FITZGERALD, FAULKNER, HEMINGWAY A HOLLYWOOD 

di Fernanda Pivano


Il rapporto tra gli scrittori americani e il cinema è sempre stato diffìcile e nella migliore delle ipotesi di odio e amore. Gli scrittori andavano a Hollywood sognando di fare buoni film e, dopo le prime delusioni, cercando di guadagnare il più possibile, anche in questo andando spesso incontro a delusioni. Questo è stato vero un po’ per tutti e ricorderò solo alcuni esempi: quello di Fitzgerald e quello di Faulkner che a Hollywood lavorarono a lungo e quelli di Hemingway, di Jay Mclnerney e di Bret Easton Ellis che con l’industria del cinema ebbero scontri dolorosi e frustranti.
Francis Scott Fitzgerald nei primi tre anni della sua — diciamo – carriera ebbe un grande successo col cinema. Nel 1920 vendette il racconto Head and Shoulders (Testa e spalle) alla Metro Goldwyn Mayer per duemilacinquecento dollari, una cifra cospicua per quei tempi, e il film fu prodotto in fretta, interpretato da Viola Dana e Gareth Hughes col titolo convenzionale The Chorus Girl’s Romance (L’avventura di una ragazza di fila). Alla stessa Metro vendette il racconto The Off-Shore Pirate (Pirata al largo), anche questo interpretato da Viola Dana con Jack Mulhall (questo secondo racconto era stato ispirato da una ragazza di St. Paul, Ardita Ford, che celebrò il film quando arrivò a St. Paul con una grande festa). Poco dopo vendette un terzo racconto alla Fox Film, Myra Meets His Family (Myra incontra la sua famiglia)-, il film venne prodotto col titolo The Husband Hunter (La cacciatrice di marito) e interpretato da Eileen Percy.
Due anni dopo, nel 1922, vendette i diritti di B & D (Belli e dannati) alla Warner Brothers per duemilacinquecento dollari, una cifra che sembrò bassissima a Fitzgerald come risulta da una sua lettera di protesta a Maxwell Perkins. Fu interpretato da Marie Prevost e Kenneth Harlan e fu considerato uno dei film più orrendi che si possano ricordare; solo nel 1929 i diritti del racconto vennero estesi al parlato. Nel 1923 vendette per diecimila dollari i diritti di This Side of Paradise (Di qua dal paradiso, 1920) alla compagnia Famous Players per l’interpretazione di Glen Hunter con l’impegno di scrivere la sceneggiatura, ma il progetto non fu realizzato: ancora nel 1936 scrisse alla figlia Scottina che la Paramount possedeva i diritti per il muto ma non li aveva mai usati. Sempre nel 1923 scrisse un soggetto originale, Grit, per la Film Guild, per l’interpretazione di Glen Hunter.
Ma quelli furono i suoi anni d’oro e Hollywood lo vedeva come uno scrittore dal successo favoloso: Fitzgerald era troppo giovane e troppo trascinato dal suo ingenuo entusiasmo per rendersi conto che la colossale pubblicità all’americana insidiava il suo futuro. Più avanti, diventato in fretta maturo, quando venne a Roma poco dopo il Natale 1924 assisté alle riprese di Ben Hur, diventò amico della protagonista Carmel Myers, che lo aiutò negli anni della sconfitta quando Fitzgerald era diventato, sono parole sue, “un povero diavolo di sceneggiatore”. Fu a Roma che il cinema affascinò Fitzgerald. Molti anni dopo disse: “Il romanzo stava diventando subordinato all’arte meccanica. Mi pareva che il cinema parlato avrebbe fatto diventare anche un romanziere best-selling arcaico come il cinema muto”; e aveva già constatato che la cessione di This Side of Paradise del 1923 lo aveva fatto guadagnare più di quanto avesse guadagnato col romanzo del 1922 The Beautiful and Damned.
