domenica 14 novembre 2021

Linn Ullmann e i segreti di casa Bergman

 



Linn Ullmann e i segreti di casa Bergman


Non li nomina mai, ma i genitori della sua storia sono il grande regista Ingmar e la sua musa, l’attrice Liv. Così Linn Ullmann scrive il suo doloroso lessico famigliare


2 aprile 2021


È un gioco crudele, ma ciascuno di noi lo può fare. Se tornasse in vita una persona amata, qual è la prima cosa che le diresti? Nel piccolo albergo di Bergamo che ci accoglieva, Liv Ullmann non ebbe esitazione: chiederei a Ingmar Bergman di raccontare a nostra figlia Linn chi siamo stati l'uno per l'altro. Pochi anni dopo, alla fine dell'impietoso memoir dato alle stampe da Linn Ullmann, si capisce cosa volesse dire l'attrice con quello sguardo nudo e disarmante. Perché nel grande affresco famigliare ci sono un padre geniale e una madre nevrotica, c'è il filo d'amore che lega il padre alla figlia e la genitrice a Linn, c'è la grande casa di pietra affacciata sul mar Baltico che è metafora di tutti i demoni, ma il grande assente è proprio il groviglio sentimentale, artistico, psicoanalitico da cui è scaturita una coppia leggendaria del cinema.


Linn Ullmann



Del mito non resta niente, né la storia dello Stradivari - "tu sei il mio Stradivari", disse Bergman alla sua giovane interprete, eleggendola a musa - "ma non sapevano che suona come tutti gli altri violini della stessa qualità?", chiosa Linn come a scacciare una retorica molesta. Né sopravvive la profezia oscura - "il legame che ci unisce è doloroso" - sussurrata dal regista alla sua compagna al principio della storia. "Lei trova che sia una cosa carina. E leggermente sgradevole". Carina, una frase carina. Di quell'amore sconvolgente nutrito dalla comune solitudine e dalla ricerca dell'assoluto rimane solo la separazione, questa sì raccontata doviziosamente attraverso i foglietti gialli a cui entrambi la consegnarono ("Avere riguardo. Non vivere una doppia vita. Onestà nelle situazioni difficili"). E resta naturalmente Linn, forse troppo impegnata a sciogliere i propri nodi interiori per dare retta a quelli dei genitori.


Gli inquieti è un'autobiografia coinvolgente, dove la scrittura riesce a illimpidire il risentimento traendo forza da un amore inesausto. E dalla ricerca mai finita di un padre che resta sempre sfocato, come nella fotografia di copertina dove la camicia di flanella a quadri è più nitida dello sguardo. È un Bergman accigliato, forse annoiato, quello che ci osserva insieme alla bimbetta con il cappellino di paglia? Linn Ullmann è bravissima nel mettere a parte il lettore di questo suo lavoro sulla memoria, nato quando i contorni della figura paterna cominciano sfumare nell'indistinto. E allora bisogna ripartire dalla voce - ascoltare è come vedere le cose, gliel'ha insegnato lui - bisogna ritrovare le audiocassette registrate negli ultimi mesi per realizzare insieme il libro-intervista sulla vecchiaia, che è poi il loro modo di trovarsi e al contempo dirsi addio.



Liv Ullmann, la figlia Linn e Ingmar Bergman sul set di Sussurri e grida, 1972


Del padre Linn sa poco. Non ha ricordi di vita famigliare con lui e la mamma - abbandonò Farö che aveva solo tre anni - deve frugare in quel che rimane dei suoi soggiorni estivi nella grande casa sull'isola insieme a Ingmar e a Ingrid, la nuova moglie che cucina, spiumaccia, soprattutto rammenda: la compagna ideale per quel genio spezzato da molte ferite. I fantasmi paterni traspaiono solo dalle gabbie entro le quali vengono trattenuti, dalla puntualità ossessiva, dalla scansione sempre eguale delle giornate, dalle "sedute" di conversazione in cui a "come stai?" bisogna rispondere con precisione geometrica anche a dieci anni, dalla paura della luce e del vento, che a ben vedere sono metafore di vita. "Hai freddo? Non stare nella corrente", è l'assillo della sua infanzia a Hammars. Niente doveva turbare l'apparente quiete della casa lunga e stretta, neppure nei giorni del dolore. "Non saranno ammesse manifestazioni emotive eccessive", fu il lascito di Bergman per i suoi funerali, immaginati nel dettaglio come un set cinematografico: la bara eguale a quella di Giovanni Paolo II, solo fiori rossi, il posticino al cimitero dove i cipressi sono più verdi.


Se intorno a Bergman permane l'aura sacrale dell'artista in cerca di Dio, il ritratto di Liv Ullmann tradisce il dolore d'una figlia che forse ha amato troppo, fino a quella sentenza tombale: "Penso di aver pianto per tutta la vita la scomparsa dei miei genitori. Posso piangere la scomparsa di chi è ancora in vita?". Quando entra in scena la madre, il registro narrativo diventa opaco. Liv è spesso raffigurata in sottoveste di seta, il più delle volte dorme, legge, tiene un bicchiere di vino in mano, dice "ho i nervi a pezzi" e s'impasticca, comunque finge di governare un vita che le sfugge da ogni parte. "Tua madre è la bugiarda più sincera del mondo", è l'unico giudizio che sentiamo dalla voce di Bergman, riflessione molto lusinghiera per l'attrice, forse meno per la persona.

Per anni la scrittrice ha cercato una sua fotografia intima con i genitori. Solo loro tre insieme. Gli inquieti è quell'immagine mai trovata, enigmatica come può esserlo un viaggio interiore. E resta impressa anche a libro finito.

Il libro. Linn Ullmann, Gli inquieti, Guanda (Traduzione Katia Bagnoli, pagg. 408, euro 20)


LA REPUBBLICA




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