domenica 2 agosto 2020

Charles Perrault / Cenerentola




Donner Gertrúd Mária (1902-1986) - DRASCHE - Art Deco Cenicienta ...


Charles Perrault

Cenerentola


Cera una volta un gentiluomo il quale in seconde nozze si pigliò una moglie che la più su perba non s'era mai vista. Aveva costei due figlie che in tutto e per tutto la somigliavano. Dal canto suo, il marito aveva una ragazza, ma così dolce e buona che non si può dire: doveva queste qualità alla mamma, che era stata la più brava donna di questo mondo. Subito dopo fatte le nozze, la madrigna diè sfogo al suo malanimo. Non potea soffrire le doti della giovanetta, che rendevano ancor più odiose le figlie sue. La incaricò dei più bassi servizi della casa: toccava a lei lavare i piatti e spazzar le scale, stropicciare l'impiantito in camera della signora e delle signorine figlie; dormiva in cima alla casa, in un granaio, sopra un misero pagliericcio, mentre alle sorelle erano assegnate camere con pavimenti intarsiati, letti di ultima moda, e specchi in cui si miravano da capo a piedi. La povera ragazza soffriva tutto con pazienza, nè osava lamentarsi col padre, perchè questi l'avrebbe sgridata, visto che dalla moglie si facea comandare a bacchetta. Finito il suo lavoro, mettevasi accanto al camino e si sedeva nella cenere, epperò in casa la si chiamava comunemente Cucciolona; la minore delle due sorelle, non tanto sgarbata quanto l'altra, la chiamava Cenerentola. Eppure Cenerentola, infagottata com'era nei suoi cenci, era cento volte più bella delle sorelle sfarzosamente vestite.

Accadde che il figlio del Re diede un ballo, invitandovi tutte le persone di conto. Anche le nostre due signorine ebbero l'invito, perchè faceano gran figura nel paese. Eccole tutte contente e affaccendate per scegliere gli abiti e le acconciature che stessero lor meglio: novella fatica per Cenerentola, perchè doveva lei stirar la biancheria delle sorelle e pieghettarne i manichini. Non si parlava che dei vestiti da mettersi. "Io, disse la maggiore mi metterò l'abito di velluto rosso e i pizzi d'Inghilterra." "Per me, disse l'altra, non avrò che la veste solita; ma in compenso mi metterò il mantello fiorato d'oro e la collana di diamanti, che non è mica una cosa da niente". Si mandò a chiamare la crestaia perchè aggiustasse le cuffiette a doppia gala e si comprarono dei nei dalla profumiera. A Cenerentola anche domandarono un parere, perchè la sapevano di buongusto. Ceneren tola le consigliò che meglio non si poteva e si offrì perfino di pettinarle, al che le due sorelle si degnarono di accettare. Mentre si facevano pettinare, le dicevano: "Ti piacerebbe di andare al ballo, Cenerentola? "Ahimè! signorine, voi vi burlate di me; non è cosa per me." "Hai ragione; sarebbe un gran ridere, se si vedesse al ballo una Cucciolona." Un'altra le avrebbe pettinate alla diavola; ma Cenerentola era buona e le pettinò a perfezione. Stettero quasi due giorni senza mangiare, tanto erano fuor di sè dalla gioia; più di dodici laccetti si spezzarono, a furia di stringere i busti per far loro la vita sottile; e tutti i momenti si miravano allo specchio.

