di Alessandra Chiara Mansueto
Questo grande tempio bianco è un luogo di silenzio (quando non canto a squarciagola) eppure a volte mi sembra di sentire il rombare dell'universo. Pensandoci meglio, credo siano le tubature. Qui me ne sto da solo con le statue di gesso, con una in particolare: Amber. Un tempo Amber non era né fredda, né bianca, né perfetta. Detesto la perfezione! Amber era calda e sorrideva spesso. Ancora ricordo la sua pelle ambrata, il naso un po' schiacciato, gli occhi brillanti, la fronte rugosa di quando s'arrabbiava, gli scatti buffi delle sopracciglia. Sono memorie preziose. Il passato mi perseguita!
Tanti anni fa fu Amber a trovare questo luogo. La vidi correre verso di me, il viso mosso d'eccitazione: "Seguimi," disse, "ho scovato un posto magico". Già la cosa mi puzzava. Quando arrivammo sentii come un vuoto nello stomaco: un tempio dal pallore marmoreo si ergeva, dimenticato da tutti, sotto gli arbusti intricati della zona off limits. Ebbi subito l'impressione che quel tempio fosse lì da sempre, ma sapevo che il sempre non esiste. Per qualche motivo entrammo, anche se ricordo che avrei voluto scappare. Forse il motivo era che un vero uomo non scappa mai, e io davanti ad Amber (mannaggia a me) volevo essere un uomo di ferro. L'interno era popolato da statue di gesso: uomini e donne dalla bellezza sovrumana, candidi come la luna, immobili come perle che hanno smesso di rotolare da tempo immemore; eppure quasi vivi.
Immerso in quel silenzio misterioso temevo di sentire da un momento all'altro i loro passi profondi, l'eco delle loro voci. Non ho mai sopportato i film horror. Amber invece era incantata, i suoi occhi si erano fatti più grandi, pieni di splendore: "Guardando tutto questo non ti sembra," mi sussurrò, "che esista un mondo infinito? Qualcosa di più?". "Amber, non dire sciocchezze... lo sai che tutto ormai è stato scoperto. Non c'è nulla che l'uomo non conosca, nulla di più," risposi. "E se dicessero così solo per impedirci di sognare?". "Ci sono le prove fornite dalla scienza". "Tu non capisci perché sei un chimico. Io sento che dev'esserci qualcosa di più, e questo posto magico me ne dà la conferma". "Non metterti in testa strane idee," tagliai corto (avevo fame e volevo andare in piadineria).
Dopo quel giorno Amber tornò al tempio molte volte, vi si recava sempre più spesso. Quando scompariva sapevo che l'avrei trovata lì, seduta davanti alla statua di un giovane riccioluto. Cercavo di portarla via, ma lei protestava. Allora mi limitavo ad aspettare in piedi dietro la sua piccola schiena, con lo sguardo preoccupato e il vuoto nello stomaco. "Lui è il mio preferito, non è bellissimo?" diceva Amber ammirando il ragazzo di gesso. Io per dispetto sognavo di truccarlo da donna. Solo quando Amber veniva via con me le mie viscere smettevano di contorcersi. Ma ogni volta ad alzarsi ci metteva più tempo, ogni volta era più contrariata. Non capivo cosa le passasse per la testa: "Donne!" borbottavo.
Poi, poco a poco, vidi la passione accendersi negli occhi bellissimi di Amber. Fu presto chiaro che quel sentimento non bruciava per me. Io stavo sempre alle sue spalle, perché non era me che lei guardava: come io amavo Amber, Amber amava il giovane di gesso. Dannato schifoso! Volevo distruggerlo ma ero troppo fifone. Sapevo di dover fare qualcosa per salvare Amber dalla follia, eppure, imprigionato in un limbo di pensieri e paure, mi limitavo a esisterle accanto. Stavo immobile dietro di lei, e la mia anima tremava: immaginavo di stringerle le spalle, di sentire la sua nuca calda sul mio collo, le sue ciglia contro le mie guance, di premere le mie labbra sulle sue, forte. Perché non mi muovevo? Ero una sorta di guardiano confuso, e trascinavo parole che lei ascoltava sempre meno. Preso dall'esasperazione tornavo spesso a casa per dormire con Ponchio, il mio soffice gatto.
