martedì 12 maggio 2020

L’anteprima del racconto di Stephen King / «Mai ricevuto un sms che gela il sangue?»




L'anteprima del racconto di King: «Mai ricevuto un sms che gela il sangue?»
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L’anteprima del racconto di King: «Mai ricevuto un sms che gela il sangue?»

«Quella notte mi svegliai alle due, e di nuovo realizzai che il signor Harrigan era morto. Io ero nel mio letto, e lui sottoterra. Indossava un completo grigio e lo avrebbe indossato per sempre... Gli avevo infilato il cellulare nella tasca della giacca. Perché era stato importante per lui e perché ero stato io a regalarglielo»

Stephen King
8 maggio 2020 (modifica il 8 maggio 2020 | 00:03)

Il testo che trovate qui sotto è stato pubblicato su 7 numero 19 (in edicola l’8 maggio e in Pdf sulla Digital edition fino al 14 maggio): si tratta di un brano che sarà presente nel nuovo libro «Se scorre il sangue» (trad. Luca Briasco) in libreria dal 12 maggio (Sperling & Kupfer editore). Quattro racconti lunghi sulla paura che si annida nella vita quotidiana, la sete di sangue di certi notiziari tv, la tecnologia che si è impadronita delle nostre vite, gli effetti sociali delle catastrofi naturali, le nuove incarnazioni del diavolo
Il signor Rafferty venne a cena e fece decisamente onore agli spaghetti di papà, specie considerando che era pelle e ossa. Gli dissi che sapevo del fondo fiduciario, e lo ringraziai. Mi rispose: «Non è me che devi ringraziare», e ci spiegò come pensava di investire il denaro. Papà disse che poteva procedere come meglio credeva, a patto di tenerlo informato. Suggerì anche che la John Deere, che produceva trattori, poteva essere una buona società nella quale investire una parte dei miei soldi, viste le innovazioni a getto continuo in cui si era lanciata. Il signor Rafferty rispose che avrebbe preso in considerazione la cosa e, in seguito, scoprii che aveva acquistato delle azioni della Deere and Company, anche se per una cifra contenuta. Il grosso era stato investito nella Apple e in Amazon. Dopo cena, il signor Rafferty mi strinse la mano e si congratulò con me. «Harrigan aveva pochissimi amici. Sei stato fortunato, a essere uno di loro».
«E lui è stato fortunato ad avere Craig», mormorò mio padre, cingendomi le spalle con un braccio. Sentii un nodo in gola, e quando il signor Rafferty se ne fu andato, dopo essermi spostato in camera mia, piansi un pochino, cercando di non fare rumore perché mio padre non mi sentisse. Forse ci riuscii, o forse invece mi aveva sentito eccome, ma sapeva che volevo stare un po’ da solo.
«L’IPHONE, ESSENDO DI PLASTICA, AVREBBE RESISTITO MOLTO PIÙ A LUNGO DELL’ABITO O DELLA BARA, MA POI SI SAREBBE COMUNQUE DISFATTO. NIENTE ERA ETERNO»
Quando le lacrime cessarono, accesi il telefono, cliccai su Safari e digitai le parole sceneggiatore e attricetta. La barzelletta, attribuita a un romanziere di nome Peter Feibleman, parlava di un’attricetta così incapace che si era scopata lo sceneggiatore.
Probabilmente l’avete già sentita da qualche parte. Io non la conoscevo, ma intuii al volo che cosa aveva cercato di farmi capire il signor Harrigan.
