Dacia Maraini: la forza dei sogni
Un maestro che ha perso la figlia, adorato dagli allievi. Idealista pronto a combattere. La scrittrice sceglie per la prima volta un protagonista maschile. Con successo
di FRANCESCO CEVASCO
4 novembre 2015 (modifica il 5 novembre 2015 | 16:24)
Dice Dacia: «Per la prima volta ho preso come protagonista di un mio romanzo una figura maschile e questa novità mi mette un poco di agitazione». E non solo protagonista ma anche io narrante... Ma tranquilla, gentile signora Maraini: l’esperimento è riuscito.
Dunque, il maschio del romanzo La bambina e il sognatore (Rizzoli) è un maestro di scuola. Ancor giovane e di bell’aspetto. Si è lasciato un po’ andare perché ha sofferto molto. La figlia di otto anni è morta di leucemia. La moglie, che come lui non ha saputo superare quel dolore insuperabile, lo ha lasciato. Vive lo strazio della solitudine. Solitudine che non si è scelto, ma gli è piombata addosso. Fortuna che ha i suoi alunni. Lo amano perché sa raccontare storie affascinanti. Riesce a trasformare in «storie» anche la geografia, l’astronomia e la matematica. E i ragazzini, quando lui parla, la smettono di smanettare sui telefonini. Ovviamente è un maestro che a volte non rispetta l’arido protocollo della burocrazia scolastica. E per questo ogni tanto si prende «una padellata in testa» dalla preside.
Il maestro è anche «il sognatore» del titolo del romanzo. Sognatore non soltanto perché s’illude che possa esistere un mondo migliore fatto di verità e giustizia. Ma anche perché sogna davvero. Come quella notte in cui «vede» una bambina che assomiglia tanto a sua figlia. Che come lei cammina con «passo da papera». Ma i passi della bambina non portano la piccola alunna a scuola, la stessa scuola dove insegna il maestro sognatore. La portano in un misterioso nulla in cui lei scompare. Il guaio è che, poche ore dopo quel sogno, il sogno si avvera. All’ora in cui la bambina doveva entrare a scuola sparisce come una piccola Alice, la ragazzina delle meraviglie inghiottita da un pozzo profondo.
La coincidenza fa esplodere nel cuore e nella mente del maestro una volontà invincibile: cercare quella bambina sparita. A distrarlo da questo scopo che ridà un senso alla sua vita non basta nemmeno la sua «cattiva coscienza». Il maestro la materializza in un uccellaccio - un ibrido tra un pollo e un rapace calvo e sgraziato - che ogni tanto gli si appiccica a una spalla e gli dà lezioni vita. Come il grillo parlante di Pinocchio, è saccente e antipatico. Non è proprio cattivo, ma è come la maggioranza di noi esseri umani: egoista, cinico, pragmatico. «Che cosa t’intigni a cercare quella bambina che sarà stata sequestrata, stuprata, uccisa e sepolta da un bruto; e nessuno la troverà mai più. Sai quante ne succedono di cose così?!».
Ma il maestro non si arrende. Deve affrontare l’ostilità di tutti: la polizia, gli abitanti della piccola città in cui vive, il prete; persino i genitori della bambina scomparsa sono diffidenti e sospettosi. Solo gli alunni sono suoi complici. E tra loro ci sarà chi parteciperà in maniera importante alle indagini. Perché questo è anche un libro investigativo. Una vera e propria storia nera. Il racconto di un viaggio alla scoperta di uno e più mondi criminali. Dacia Maraini riesce a calarsi nella psiche maschile non soltanto del buon maestro, ma anche in quella di una torbida canaglia che, sentendosi un «prolungamento del caro Marcel», insegue fanciulle in fiore.
Ma La bambina e il sognatore non è soltanto una storia nera. È anche una storia sociale. Dell’Italia di oggi e del mondo che ci circonda. La scuola e i suoi intrecci con i nuovi temi aperti dall’immigrazione. Come quel padre islamico che non vuole che la figlia continui a studiare, perché secondo lui le ragazze che vanno a scuola non saranno mai delle buone madri. O quel «padre», nel senso di prete, che si scandalizza perché il maestro «insegna liberté égalité fraternité , le tre parole magiche della rivoluzione francese poi riprese dal comunismo russo».
E poi, seguendo i fili che annodano la trama del libro, t’imbatti nella crudele realtà delle bambine ridotte a schiave per soddisfare il lurido piacere dei buoni padri di famiglia che diventano turisti del sesso in Cambogia. O nella incredibile gioia - anche per un maschio - di avere un figlio o di desiderarlo, come diceva Pavese: «Quest’uomo vorrebbe lui averlo un bambino e guardarlo giocare». O nell’incredibile dolore di vederlo morire con dei piccoli tubi e rubinetti piantati nel corpo nell’inutile sforzo di vederlo guarire; ma non è così.
Oltre alla bambina, quella sparita e quella portata via dalla leucemia che poi sono la stessa, ci sono altre due figure femminili pirandelliane che segnano la vita del maestro. La moglie che lo ha lasciato, ma che riaffiora nei momenti più imprevisti: sembra irrimediabilmente dura perché provata dall’ingiustizia della vita, ma avrà anche un altro volto. E poi la maschera della preside «leopardata», come la chiama lui. Severa, burocratica, vestita come una squincia con giacche da cowgirl e pantaloni volgari. Ma che sotto la maschera nasconde la tenerezza di conoscere l’infelicità dell’amore.
La bambina e il sognatore è un libro nitido come la scrittura che lo tiene insieme,una scrittura senza acrobazie, ma che non ti dà respiro. Ed è un libro torbido come la storia - le storie - che racconta. Sono le storie con cui la realtà ci accoltella ogni giorno. Ma, intanto - come direbbe l’uccellaccio che fa il nido sulla spalla del maestro - «siamo anestetizzati e non proviamo più dolore; che ci vuoi fare? non puoi fare niente; fatti gli affari tuoi e non cercar guai inutili». Ma, per fortuna, dice Dacia, ci sono ancora persone come il maestro sognatore.
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