Suze, l’italiana di «The Freewheelin’» che fece perdere la testa a Bob Dylan
Il primo viaggio in Italia di Bob Dylan fu nel 1962, a Perugia,
sulle tracce del suo primo grande amore, l’italoamericana Suze Rotolo.
Non sarebbe tornato per 22 anni
13 ottobre 2016 (modifica il 13 ottobre 2016 | 19:56)
La prima volta che Bob Dylan venne in Italia fu alla ricerca del suo primo grande amore, Suze Rotolo, la ragazza che abbraccia in una delle copertine più famose nella storia della musica, quella di The Freewheelin’. Era il 1962 e la 19enne Suze — nata nel Queens, figlia «dal pannolino rosso» di intellettuali comunisti italiani, il padre illustratore morto quando aveva ancora 14 anni e la madre giornalista per l’Unità del Popolo — era andata per sei mesi a studiare a Perugia, all’Università per Stranieri, per sfuggire a quel musicista sull’orlo del successo e al loro amore turbolento che la madre Mary osteggiava.
Quando arrivò a Perugia, Suze aveva viaggiato 8 giorni in nave e trovò un telegramma di Dylan che la implorava di tornare a casa. Pianse per ore – racconta Anthony Scaduto nel suo libro Bob Dylan: A biography — ma decise di restare in Italia: ricevette molte altre lettere, alle quali seguirono sempre meno risposte. Fu in quel periodo che lui compose canzoni come Don’t Think Twice, It’s Alright, e Boots of Spanish Leather e che, invitato a Londra per registrare un programma della Bbc, colse l’occasione per attraversare l’oceano e andare a cercarla a Perugia. Arrivato in Umbria, però, scoprì che lei era ripartita da due giorni per New York: rimase qualche giorno a Roma, poi volò a Londra e in Italia non sarebbe tornato per 22 anni.
Qualche mese dopo, di nuovo a New York, Don Hunstein lì ritrasse per la celebre copertina di The Freewheelin’, il secondo album di Dylan. Era il febbraio del 1963, Perugia era ormai alle spalle e il fotografo di Cbsimmortalò Dylan e Rotolo abbracciati nella neve, all’incrocio fra West Fourth e Jones Street, nel Greenwich Village, a pochi passi dal loro appartamento, con alle spalle un furgone Volskwagen. «Indossava un giacchetto leggero, perché l’immagine era tutto», raccontò Suze nel 2008 al New York Times. «Il nostro appartamento era sempre freddo e io avevo addosso due felpe e un cappotto. Mi sentivo una salsiccia italiana e, ogni volta che riguardo quella foto, penso che sembro grassa».
Aveva appena 17 anni, Suze, quando si innamorò di quel ventenne del Minnesota che si chiamava ancora Robert Zimmerman e faceva il musicista folk nel Village. Si erano incontrati per la prima volta a un suo concerto alla Riverside Church, presentati da Carla, sorella di Suze. «Non potevo toglierle gli occhi di dosso», scrisse Dylan nella sua autobiografia Chronicles: Volume 1, 43 anni dopo. «Era la cosa più erotica che avessi mai visto, aveva la pelle chiara e i capelli dorati, e un puro sangue italiano».
Andarono subito a vivere insieme in un appartamento del Village su West Fourth Street, lei gli correggeva i testi delle canzoni e lo introdusse ai circoli comunisti newyorkesi, portandogli in testa le idee politiche e sociali che contribuirono a cambiare la storia della musica e che gli hanno permesso di vincere il Premio Nobel per la Letteratura. Era la sua guida culturale per le strade di New York, e lo introdusse alle opere di Bertolt Brecht, e poi a Paul Cézanne, Wassily Kandinsky, Paul Verlaine e Arthur Verliane. L’impegno di Suze Rotolo per i diritti civili, scrisse ad esempio il New York Times qualche anno fa, influenzò le canzoni di Dylan dell’epoca — da Masters of War aBlowin’ in the Wind, fino a The Death of Emmett Till – e la sua passione per l’arte e il teatro lo espose a idee e personaggi che andavano ben oltre il mondo della musica.
Sembravano felici ma, soltanto sei mesi dopo la più celebre fotografia che li ritrae insieme, Suze fuggì di nuovo, lasciando l’appartamento di West Fourth Street dopo aver scoperto di essere incinta. Abortì illegalmente, mentre Dylan, sempre più famoso, cominciò una relazione con Joan Baez. Il loro amore, come scrisse lo stesso cantautore nel suo memoir, non fu una passeggiata. «Doveva finire. Lei prese una deviazione, io ne presi un’altra». Ne raccontò la fine in Ballad in Plain D, in cui descrisse le tensioni con la famiglia Rotolo e per la quale si scusò vent’anni dopo, nel 1985, definendosi uno «schmuck», uno stupido, ad averla scritta. L’unica di cui si era pentito. «Avevo capito cosa stava facendo. Era la fine di qualcosa ed eravamo entrambi feriti e rancorosi», rivelò lei qualche anno dopo. «Fu il suo esorcismo, e così ha fatto per tutta la sua vita: le canzoni d’amore, quelle ciniche, quelle politiche erano tutte parte del suo modo di vedere il mondo e di vivere la sua vita».
Sempre riluttante a parlare di quell’amore adolescenziale che influenzò il pensiero delle generazioni contemporanee e successive, Rotolo sposò nel 1970 Enzo Bartoccioli, che aveva conosciuto durante i mesi passati a Perugia e dal quale ha avuto nel 1980 il figlio Luca, che oggi costruisce strumenti musicali. Abitarono per un po’ in Italia, prima di tornare negli Stati Uniti negli anni Settanta, dove Rotolo ha lavorato come illustratrice, pittrice e artista, e il marito come montatore video alle Nazione Unite. Dopo quarant’anni di silenzio, dovuti soprattutto alla speranza che l’identità ingombrante di quell’ex fidanzato non calpestasse la sua, Rotolo si è aperta per la prima volta nel 2005, lasciandosi intervistare da Martin Scorsese per il documentario No Direction Home: quell’esperienza la liberò, aiutandola a pubblicare, nel 2008, il suo libro di memorie, Girl from the East Country (Ok, Queens).
Cresciuta, come scrisse lei stessa, «a Woody Guthrie, Leadbelly e Pete Seeger», Rotolo – che è morta il 25 febbraio 2011, a 67 anni – non ha mai abbandonato l’attività politica, arrivando a protestare contro George W. Bush alla convention repubblicana del 2004. Con Dylan rimase in contatto, seppure sporadico, e fu lui ad aiutarla quando l’appartamento dell’East Village in cui viveva con il marito – scelto per restare lontano dai luoghi frequentati al tempo di quell’amore adolescenziale – andò distrutto in un incendio, portandosi dietro anche quel cappotto verde che indossava sulla copertina di The Freewheelin’.
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