di LUISA MARIANI
Alice è una bambina di quattro anni, minuta, con dei bei riccioli biondi e due grandi occhi azzurri su un visino serio serio che non le toglie però l’aria da bambolina incantata ed ingenuamente seduttiva.
Viene da me per una consultazione psicologica perché da quando i genitori hanno divorziato non riesce a separarsi dalla madre, non sopporta più Matteo, il fratellino minore che attacca in continuazione e, appena può, si lamenta dei più svariati mali per il gusto di ingurgitare medicine. Mi dirà in gran segreto l’ultimo giorno dei nostri incontri: “Non so se hai capito bene il mio problema, la mia malattia è la malinconia, la nostalgia e… la questione d’amore. Amavo un bambino che mi amava ancora da prima, poi lui ha detto che non era più capace di amare. Allora io non capisco più…”.
Le dico che è tormentata dal dubbio di essere amata o no e che, forse, vuole stare sempre con la sua mamma per essere sicura che non l’abbandoni mai, le suggerisco che probabilmente vuole ammalarsi per essere sempre circondata da cure e affetti.
Gli occhi di Alice mandano bagliori: “Sì è così, ma non solo, c’è un altro segreto, c’è che il papà, e questa cosa Matteo non deve saperla mai, vuole un attimo, ma solo un attimo più bene a me che a lui… però io voglio un briciolo più di bene alla mamma perché il papà vede di più Matteo e lo accompagna all’asilo tutti i giorni”.
Le parole concise di Alice rivelano con intensità straordinaria e con una chiarezza che sbalordisce il suo mondo affettivo interiore, già così ricco e complesso, popolato da tanti pensieri e stati d’animo che brulicano incessanti animando la sua vita emotiva. È con grande serietà e consapevolezza che riconosce ed esprime i suoi problemi di relazione all’interno della famiglia, ma anche la costituzione del primo legame d’amore con un coetaneo che evolverà, purtroppo, nella ferita dell’abbandono.
Anche se abitualmente si crede che l’innamoramento sia una manifestazione emotiva che compare a partire dalla pubertà, in realtà i drammi sentimentali di Alice sono comuni a tutti i bambini anche se non sempre hanno l’opportunità di essere espressi così apertamente. Il bambino, infatti, è capace di provare e comunicare il lato più strettamente psichico dell’amore come per esempio la tenerezza, la devozione, la gelosia, la possessività.
Alice , nel suo racconto, svela l’intima connessione tra gli attaccamenti infantili per i genitori e l’innamoramento per il suo amichetto: in entrambi i casi c’è un’esperienza d’amore e poi di separazione, infatti esiste un forte rapporto tra le esperienze di un individuo con i propri genitori e la successiva capacità di costruire dei legami affettivi con altre persone.
I sentimenti di affetto, di amore, di invidia, di odio sono sperimentati dal bambino in maniera molto intensa ed, inizialmente, sono rivolti alla mamma e al papà in quanto sono le prime persone con cui stabilisce una relazione affettiva, tra l’altro le loro cure attente e amorevoli gli assicurano la possibilità di crescere, infatti il piccolo dell’uomo nasce fisiologicamente immaturo e la sua vita dipende in toto dagli accudimenti continui delle figure primarie.
Proprio perché questi rapporti sono così importanti, indispensabili per la sua vita, i sentimenti del bambino per i propri genitori sono vissuti in maniera amplificata, tanto che quando si rende conto che il suo desiderio d’amore illimitato è irrealizzabile, patisce molto questa frustrazione, si arrabbia, si avvilisce e deve fare un grosso lavoro psichico per rinunciare all’appagamento totale. Impara gradualmente a rivolgere all’esterno della famiglia il suo interesse e ad estendere le sue attenzioni verso altri adulti o verso i coetanei: ecco allora i primi innamoramenti, le simpatie, i corteggiamenti, i bigliettini segreti, che hanno anche la funzione di banco di prova per i legami futuri.
I bambini sui quattro o cinque anni, in genere, si comportano come se non esistesse niente di più importante dell’uso delle fonti di piacere e della realizzazione dei loro desideri.
È comprensibile, dunque, che l’esperienza affettiva e la curiosità per l’enigma del sesso si rivelino in un’età incredibilmente precoce: il bisogno di fare continuamente domande (i famosi “perché”), a volte, così fastidiose per gli adulti, ha come contenuto di fondo quesiti di base quali: scoprire la differenza fra i sessi, informarsi sulle relazioni amorose, sapere come e da dove nascono i bambini, insomma l’esigenza di conoscere il segreto della vita.