Quella notte mi svegliai alle due, disturbato da una serie di tuoni in lontananza, e di nuovo realizzai che il signor Harrigan era morto. Io ero nel mio letto, e lui sottoterra. Indossava un completo grigio, e lo avrebbe indossato per sempre. Aveva le mani giunte e lo sarebbero rimaste fino a quando fossero restate solo le ossa. Se ai tuoni fosse seguita la pioggia, l’acqua avrebbe potuto filtrare nel terreno e bagnare la bara, che non aveva un coperchio né un rivestimento in cemento; lo aveva specificato il signor Harrigan in quella che la signora Grogan chiamava «lettera morta». Alla fine il coperchio della bara sarebbe marcito, come pure il vestito. L’iPhone, essendo di plastica, avrebbe resistito molto più a lungo dell’abito o della bara, ma poi si sarebbe comunque disfatto. Niente era eterno, tranne forse la mente di Dio, e già a tredici anni avevo i miei dubbi anche su questo.
«SENTO LA SUA MANCANZA, SIGNOR HARRIGAN. LA RINGRAZIO PER TUTTI I SOLDI CHE MI HA LASCIATO, MA CI RINUNCEREI OGGI STESSO PER RIPORTARLA IN VITA»
Tutto d’un tratto, sentivo il bisogno di udire la sua voce. E mi resi conto che potevo farlo. Era un po’ inquietante (specie alle due del mattino), e aveva qualcosa di morboso, lo sapevo, ma sapevo anche che se lo avessi fatto sarei riuscito a riaddormentarmi. Così feci la mia telefonata, e mi venne la pelle d’oca quando compresi la semplice verità della tecnologia racchiusa in un telefono cellulare: da qualche parte, sottoterra e nell’Elm Cemetery, nella tasca della giacca di un morto, Tammy Wynette stava cantando due versi di Stand by Your Man . Poi sentii la sua voce nell’orecchio, calma e nitida, a parte un accenno di raucedine dovuto all’età: «Adesso non risponderò al telefono. Vi richiamerò più tardi, se lo riterrò opportuno». E se lo avesse fatto veramente? Se avesse richiamato? Interruppi la chiamata prima del bip e mi rimisi a letto. Mi stavo rimboccando le coperte quando cambiai idea, mi alzai e richiamai. Non so perché lo feci. Stavolta attesi il segnale e dissi: «Sento la sua mancanza, signor Harrigan. La ringrazio per tutti i soldi che mi ha lasciato, ma ci rinuncerei oggi stesso per riportarla in vita». Dopo qualche secondo aggiunsi: «Forse potrà sembrarle una bugia, ma non lo è. Glielo posso assicurare».
Poi tornai a letto e non feci quasi in tempo a posare la testa sul cuscino che ripiombai in un sonno senza sogni.
Avevo l’abitudine di accendere il cellulare prima ancora di vestirmi, e aprire l’app di Newsy News per assicurarmi che nessuno avesse scatenato la Terza guerra mondiale e che non ci fossero stati attacchi terroristici. La mattina dopo il funerale del signor Harrigan, stavo per cliccare sull’app quando vidi un cerchietto rosso sull’icona SMS, segno che avevo ricevuto un messaggio di testo. Immaginai che a mandarmelo fosse stato Billy Bogan, un amico e compagno di classe che aveva un Motorola Ming, o Margie Washburn, che aveva un Samsung... anche se di recente i messaggi di Margie si erano diradati. Evidentemente, Regina le aveva detto del nostro bacio.
«PERFINO IO FATICAVO A UDIRE LE MIE PAROLE. IL MESSAGGIO MI AVEVA GELATO IL SANGUE E MI AVEVA LASCIATO SENZA VOCE»
Avete presente il vecchio detto sul sangue che ti si gela nelle vene? Be’, può succedere per davvero. Lo so, perché il mio si gelò, letteralmente. Mi sedetti sul letto, guardando lo schermo del mio cellulare. Il messaggio era di pirateking1.
Sentii sbatacchiare in cucina: era mio padre che tirava fuori la padella dall’armadietto accanto alla stufa. Evidentemente, aveva deciso di preparare una colazione all’inglese, come cercava di fare almeno un paio di volte la settimana.
«Papà?» chiamai, ma i rumori non cessarono, e lo sentii dire qualcosa, probabilmente: «Esci fuori, brutta figlia di puttana».