Spuntò finalmente il giorno felice. Le due sorelle andarono, e Cenerentola le seguì con gli occhi finchè potette. Quando non le vide più, si mise a piangere. La comare che la vide tutta in lagrime, le domandò che avesse. "Vorrei... vorrei tanto..." Piangeva così forte che non potette finire. La comare, che era Fata, le disse: "Vorresti andare al ballo, non è così?" Oh, sì! sospirò Cenerentola," "Ebbene, dice l'altra, se sarai buona, ti faccio andare". Se la menò in camera e le disse: "Va in giardino e portami una zucca." Cenerentola subito andò a cogliere la più bella che le riuscì di trovare, e la portò alla comare, senza capire come mai quella zucca l'avrebbe fatta andare al ballo. La comare la vuotò, e quando non fu rimasta che la sola scorza, la percosse con la sua bacchetta, e la zucca fu subito mutata in una bella carrozza tutta dorata. Andò poi a guardar nella trappola, e trovativi sei topolini ancora vivi, disse a Cenerentola di alzare un tantino il caditoio. I topolini ne uscirono ad uno ad uno; ed ella subito un colpo di bacchetta, e il topolino mutavasi di botto in un bel cavallo; in meno di niente si ebbe così un magnifico attacco di sei cavalli d'un bel grigio sorcio pomellato. Vistala poi in pena da che cosa dovesse fare un cocchiere, disse Cenerentola: "Vado a vedere chi sa mai ci fosse qualche sorcione nella trappola grande; ne faremo un cocchiere." "Hai ragione, approvò la comare, va a vedere". Cenerentola le portò la trappola, e c'erano infatti tre sorcioni: la Fata ne prese uno, che avea tanto di barbigi, e toccatolo appena, lo trasformò in un grosso cocchiere, che aveva un par di baffi i più belli che si sian mai visti. Poi le disse: "Va in giardino, troverai dietro l'innaffiatoio sei lucertole, portale qui." Avutele appena, le mutò in sei lacchè, che montarono subito dietro la carrozza coi loro abiti gallonati, e vi si tennero attaccati come se non avessero fatto altro per tutta la vita. La Fata disse allora a Cenerentola: "Ecco fatto, adesso puoi andare al ballo: sei contenta?" Sì, ma come fo ad andarci, con questi miei cenci indosso?" La comare non fece che toccarla con la bacchetta, e nel punto stesso gli abiti cenciosi diventarono d'oro e d'argento, tempestati di pietre preziose. Le diè poi un par di pantofole di vetro, le più belle del mondo. Così adornata, Cenerentola montò in carrozza; ma la comare le raccomandò, sopra ogni cosa, di non passar mezzanotte; un momento di più che rimanesse al ballo, la carrozza sarebbe ridiventata zucca, i cavalli sarebbero tornati topolini, i lacchè lucertole e gli abiti sfoggiati più cenciosi che mai. Promise Cenerentola alla comare di lasciare il ballo prima di mezzanotte, e partì, fuor di sè dalla contentezza.

Il figlio del re, avvertito dell'arrivo d'una grande principessa, che nessuno conosceva, le corse incontro. Le porse la mano per farla smontar di carrozza, e la menò nella sala dove gl'invitati erano raccolti. Un gran silenzio si fece; cessò il ballo, tacquero i violini, tanto si era intenti a contemplare le grandi bellezze dell'incognita. Udivasi solo un confuso vocio: "Ah! com'è bella!" Anche il re, tuttochè vecchio, non si stancava di guardarla, ripetendo sommesso alla regina che da un gran pezzo non gli capitava di vedere una persona così bella ed amabile. Tutte le dame osservavano con grande attenzione l'acconciatura e gli abiti di lei, per averne il giorno appresso dei simili, dato che si trovassero così belle stoffe ed operai abbastanza bravi. Il figlio del re la fece sedere al posto d'onore, e poi la prese per mano, invitandola a ballare; e Cenerentola ballò con tanta grazia da suscitare una sempre più viva ammirazione. Si portò poi una bellissima refezione, che il giovane principe non toccò nemmeno, tanto era occupato a contemplar la fanciulla. Questa andò a sedere accanto alle sorelle e le colmò di gentilezze, offrendo loro perfino delle arance e dei limoni datile dal principe: il che le maravigliò assai, perchè non la conoscevano. Mentre così discorrevano, Cenerentola sentì battere le undici e tre quarti; fece subito una grande riverenza alla brigata e scappò via più che di fretta. Arrivata a casa, corse dalla comare, la ringraziò, le disse che con tanto piacere sarebbe tornata al ballo la sera appresso, perchè il figlio del re ne l'aveva pregata. Prese poi a narrarle tutto ciò che era accaduto, e in quel mentre le due sorelle bussarono alla porta. Cenerentola andò ad aprire. "Come arrivate tardi!" esclamò sbadigliando, fregandosi gli occhi e stirando le braccia come se allora allora si fosse svegliata; eppure, da che s'erano lasciate, non l'era mai venuto voglia di dormire. "Se tu fossi venuta al ballo, disse una delle sorelle, non ti saresti annoiata: ci è venuta una bella principessa, la più bella che si possa mai vedere. Mille finezze ci ha fatto; ci ha dato delle arance e dei limoni." Cenerentola era fuor di sè dalla gioia; domandò come si chiamasse quella principessa, ma le sorelle risposero che nessuno la conosceva, che il figlio del re non trovava più pace, e che tutto avrebbe dato per saper chi fosse. Cenerentola sorrise e disse: "Era proprio bella assai? Beate voi! Oh, se potessi anch'io vederla... Sentite, signorina Javotte, prestatemi l'abito giallo che voi indossate tutti i giorni." "Davvero! esclamò la signorina Javotte; prestare il mio bell'abito a una sudicia Cucciolona come te! Fossi matta!" Cenerentola si aspettava questo rifiuto, e ne fu contentissima, perchè si sarebbe trovata molto imbarazzata se la sorella avesse consentito a prestarle il vestito.