Se ne ricordò più tardi nel suo crescente bisogno di denaro. Parlando di quello che la storia letteraria considera uno dei capolavori moderni, The Great Gatsby (Il grande Gatsby, 1925), disse sfiduciato: “Se mi manterrà senza più bisogno di scrivere porcherie continuerò a fare romanzi. Se no smetterò e andrò a Hollywood a imparare il mestiere del cinema”. E a Hollywood andò, realizzando la sua minaccia, la prima volta nel 1927, due anni dopo The Great Gatsby, invitato da John Considine della United Artists a scrivere una storia di college moderno per Constance Talmadge: il contratto prevedeva tremilacinquecento dollari di anticipo e ottomilacinquecento all’accettazione del trattamento. Fu allora che si invaghì ricambiato di Lois Moran, destinata a diventare Rosemary Hoyt, una delle protagoniste di Tender is the Night (Tenera e la notte, 1934): la Moran lo convinse a fare un provino sperando di farlo diventare il suo coprotagonista in un film.
Ma il trattamento fu respinto, con sorpresa di Fitzgerald che in questo Lipstick (Rossetto) aveva condensato le sue esperienze di Princeton. Lasciò Hollywood deluso e frustrato oltre che pieno di debiti; e vi ritornò solo nel 1932 quando la Metro Goldwyn Mayer lo invitò a fare una revisione della sceneggiatura di Red-headed Woman (Donna dai capelli rossi) di Katherine Brush.
Ritrovò il suo patetico entusiasmo per il cinema e per Hollywood e ne descrisse gli splendori e la tristezza nel racconto Crazy Sunday (Pazza domenica, 1932) che compose al ritorno a Montgomery, Alabama. Ma di quei giorni ricordò soprattutto il fallimento e cinque anni dopo scrisse alla figlia: “Mi imbattei in un bastardo che cambiò quello che avevo scritto. Risultato: una cattiva sceneggiatura. Sono partito col denaro ma deluso e disgustato giurando che non sarei mai ritornato”.
Invece ritornò, non senza sforzi per riuscirci: ritornò nel 1937 (dopo che nel 1936 aveva scritto i drammatici articoli di Crack-up) “con la sensazione di avere nuovi mondi da conquistare”, come disse più tardi. Gli diedero da fare la sceneggiatura di Three Camrades (Tre camerati), con Ted Paramore e il suo lavoro venne intralciato dagli interventi dell’ormai dimenticato regista Joe Mankiewicz che lo riscrisse per tre quarti gettando Fitzgerald nella disperazione e in un nuovo accesso di alcolismo.
Questa volta a Hollywood rimase tre anni, finché morì nel 1940, confortato dall’amore della cronista mondana Sheila Graham delle molte amarezze e umiliazioni che gli toccò sopportare, quando la sua sceneggiatura di Infidelity (Infedeltà), che avrebbe dovuto essere interpretato da Joan Crawford, non si realizzò e quando non si realizzarono le sue sceneggiature di The Women (Le donne) e Madame Curie. In quei mesi di disperazione scrisse a Perkins: “Vorrei che i miei libri non fossero esauriti. Si potrebbe fare un’edizione popolarissima del Gatsby o il libro non è abbastanza popolare? Morire in modo così totale e ingiusto dopo aver dato tanto…”.
E infatti quando morì tutti i suoi libri erano completamente esauriti ed è noto l’episodio di Budd Schulberg che disse: “Credevo fosse morto” quando gli offrirono di scrivere una sceneggiatura con lui. Il disastro della sua figura di scrittore andò di pari passo con quello della sua figura di sceneggiatore: veniva sistematicamente sostituito dopo qualche settimana di lavoro e i suoi contratti non venivano rinnovati. Gli diedero l’incarico di fare la revisione di un’unica scena di Gone With the Wind (Via col vento), lo fecero collaborare a Air Raid(Incursione aerea) con Donald Ogden Steward, lo fecero lavorare per una settimana sola alla United Artists. Intanto scriveva disperatamente il libro che uscì postumo nel 1941, The Last Tycoon, tradotto in italiano per una bizzarria editoriale come Gli ultimi fuochi, e soltanto nel 1940 ritrovò qualche rispetto quando Lester Cowan comprò per ottocento dollari i diritti di Babylon Revisited, uno dei suoi racconti più belli, e invitò l’autore a scrivere la sceneggiatura cambiando il titolo in Cosmopolitan. Avrebbe dovuto essere interpretato da Shirley Temple e Cary Grant, ma il film non si fece: fu l’ultima sceneggiatura alla quale lavorò Fitzgerald. Dopo la sua morte, Cowan frugò invano negli archivi di Hollywood per ritrovare i testi scartati di quelle sceneggiature e pubblicarli in volume.