Non mi aveva sentito, e non solo perché la porta della mia stanza era chiusa. Perfino io faticavo a udire le mie parole. Il messaggio mi aveva gelato il sangue e mi aveva lasciato senza voce.
Il messaggio precedente era stato inviato quattro giorni prima che il signor Harrigan morisse: Oggi non serve che innaffi le piante. Lo ha già fatto la signora G. Il successivo era brevissimo: C C C aa.
Era stato inviato alle due e quaranta del mattino.
«Papà!» chiamai di nuovo, stavolta a voce leggermente più alta, ma ancora non abbastanza. Non so se stessi già piangendo, o se cominciai a farlo mentre scendevo le scale, con indosso solo le mutande e una maglietta dei Gates Falls Tigers.
«NON È MORTO. O, COMUNQUE, NON LO ERA ALLE DUE E MEZZO DEL MATTINO. DOBBIAMO RIAPRIRE LA TOMBA E TIRARLO FUORI»
Papà era girato di spalle. Era riuscito a tirare fuori la padella e stava sciogliendo un pezzo di burro. Mi sentì arrivare e disse: «Spero che tu abbia fame. Io mangerei un bue».
«Papà», dissi. «Papà».
Quando mi sentì chiamarlo in quel modo, come non facevo da quando avevo otto o nove anni, si voltò subito. Vide che non ero vestito, e che stavo piangendo. Vide che avevo il cellulare in mano e si scordò completamente della padella.
«Craig, che succede? Cosa c’è che non va? Hai avuto un incubo sul funerale?».
Che fosse un incubo non c’era alcun dubbio, e probabilmente era troppo tardi, ormai — dopotutto, era molto anziano —, ma forse invece si poteva fare ancora in tempo.
«Oh, papà», dissi, balbettando. «Non è morto. O, comunque, non lo era alle due e mezzo del mattino. Dobbiamo riaprire la tomba e tirarlo fuori. L’abbiamo sepolto vivo».
«DEV’ESSERE STATO UN CASO DI SPOOFING... QUALCUNO DEV’ESSERE RIUSCITO AD ACCEDERE AL CELLULARE DI HARRIGAN. LO HA CLONATO»
Gli raccontai tutto. Gli dissi che avevo preso il telefono del signor Harrigan e gliel’avevo infilato nella tasca della giacca.
Perché era stato importante per lui, e perché ero stato io a regalarglielo.
Gli dissi che avevo chiamato il suo numero nel cuore della notte, lasciando un messaggio in segreteria. Non dovetti mostrare a papà il messaggio che mi era arrivato come risposta, perché lo aveva già visto. Anzi, lo aveva studiato.
Il burro nella padella si era bruciacchiato. Papà si alzò e la tolse dal fuoco. «Dubito che ti vadano delle uova», disse. Poi tornò al tavolo, ma invece di sedersi davanti a me, al suo solito posto, si sistemò di fianco e posò una mano sulla mia. «Stammi a sentire».
«So di aver fatto una cosa molto strana», dissi, «però se non lo avessi chiamato non avremmo mai saputo. Dobbiamo...».
«Figliolo...».
«No, papà, ascoltami! Dobbiamo mandare subito qualcuno al cimitero! Un bulldozer, una pala meccanica, o gente con le vanghe! Potrebbe essere ancora...» «Craig, sta’ zitto un secondo! Dev’essere stato un caso di spoofing ». Lo guardai a bocca aperta. Sapevo che cosa era lo spoofing , ma l’eventualità di esserne stato vittima — e nel cuore della notte — non mi era passata per la mente.
«Succede sempre più spesso», disse mio padre. «Abbiamo fatto addirittura una riunione al lavoro, sull’argomento. Qualcuno dev’essere riuscito ad accedere al cellulare di Harrigan. Lo ha clonato. Sai di cosa sto parlando, vero?»
«Certo che lo so, ma... papà...»
Mi strinse la mano. «Qualcuno che sperava di rubare qualche segreto commerciale, probabilmente».