Un giorno accadde qualcosa di strano: Amber si voltò verso di me e mi chiese di prestarle alcuni libri di chimica. Esultai, pensando che finalmente volesse studiare la realtà, e accettarla. Mi sbagliavo. Passava ore su quei libri, ma non per questo usciva dal tempio. Era un miracolo se metteva fuori la punta del naso. Giunse infine il momento che da tempo temevo: "Scusa, non credo uscirò più di qui," m'informò quell'egoista di Amber. Era ora di sfogarmi: "Questo è troppo! Vieni con me! Subito! Non devi entrare mai più in questo posto!" le urlai, "La vita degli uomini è fuori, in un mondo pieno di colori. Questo bianco dà alla testa!". "Quel mondo è triste, tutto è stato scoperto e l'infinito dimenticato," rispose Amber stringendosi le ginocchia al petto. "Se credi che esista l'infinito, allora esci da qui e dimostralo al tuo mondo!". "Lasciami in pace, chi mi crederebbe? Nemmeno tu mi credi, e te ne stai lì a fissare in modo penoso la mia schiena. In questo tempio sono felice, qui posso sentire quel qualcosa di più che ho sempre cercato". "Questo tempio non è il tuo mondo, e quella statua non è un tuo simile. Cosa credi di ottenere amandola? Potrà mai stringerti? Potrà mai starti accanto come un uomo? Dici di essere felice, ma chi vuoi ingannare? Le tue spalle tremano". "Non capisci niente!" la voce di Amber si era incrinata. Io mi sentii irritato e urlai fortissimo: "Alzati! Guardami in faccia! Dov'è finita la ragazza forte che conoscevo? Stai diventando patetica!".
Amber non rispose. Dopo un lungo momento di silenzio, mi sedetti accanto a lei e le presi la mano: "Amber, ti prego, vieni via con me. Andiamo in città, a quest'ora è piena di luci colorate. Ricordi la nostra cioccolateria preferita? Quella vicina all'Accademia. Andiamo lì, ci prendiamo la cioccolata calda con i pasticcini, e parliamo. Si sistemerà tutto, tornerai ad essere la ragazza allegra che eri". Amber non rispose né si voltò verso di me. "Fidati," supplicai. Silenzio. Avevo paura, una paura tremenda: Amber, che era sempre stata davanti a me, ormai sembrava irraggiungibile. Spinto da un impeto irrefrenabile strinsi le sue spalle, mi ci aggrappai: "Io ti amo!". Il mio respiro si fermò. Il tempo si fermò. Le spalle di Amber erano fredde, dure, di gesso. La voltai verso di me. Il suo viso era bianco e perfetto. Gli occhi impietriti avevano dentro una passione triste, le labbra erano socchiuse, come a voler dire qualcosa. Scoppiai a piangere come un bambino. Per trasformare il corpo umano in gesso basta qualche semplice formula chimica, ecco perché Amber aveva chiesto in prestito i miei libri. Dopo tutto la colpa era mia. Mi ero mosso troppo tardi, non avevo fatto nulla per salvarla. Strinsi Amber, ma più la stringevo più lei era lontana. Il mio cuore veniva risucchiato in un imbuto di disperazione, schiacciato, eppure non distrutto: senza problemi continuò a battere. Dopo ore crollai addormentato accanto alla statua di Amber.
Quando mi svegliai, la prima cosa che vidi fu il suo viso bianco. Lo carezzai come avrei dovuto fare quand'era ancora roseo, e d'improvviso lacrime sgorgarono da quegli occhi duri, consumando appena il gesso delle guance. Dentro il corpo immobile, intrappolata, c'era ancora l'anima di Amber. Con le dita cercavo di asciugare le sue lacrime, ma quelle sgorgavano sempre più veloci. Senza riuscire io stesso a frenare il mio pianto, la pregavo inutilmente di fermare il suo. Non poteva né muoversi né parlarmi, ma con quelle lacrime di sicuro voleva dirmi qualcosa. Non c'era modo di riportare il suo corpo alla normalità, a quel punto sapevo che potevo fare solo una cosa per lei: liberarla dal dolore, e quindi distruggere la sua anima. Questo significava che avrei ucciso l'ultima parte umana di Amber, ne ero ben consapevole. Per quattro giorni le sue lacrime scesero ininterrottamente, al quinto presi coraggio e scomposi la sua anima in atomi senza vita. Così Amber morì.
Da allora vengo spesso al tempio, me ne sto seduto davanti alla sua statua. Ancora rimangono sul suo viso i segni sottili delle lacrime, a testimoniare che era umana. Adesso sono io il pazzo che ama una ragazza di gesso: è buffo vero? Anche se so che l'infinito non esiste, anche se so che Amber ormai è solo una statua, non riesco a slegarmi dall'amore che provavo per lei quand'era viva. "Hey Juan! Per quanto tempo ancora hai intenzione di restare qui? Muoviti! Devi venire con me a vedere i fuochi!" la voce capricciosa di Mari mi riscuote. "Arrivo strega!". "Perché mi chiami così?" s'imbroncia. "Dai scherzavo, andiamo," le scompiglio la frangetta. "Non spettinarmi!" ostenta una smorfia carina. A volte è così adorabile! "Muoviamoci, o finisce che arriviamo tardi," rido. "E' vero sono già le otto!". "Corriamo!" la prendo per mano e scatto alla velocità della luce. Fuori l'aria è frizzante, mi solletica le narici: una botta di vita.
Sono nata a Milano nel 1995. Racconto storie un po' pazze da sempre, il mio primo personaggio si chiamava Ponchio ed era un gatto cattivello (perdonatemi, ma avevo solo tre anni).
La mia passione mi ha portata a intraprendere studi classici, a pubblicare racconti già da qualche anno e a dedicarmi alla psicologia sociale e alla narrativa. Sto completando la mia prima raccolta di racconti. Punto forte: la fantasia.
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