo parlato di registi, ma di certo nell’esecuzione delle scenografie, nell’adattamento al cast prescelto ti sarà capitata qualche interessante esperienza con attori famosi. Raccontaci qualche episodio.

OD: Sono due mondi differenti, in genere lavoriamo in tempi diversi, non ho molte cose da raccontare. Posso dirti che mi è capitato di lavorare con Francesca Neri, nel film Per sempre. Quando una come lei viene vestita da Armani, l’intera scenografia dell’appartamento in cui è ambientata la scena deve essere adattata a lei. Noi siamo convinti, Ewa e io, che abbiamo concepito lo spazio ideale, moderno, con una struttura simile al gusto di Armani. Abbiamo creato un interno all’insegna della semplicità, della raffinatezza e del buon gusto. Il film si svolge quasi interamente con due protagonisti e la scelta è stata quella di creare quasi uno spazio teatrale.
PB: Quali sono i film che prediligi Ewa? Che tipo di scenografia ti piace vedere? O quale ti piace creare?

ED: Veramente io adoro i film di contenuto, dove la scenografia è assolutamente secondaria. Ho sempre amato i film dove il racconto, la storia sono predominanti sugli effetti speciali e visivi. Le esperienze lavorative più belle sono invece le opportunità di costruire le scenografie in luoghi straordinari. Abbiamo avuto la fortuna di farlo nei Caraibi, in Marocco, nello Zimbabwe, in South Africa… Non è che noi creiamo solo lo sfondo per far muovere le figure degli attori, ma creiamo la tenda da circo dove si svolge lo spettacolo. Questo è bello perché la tenda raccoglie anche noi gente del cinema, la troupe. Non sono mai frustrata quando nella scena non si vede tutto quello che abbiamo creato, perché quello che è stato creato è anche la nostra vita, quella cornice fuori dalla realtà che ci accompagna sempre.
PB: Quest’immagine mi affascina, perché Osvaldo non mi racconti qualcosa dell’esperienza con Sergio Leone, del film C’era una volta in America? Sei entrato in contatto con De Niro?

OD: Forse ti potrà interessare che in quel film la sua tenda da circo, come dice Ewa, è stata costruita in un campo di grano sulla Tiburtina a Roma, a New York sono stati girati solo i controcampi, con il ponte di Brooklyn… Di De Niro, posso raccontarti una curiosità. Mi ha chiesto di costruire nel suo appartamento la replica, il frammento, dell’ambiente “la fumeria d’oppio”. Da vero perfezionista esercitava la parte anche fuori dal teatro di posa…



PB: Ewa, Osvaldo ti ha mai raccontato qualcosa di simpatico su qualche stella del cinema?

ED: Tante cose, non tutte possono essere ripetute… È divertente una scena che successe con Liz Taylor, al Teatro di Catania, mentre si facevano le prove per Il giovane Toscanini di Zeffirelli. Alla diva è caduto l’anello, regalo di Richard Burton… e tutta la troupe si è dovuta impegnare… alla ricerca del diamante perduto…
PB: In quale momento, Osvaldo, il regista sceglie lo scenografo?

OD: Te lo dico con la risposta che diede a Giancarlo Giannini un grosso produttore americano: “Il nostro segreto è che, prima di scegliere gli attori, scegliamo lo scenografo, il direttore della fotografia, il costumista, poi il regista, poi gli attori”. È importante infatti quello che sta dietro, lo spazio in cui l’attore si muove.
PB: Questi meravigliosi e coloratissimi disegni che vedo sul tuo tavolo, Ewa, riguardano il vostro prossimo film? Dove è ambientato? Chi è il regista?

ED: Sì, sto iniziando a lavorare per il prossimo copione... Si tratta di un film ambientato nello Yemen, da girare in Marocco, per ora non posso dire altro, il resto è ancora top secret…
PB: Cosa ti piace del cinema, Osvaldo?

OD: Amo l’assoluta libertà che c’è in questo lavoro, il fatto che posso viaggiare ed entrare in contatto con altre culture...
PB: Quali Desideri avete per il futuro Ewa, nel cinema e nella vita?

ED: Io vorrei lavorare nel cinema internazionale, mentre Osvaldo ha fatto tante di quelle esperienze che la maggior parte dei Desideri l’ha già esaudita e affronta ogni nuova esperienza con grande serenità. Nella vita, incontrare Osvaldo è stato già un bel sogno…
PB: Un’ultima domanda Osvaldo: cosa pensi del cinema attuale?

OD: Inutile fare confronti, perché poi dicono che sei pessimista…

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