«Ma se si era ritirato dagli affari!». «Continuava a occuparsene, però. Te l’ha detto lui stesso. O forse cercavano di accedere ai dati della sua carta di credito. Chiunque sia stato, deve aver ricevuto il tuo messaggio vocale sul telefono clonato, e ha deciso di farti uno scherzo».
«Non puoi esserne sicuro», ribattei. «Papà, dobbiamo controllare!».
«Invece no, e ti spiego il perché. Il signor Harrigan era un uomo ricco, ed è morto senza nessuno accanto che si prendesse cura di lui. Per di più, non andava da un medico da anni, anche se scommetto che Rafferty avrà insistito un milione di volte perché lo facesse, se non altro per poter adeguare la sua assicurazione e fare in modo che la copertura non si limitasse alle spese funebri. Per tutte queste ragioni, è stata fatta un’autopsia. E così hanno scoperto che Harrigan è morto per una disfunzione cardiaca in stadio avanzato».
«...E DOPO L’AUTOPSIA, È STATO IMBALSAMATO. MI DISPIACE DOVERTI DIRE QUESTE COSE»... «SOTTO LA CAMICIA INAMIDATA, INCISIONI SUTURATE... QUELLA SUTURA A FORMA DI Y L’AVEVO VISTA IN TV, IN CSI»
«L’hanno aperto?». Ripensai a quando gli avevo sfiorato il torace con le nocche, mentre gli mettevo il cellulare in tasca.
C’erano incisioni suturate sotto la camicia bianca e inamidata, e la cravatta? Se mio padre aveva detto la verità, la risposta non poteva essere che sì. Una sutura a forma di Y. L’avevo visto in tv. In CSI .
«Sì», rispose papà. «E, dopo l’autopsia, è stato imbalsamato. Mi dispiace doverti dire queste cose e non voglio che ti rimangano impresse nella mente, ma sempre meglio di saperti ancora convinto che sia stato sepolto vivo. Non è così. Impossibile. È morto. Mi capisci?».
«Sì».
«Vuoi che rimanga a casa, oggi? Non è un problema, se hai bisogno di me».
«No, va tutto bene. E hai ragione. Si è trattato di spoofing ».
Un bello scherzo, che mi aveva spaventato a morte.
«Come intendi passare la giornata? Perché se hai intenzione di startene qui a rimuginare e a coltivare pensieri morbosi, forse è meglio che mi prenda un giorno libero. Potremmo andare a pescare».
«Non ho intenzione di rimuginare e di coltivare pensieri morbosi. Però dovrei andare a casa sua, per innaffiare le piante».
«Credi che sia una buona idea?» chiese mio padre, guardandomi con attenzione.
«Glielo devo. E voglio parlare con la signora Grogan. Scoprire se il signor Harrigan ha lasciato anche per lei una... come si chiama...».
«Una disposizione. Molto gentile, da parte tua. Ovviamente è possibile che ti risponda di farti gli affari tuoi. È una Yankee di quelle toste, sai...».
«Se così non fosse, vorrei poterle dare una parte dei miei soldi», dissi.
Papà sorrise e mi baciò su una guancia. «Sei un bravo ragazzino. Tua madre sarebbe orgogliosa di te. Sei sicuro che adesso va tutto bene?». «Sì».
«UNA COSA ERA CERTA: QUEL MESSAGGIO NON POTEVA AVERLO SCRITTO IL SIGNOR HARRIGAN, SE ERA VERO CHE GLI AVEVANO RIVOLTATO LE BUDELLA COME SI GIRA L’INSALATA»
Mangiai un toast con un po’ di uova per dimostrarglielo, anche se non avevo appetito. Mio padre aveva ragione, non poteva essere altrimenti: qualcuno aveva rubato la password o clonato il telefono, e si era divertito a farmi uno scherzo crudele. Una cosa era certa: quel messaggio non poteva averlo scritto il signor Harrigan, se era vero che gli avevano rivoltato le budella come si gira l’insalata, sostituendo il sangue con del liquido d’imbalsamazione.




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