Era l’inverno fra il 1901 e il 1902 quando l’archeologo francese Jaques de Morgan, durante gli scavi nella città di Susa, portò alla luce una delle più antiche e importanti raccolte di leggi scritte mai rinvenute: il Codice di Hammurabi. La scoperta ebbe luogo nella regione dell’Iran sud-occidentale, proprio dove il re dell’Elam – dopo aver depredato Babilonia – decise di nascondere il lauto bottino composto da statue e tesori.
Il Codice rappresenta un importante punto di riferimento per la storia del diritto, un elemento fondamentale per poter comprendere al meglio la successiva legislazione, soprattutto romana. La raccolta fu redatta sotto il regno di Hammurabi, re babilonese dal 1992 a.C. al 1750 a.C., e incisa su una stele di basalto alta più di due metri. Sulla sommità del cilindro è raffigurato Shamash, dio della giustizia, dinanzi al cui trono si inginocchia il sovrano. E il successivo prologo, che precede le disposizioni codicistiche, ricalca lo stretto rapporto fra il re e le divinità. Le leggi sono considerate di origine sacra, al punto che lo stesso Hammurabi sottolinea di essere stato incaricato dagli dei per “distruggere le forze del male, affinché il potente non opprimesse il debole”.
Seguono, dunque, i 282 articoli che – senza rispettare una vera sistematicità in ordine alle materie trattate – regolano profili di diritto civile, diritto commerciale, diritto penale e diritto processuale. Le leggi, redatte in scrittura cuneiforme, erano spiegate in maniera semplice, chiara e concisa. Inoltre, a differenza della successiva codificazione romana, non c’erano riferimenti ad altre leggi, a usanze precedenti o a ratio e finalità della disposizione: alla prolissità si sostituiva l’economia del precetto.
Oltre all’organicità normativa, il Codice di Hammurabi deve la sua fama anche alla codificazione della cosiddetta legge del taglione. Secondo gli storici si tratterebbe della prima espressa previsione di tale principio di diritto, in forza del quale la vittima di un danno poteva infliggere all’autore dello stesso un danno di egual portata. Tuttavia, la lex talionis babilonese – efficacemente spiegata dal brocardo “occhio per occhio” – si applicava secondo un’equità piuttosto diversa da quella attualmente riconosciuta. Dal Codice di Hammurabi si desume una chiara divisione in classi della civiltà mesopotamica. In capo alla piramide sociale vi erano gli awilu, letteralmente “uomini civilizzati”, dunque una categoria alla quale appartenevano i nobili e coloro che esercitavano funzioni politiche e di governo. Seguivano i mushkenu, “coloro che si sottomettono”, ossia uomini semiliberi e senza proprietà. Ultimi, in fondo alla gerarchia, erano i wardu, ossia schiavi e servitori, che potevano essere acquistati e venduti.
Ebbene, il tenore delle pene variava a seconda della classe di appartenenza della vittima e dell’autore del danno. La gravità della colpa era strettamente connessa allo status sociale del responsabile. Il delitto commesso da un wardu era punito più severamente, con pene ben più gravose, e lo stesso avveniva quando lo schiavo era una vittima, perché in tal caso la sua vita aveva minor valore e la pena inflitta era sicuramente più blanda.
Inoltre, un importante profilo attiene alla responsabilità del reo, la cui disciplina è totalmente estranea all’odierna distinzione fra reato colposo e reato doloso. A riguardo, un esempio classico è quello della casa che, crollando, provoca la morte di coloro che vi abitano. Secondo il Codice di Hammurabi, non assume alcuna rilevanza la condotta colposa o dolosa dell’architetto: questi sarà infatti punito come se avesse volontariamente ucciso i membri della famiglia scomparsa con il crollo.
Attualmente, la stele è custodita presso la sezione delle Antichità orientali del Louvre, a Parigi, ma una sua fedele copia è parimenti ammirabile presso il Pergamonmuseum di Berlino. Seppur lontano dal rigore sistematico delle codificazioni moderne, il Codice di Hammurabi ha inaugurato l’odierna tradizione codicistica dell’organizzazione del corpus in articoli. Infine, un profilo di notevole importanza è assunto dalla pubblicità del corpus normativo. Il codice era pubblicamente conoscibile: pene e divieti erano facili da verificare a cura di coloro che sapevano leggere. La stele venne esposta proprio nel tempio del dio Shamash, favorendone l’accesso al popolo, e il sovrano scelse di usare un linguaggio non specifico, ma chiaro e comprensibile dai molti. La legge scritta attribuiva certezza al diritto e l’esposizione ne attuava un principio oggi noto come presunzione di conoscenza della legge.
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