Il caso di Fitzgerald è drammatico al di là della credibilità. Più placido e nettamente commerciale è quello di William Faulkner. I personaggi dell’avventura di Faulkner sono più o meno gli stessi della saga di Fitzgerald, con Irving Thalberg, ispiratore del protagonista di The Last Tycoon e marito di Norma Shearer, grande eroe della situazione ma già intaccato dalla nuova stella Darryl Zanuck. Tuttavia l’intermediario tra Faulkner e Hollywood fu Howard Hawks, la cui segretaria diventò la ragazza di Faulkner e lo rimase a lungo con alterne vicende, fino a sposare un altro per ingelosirlo e convincerlo a divorziare dalla moglie Estelle. Si chiamava Meta Doherty Carpenter e ha creato sensazione qualche anno fa pubblicando le lettere pornografiche che Faulkner le scriveva quando tornava a Oxford durante le soste del lavoro di sceneggiatore.
Faulkner cominciò a pensare a Hollywood nel 1931 perché un agente cinematografico gli disse che avrebbe potuto guadagnare cinquecento e perfino settecentocinquanta dollari la settimana scrivendo sceneggiature; e firmò un contratto con la Paramount passando poi nel 1932 alla Metro Goldwyn Mayer. A Hollywood si ubriacò molto e lavorò poco, ma sarebbe troppo lungo enumerare tutte le sceneggiature alle quali partecipò. Il suo rapporto con Howard Hawks cominciò già nel 1932 e diventò un’amicizia che non ebbe mai incrinature.
Hawks lo protesse nelle sue molte bizzarrie, per esempio quella rimasta famosa della sua residenza: un giorno Faulkner chiese di poter lavorare a casa anziché in studio ma quando lo ebbero accontentato fu per accorgersi che per “casa” non intendeva la villa di Beverly Hills ma la palazzina di Oxford, dov’era ritornato col suo aereo privato, frutto dei proventi hollywoodiani. Per il cinema lavorò alla riduzione dei suoi lavori, per esempio The Sanctuary(Santuario, 1931) e Intruder in the Dust, 1948 – tradotto con un’altra bizzarria editoriale come Non si fruga nella polvere anziché Intruso nella polvere — ma lavorò anche alla riduzione di libri di altri; la riduzione più famosa fu quella di To Have and Have Not (Avere e non avere, 1937) di Hemingway per la felicità dei produttori che videro i due grandi nomi rivali uniti nella pubblicità del film diretto da Howard Hawks.
Le sue biografie sono gremite di avventure hollywoodiane, per esempio di quella volta che per sei mesi si fece mandare gli stipendi a Oxford senza presentarsi a Hollywood, o di quando in segno di protesta per il divieto di tornare a Oxford si ubriacò per settimane intere fino ad andare fuori coscienza; ma queste storie fanno parte del suo folklore. Hollywood non intaccò mai né l’entusiasmo né le speranze di Faulkner, e dunque non provocò in lui delusioni o frustrazioni.
Dopo la sua morte si calcolò che negli anni Trenta e Quaranta abbia scritto diciassette sceneggiature, a volte da solo, a volte in collaborazione, fino a coprire duemilacinquecento pagine dattiloscritte. Queste pagine rimasero per mezzo secolo abbandonate negli archivi della Warner Bros e altri studi finché nel 1987 vennero ripescate nel tentativo di farne un volume; e un volume venne anche composto, col titolo Country Lawyer and Other Stories for the Screen, a cura di Louis D. Brodsky, riprendendo testi scritti da Faulkner nel 1943. Nello stesso libro sono raccolte altre due sceneggiature.
