Rosalba Carriera
Fino all'ultimo sguardo
La pittrice dell'evanescenza
Gli antichi Romani chiamavano lux alba il primo bagliore di luce che spalancava il cielo a un nuovo giorno. Il nome Rosalba nasceva da lì. Luce pura, quella di due occhi capaci di raccogliere, con audacia, le più intime sfumature della realtà. Eppure in quel nome tanto aureo e cristallino, già albergava un germe oscuro: Il destino beffardo, come un amante tradito, sa dove colpire con maggior forza, al centro della più intima vulnerabilità dell'amato. Di tutte le sventure che potevano accanirsi contro di me, questa è la più ingrata. Il fato mi priva del senso necessario alla mia vita più del respiro, più del sostentamento, pur anco dell'amore. Io, che attraverso lo sguardo ho fatto fiorire le carte, ho donato il volo alle aspettative senza ali dei miei committenti, ho trasformato uomini in dei e donne in regine, ho reso umani principi e re; io che con i miei pastelli ho regalato illusioni di immortalità, ora sento che mi vien meno lo strumento perfetto: la vista.
Rosalba Carriera, Ritratto di Maria Josepha D'Austria |
Sono le parole con cui Valentina Casarotto, all’interno del suo romanzo Il segreto dello sguardo fa rivivere in forma diaristica – come un io narrante che srotoli la sua vita approfittando dell’ultimo barlume – la straordinaria pittrice dell’evanescenza Settecentesca: Rosalba Carriera.
In un’epoca in cui alla donna non erano concessi che ruoli subordinati quali quelli di moglie, madre o cortigiana, Rosalba ebbe il coraggio di divenire un’artista di successo. La si potrebbe immaginare come una protofemminista del XVIII secolo. Viaggiò da sola, non volle sposarsi, non dipese da alcun uomo e difese la sua libertà personale e artistica fino all’ultimo sguardo. Fu ammirata da molti artisti a lei contemporanei. Ritrasse pittori come Marco e Sebastiano Ricci, e fu lodata dal bolognese Giuseppe Maria Crespi, detto lo Spagnolo, per la “fedeltà del disegno e la diligenza del colorito”.
Rosalba Carriera, Autoritratto 1730, Gemäldegalerie Alte Meister, Dresda
Pittrice ricercata dalle più nobili corti, Rosalba dedicò all’arte la sua vita. Fu libera e sola, nel successo come nella decadenza. E accolse con dignità il capitolare del suo sguardo nel buio. A leggerla ora parrebbe quasi una beffa: la pittrice dei volti di seta e degli sguardi di luce che improvvisamente perde la vista. Eppure fu così che andò.
Rosalba Carriera nacque a Venezia il 12 gennaio 1673. Figlia di una merlettaia e di un cancelliere ebbe la fortuna di studiare l’inglese e il francese, e imparò persino a suonare il violino. Ma l’incanto di una mano all’opera – quella ricamante di sua madre – la sedusse sin da piccola. Crescendo, la sua attitudine al disegno si fortificò e non fu affatto censurata dalla famiglia. Le fu anzi concesso un precoce apprendistato presso la bottega di un pittore allora noto: un certo Antonio Balestra. Già nel 1703, al suo esordio artistico, ricevette da Ferdinando Maria Nicoli queste parole: Signora Rosalba io temo assai che la vostr’arte eccelsa vi conduca un giorno all’Inquisizione per un’accusa di cui ninun eresiarca è mai stato incolpato. Voi vi assumente l’onnipotenza, che è il più riserbato pregio di Dio ed in vece d’imitar gli uomini, li create. Ma che voi coi colori di terra formiate volti al naturale, l’intendo possibile, perché così fu fatto una volta da Dio con Adamo. Ma che co’ terreni colori dipingiate anche l’anima spirituale e insensibile, questa è un’eresia stravagante.
Rosalba Carriera, Ritratto come musa della tragedia, 1746 |
Nel 1705 Rosalba prese a frequentare l’Accademia di San Luca a Venezia. Aveva già iniziato ad affinare la tecnica che le avrebbe conferito successo e celebrità – il pastello su carta – quando partecipò alla selezione, superandola, esattamente come era avvenuto un secolo prima in quel di Firenze ad Artemisia Gentileschi, prima donna della storia a iscriversi ai corsi di un’accademia. Rosalba fu prevalentemente una ritrattista, ma i primi lavori che riuscì a vendere a veneziani o forestieri furono le tabacchiere, piccoli cofanetti d’avorio utilizzati a quell’epoca anche dalle nobildonne e sui quali l’artista soleva dipingere dame leggiadre o figure mitologiche, in perfetta linea con il gioioso, elegante e frivolo gusto dell’epoca: il Rococò. Presto, però, anche i suoi pastelli partirono per il mondo. La sua fortuna fu infatti quella di ritrarre nobili stranieri, giunti a Venezia per godersi la magia del più storico e famoso dei carnevali.