In particolare, per quanto riguarda l’amore, la risposta dei genitori ai primi innamoramenti dei loro piccoli varia da un’approvazione compiaciuta e senza riserve, come se il bambino fosse un prolungamento di sé e il suo comportamento affettivo fungesse loro da gratificazione narcisistica: “Luca è un grande amatore come lo sono stato io…” o “Anna è un’esperta seduttrice come avrei voluto esserlo io…”, a rimandi colpevolizzanti come ritorsione inconscia rispetto ai divieti e alle frustrazioni vissute nel passato. Lo sdegno morale che alcuni genitori mostrano in tali occasioni ci dà la misura dello sforzo che hanno dovuto compiere loro stessi per dominare la loro vita affettivo-sessuale infantile. Un’altra reazione potrebbe essere la banalizzazione “è roba da bambini” come se fosse impensabile riconoscere l’intensità e la veridicità dei sentimenti dei bambini.
L’innamoramento dei bambini comporta inevitabilmente delle implicazioni nella sfera psichica dei genitori in quanto si verifica un “cambiamento catastrofico”, una rottura di quello che, fino a quel momento, era stato un rapporto affettivo racchiuso nell’ambito familiare che garantiva uno scambio emotivo ricco di ogni gamma di sentimenti: dalla tenerezza all’aggressività, dall’amore all’odio, dalla generosità alla possessività, e così via.
L’innamorarsi del bambino è un segnale forte di cambiamento, indica la separazione emotiva da una situazione di rapporto molto profondo ed esclusivo e, a volte, può creare sentimenti di angoscia non solo nel piccolo stesso, ma anche nei genitori che vivono la caduta del loro ruolo di “dèi”, come una perdita della loro identità.
Anche nel gioco i bambini comunicano e realizzano il desiderio di “fare i grandi”, di vivere le emozioni degli adulti, per esempio il maschietto gioca a far finta di essere un famoso calciatore o uno spericolato pompiere o un medico che guarisce tutti i mali, mentre la femminuccia immagina di essere un’abilissima ballerina o la più bella principessa del mondo o la madre più amorevole che accudisce i suoi figli con dedizione infinita. Con queste fantasie imitano ciò che sanno della vita degli adulti, ciò che li appassiona e che rappresenta il loro ideale di realizzazione futura, col gioco esprimono simbolicamente anche il loro modo di relazionarsi con se stessi e con gli altri, prefigurando la qualità della loro futura vita sociale e amorosa.
D’altronde, anche le fiabe, altra grande passione infantile, possono rispecchiare i pensieri d’amore dei bambini, esse raccontano la complessa esperienza del misurarsi con la vita prima di raggiungere la realizzazione di sé; nella storia, infatti, i personaggi, con cui i piccoli si identificano, devono affrontare ostacoli, superare prove, scongiurare malefici per arrivare alla mèta, ma incontrano anche figure buone, presenze magiche che forniscono aiuto e fungono da guida nel faticoso percorso.
La maggior parte delle fiabe sono storie di crescita e di ricerca della felicità che, nell’immaginario del bambino, è rappresentata appunto dal coronamento del sogno d’amore dei due protagonisti che, essendosi ritrovati e congiunti definitivamente, possono finalmente vivere “…felici e contenti per sempre”.
Luisa Mariani
Psicologa, psicoterapeuta, docente di psicoterapia dell’adolescente e di teoria psicoanalitica presso la Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica di Milano, sono autrice di contributi pubblicati su riviste specializzate riguardanti la supervisione e il gruppo clinico come strumenti di apprendimento nella formazione in psicoterapia.
Ho organizzato corsi e convegni sull’età evolutiva per genitori, insegnanti ed operatori e collaboro a quotidiani e periodici con articoli sulla cultura psicoanalitica, sulle relazioni familiari e sul rapporto tra cinema/arte e psicoanalisi. Conduco seminari per psicoterapeuti sui temi dell’ascolto del corpo, del pensare per immagini e del recupero della capacità di “sognare” come strumenti clinici nella psicoterapia ed è in questo senso che mi appassiona utilizzare il cineforum come mezzo di formazione. D’altra parte se il sogno è all’origine della psicoanalisi e della sua teoria della mente, lo è anche all’origine della creazione di immagini artistiche, di quelle cinematografiche in particolare, ma anche di quelle pittoriche, scultoree, letterarie e musicali.
Mi sento profondamente in sintonia con quei modelli teorici della psicoanalisi secondo cui nella pratica clinica “l’analista deve essere capace di costruire una storia.” (W.R. Bion) e dove lo psicoterapeuta nella sua funzione interpretativa “Deve dunque avere familiarità con quelle sorgenti delle fantasticherie proprie dello scrittore creativo …” (G. Di Chiara): è lasciandomi andare in questa corrente immaginopoietica e visionaria che sognerò e narrerò “storie”.
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