La sera appresso, le due sorelle andarono al ballo, e Cenerentola pure, ma molto più ornata dell'altra volta. Il figlio del re le stette sempre a fianco, susurrandole ogni sorta di galanterie; la fanciulla non s'annoiava e dimenticò quel che la comare le aveva raccomandato; sicchè sentì sonare il primo colpo di mezzanotte, quando si figurava che non fossero ancora le undici. Si alzò e scappò via leggiera come una cerva; il principe le corse dietro, ma non riuscì a raggiungerla. Nella fuga, una pantofola di vetro le cadde, e il principe la raccolse con gran cura. Tornò a casa Cenerentola affannando, senza carrozza, senza lacchè, e con indosso le sue vesti cenciose: di tutta la sua magnificenza non avanzava che una pantofolina, la compagna di quella cadutale dal piede. Fu domandato alle guardie di palazzo se avessero visto uscire una principessa; dissero di aver visto uscire solo una ragazza assai mal vestita, che sembrava più che altro una contadina.

Quando le sorelle tornarono dal ballo, Cenerentola domandò loro se si fossero divertite anche stavolta, e se la bella signora c'era stata; risposero di sì, ma che se n'era scappata al tocco di mezzanotte, e con tanta furia da lasciarsi cadere una delle sue pantofoline di vetro, la più bella del mondo; che il figlio del re l'avea raccolta, che per tutto il resto del ballo non avea fatto che guardarla, e che certamente era innamorato pazzo della bella creatura a cui la pantoffolina apparteneva. Ed era proprio vero; perchè, pochi giorni dopo, il figlio del re fece bandire a suon di tromba ch'egli avrebbe sposato colei al cui piede quella pantofola fosse di misura. Si cominciò prima a provarla alle principesse, poi alle duchesse, poi a tutta la corte, ma inutilmente.

La si portò dalle due sorelle, che fecero tutto il possibile per farvi entrare il piede, ma non vi riuscirono. Cenerentola, che le guardava e avea riconosciuto la sua pantofola, disse ridendo: "Vediamo un pò se mi va a me!" Le sorelle si misero a ridere e a motteggiarla. Il gentiluomo, incaricato di provar la pantofola, guardò fisso a Cenerentola, e avendola trovata assai bella, disse che la cosa era giusta e ch'egli aveva ordine di provarla a tutte le ragazze. Fatta sedere Cenerentola e accostatale la pantofola al piedino, vide che la si calzava senza fatica e vi si adattava come se fosse di cera. Grande fu lo stupore delle due sorelle, ma anche maggiore, quando videro che Cenerentola cavava di tasca la pantofolina compagna e se la calzava. Arrivò a questo punto la comare, e con un colpo di bacchetta fece diventare gli abiti di Cenerentola ancor più sfarzosi di tutti gli altri. Allora le due sorelle riconobbero in lei la bella principessa del ballo. Le si gettarono ai piedi, e le domandarono perdono di tutti i mali trattamenti che le avean fatto soffrire. Cenerentola le fece alzare, le abbracciò perdonò loro di tutto cuore, e le pregò di volerla sempre bene. Tutta adorna com'era, la si condusse dal giovane principe, questi la trovò più bella che mai, e pochi giorni dopo la sposò. Cenerentola che era non meno buona che bella, fece alloggiare le due sorelle a palazzo reale, e le maritò, lo stesso giorno, a due gran signori della Corte.

Morale

La bellezza è per la donna un gran tesoro, nè mai ci si stanca di ammirarla; ma assai più vale la buona grazia. Questa diè a Cenerentola la comare, educandola, istruendola fino a farne una regina. Questo dono, o belle, ha più potere di una ricca acconciatura per avvincere un cuore e farlo proprio. La buona grazia è il vero dono delle Fate; senza di essa, nulla si può; con essa, tutto.

Altra morale

Gran che certo, avere ingegno, coraggio, nobiltà, buon senso, e simili pregi che vi vengono dal cielo; ma a nulla vi serviranno per avanzar nella vita, se non avete o dei compari o delle comari che li facciano valere.


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