A trent’anni Rosalba visse una stagione particolarmente felice: i suoi ritratti dal chiarismo fulgido ed elegante rispondevano pienamente alle richieste estetiche dell’epoca, e così molti aristocratici divennero suoi committenti. Nel 1708, ad esempio, l’artista realizzò il ritratto del re Federico IV di Danimarca. Il sovrano soggiornò per alcuni mesi nella città lagunare, in incognito, commissionandole ritratti su carta di tutte le più belle e avvenenti dame della laguna. In tal modo Rosalba venne a contatto con una serie di figure femminili di rilievo, con le quali instaurò legami di amicizia. Si trattava di donne colte o di artiste. Per citarne alcune: la poetessa Luisa Bergalli, la ballerina Barbara Campanini, la contessa Caterina Sagredo di Barbarigo, la cantante Faustina Bordoni. E nel frattempo ebbe una serie di allieve a cui insegnò l’uso del pastello su carta.
Rosalba Carriera, Caterina Sagredo Barbarigo as Berenice, 1741 |
Non si trattava certo di un prodotto nuovo, era anzi nato durante il Rinascimento, quando il disegno era esercizio della mano, tecnica di studio, momento progettuale. Si trattava di pigmento in bastoncini tenuto insieme da un legante, che a seconda dei casi poteva essere cera o colla. A metterlo a punto fu un artista francese di nome Jean Perréal, citato proprio da Leonardo Da Vinci nel suo Codice Atlantico. E proprio il sommo Leonardo fu uno dei primi a utilizzarlo. Perréal ne ideò la versione morbida, quella che consente a tutt’oggi maggior possibilità di applicare la tecnica dello sfumato, ma in realtà, in base all’impasto, la resa poteva essere anche media o dura.
Il pastello divenne una tecnica artistica autonoma durante il Settecento francese e italiano. E certo è che Rosalba Carriera contribuì in maniera esponenziale al suo successo. Per lei la linea, il tratteggio, e lo sfumato offrivano la possibilità di ottenere – mediante gradazioni cromatiche e tonali –, una resa pittorica che nulla aveva da invidiare alla pasta di colore lavorata su tela. Il risultato era, anzi, più luminoso. E proprio la delicatezza e la leggerezza del pastello sapevano rendere morbidamente irripetibile ogni effige. Gli occhi disegnati da Rosalba erano vivi. Rifulgevano. Era come se ogni sguardo si bagnasse di luce. La carne prendeva la consistenza delle nuvole e i drappeggi avevano la sottigliezza di veli d’acqua. I suoi ritratti – sempre realizzati in piccoli o medi formati – apparivano soffici. Erano pregni di eleganza, grazia e vaporosità. Il pastello, questo materiale tanto fragile quanto gentile, le permise di rendere delicati e lievi anche i volti più ruvidi e spigolosi.
Rosalba Carriera, Il Console francese Le Blond, 1727, Galleria dell'Accademia, Venezia |
La sua fama crebbe dal 1720 in poi. Si spostò prima a Parigi, dove lavorò per l’allora bambino Luigi XV di Francia e per il suo reggente, il duca Filippo II d'Orléans. La corte francese si innamorò dei suoi ritratti tanto da commissionargliene un numero elevatissimo, e nella capitale francese Rosalba ricevette le lusinghe di pittori coevi come Antoine Watteau, che tra l’altro ritrasse. Durante quegli anni l’artista prese la particolarissima abitudine di realizzare una seconda copia di ogni ritratto eseguito, da tenere per sé. In questo modo si costruì un vero e proprio archivio-collezione. Rientrata in Italia si recò a Modena, come ritrattista delle principesse estensi. Tornò poi a Venezia, dove realizzò forse l’unico, se non uno dei rari, soggetti a tema religioso: la Madonna del Museo Correr di Venezia. Era il 1725, lo stesso anno in cui dipinse le Quattro stagioni per Joseph Smith oggi conservate presso la Royal Collection di Windsor.
Il 1730 fu invece l’anno in cui soggiornò a Vienna, presso la corte dell’ dell'imperatore Carlo VI. Ma forse il più grande dei suoi collezionisti fu Augusto III re di Polonia il quale, oltre a commissionarle il ritratto della contessa Anna Orzelska, raccolse nel Palazzo Reale di Dresda più di cento opere attribuite a Rosalba e alle sue allieve. Anna Banti in Quando anche le donne si misero a dipingere scrisse: In una età del’oro della raffinatezza un po’ vacua, indifferente al domani, l’Europa brulicava di begli ingegni e di principi disoccupati, avidi di singolarizzarsi: Venezia era la loro patria ideale e la fama di Rosalba, la brutta pittrice deliziosa, cresceva. Presto fu assediata di committenti celebri (…). A Rosalba piaceva sfoggiare la sua perizia su soggetti affascinanti: era il momento del pastello, l’ultima carezza a un viso delicato.
Rosalba Carriera, Felicita Sartori in costume turco, 1728-1741 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze. |
Il cerchio però si chiuse male. Arrivò la cecità. I suoi occhi smisero pian piano di vedere e lei dovette abbandonare carta e pastelli. Proprio al 1746, anno d’esordio della malattia e di una prima, fallimentare operazione alla cornea, risale uno dei suoi più celebri lavori, Autoritratto come musa della Tragedia. Un volto – il suo – teso e invecchiato. E sul capo una corona d’alloro. I ripetuti interventi diedero esisti negativi. La cecità avanzò, e fu per lei il peggiore dei drammi. Mancandole lo sguardo le mancò davvero tutto. Non disegnare equivalse a non esistere. Rosalba Carriera morì cieca all’età di ottantaquattro anni, rasentando la pazzia a causa di questa ingovernabile disperazione.
WSI
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