Il suo rapporto con Hollywood finì nel 1945, cinque anni prima del Nobel, quando Faulkner scrisse una lettera di dimissioni a Jack Warner dicendo: “Ho passato tre anni facendo un lavoro (tentando di farlo) che non era il mio forte [in italiano nel testo] e che non ero preparato a fare e perciò ho perduto quel tempo che come scrittore quarantasettenne non potevo permettermi di perdere. E non oso perderne più”. In mezzo furono molte le sollecitazioni esercitate su di lui, perfino una personale di Franklin Delano Roosevelt che nel 1942, mentre Faulkner lavorava con un contratto di trecento dollari la settimana, gli fece scrivere una sceneggiatura intitolata The De Gaulle Story (La storia di De Gaulle), ritrovata nel 1983 tra migliaia di documenti polverosi destinati a finire nell’inceneritore.
Il rapporto di Hemingway con Hollywood è stato molto diverso. A parte il documentario The Spanish Earth (Terra spagnola, 1938), Hemingway si è occupato direttamente di un film soltanto, per la riduzione di The Old Man and the Sea (Il vecchio e il mare, 1952), ma altrimenti si è limitato a ricevere il denaro delle cessioni cinematografiche dei suoi libri e a infuriarsi vedendo i film che ne sono derivati.
Ricevette somme importanti per queste cessioni. Il suo agente Donald Friede vendette alla Paramount For Whom the Bell Tolls (Per chi suona la campana, 1940), per centomila dollari: si dice che fino allora nessuna cessione fosse stata pagata tanto, e comunque da allora Hemingway cominciò a pagare l’ottanta per cento dei suoi guadagni per quella che allora si chiamava la Income Tax. Più tardi mi raccontò che David Selznick aveva fatto la riduzione di A Farewell to Arms (Addio alle armi, 1929) del 1957 (quella diretta da Charles Vidor e interpretata da Jennifer Jones, Rock Hudson, Vittorio De Sica e Alberto Sordi) senza dargli una lira, approfittando del contratto liberatorio della prima edizione del film, quella del 1933 diretta da Frank Borzage e interpretata da Gary Cooper, Helen Hayes e Adolphe Menjou; due edizioni che lo mandavano su tutte le furie.
Considerava disonorevole per uno scrittore scrivere sceneggiature a Hollywood. Quando John Dos Passos passò l’estate del 1934 a Hollywood per scrivere la sceneggiatura di The Devil is a Woman (Il diavolo è donna), interpretato da Marlene Dietrich, scrisse: “Il povero Dos si è fatto ricco”; ma riteneva che lo scrittore suo amico avesse sacrificato la sua integrità.
Le riduzioni cinematografiche dei suoi libri furono tredici: la più famosa fu appunto For Whom the Bell Tolls del 1943 (diretta da Sam Wood e interpretata da Gary Cooper e Ingrid Bergman), la più pubblicizzata fu To Have and Have Not del 1944 (diretta da Howard Hawks e interpretata da Laureen Bacall e Humphrey Bogart) a causa della sceneggiatura e dei dialoghi scritti da William Faulkner, la meno nota in Italia The Nick Adams Stories (I racconti di Nick Adams, 1972, postumo), girata a Verona nel 1961 per la regia di Martin Ritt e l’interpretazione di Richard Beymer, Susan Strasberg, Ricardo Montalban, Paul Newman e Eli Wallach. Una partecipazione diretta l’ebbe soltanto in Spanish Earth del 1938, realizzato da Joris Ivens, dove il testo fu scritto da Hemingway, Dos Passos e Archibald McLeish.
Si deve arrivare alla grande saga di The Old Man and the Sea (con il testo di Peter Viertel, figlio di Salka, la sceneggiatrice preferita di Greta Garbo, riscritto sulla sceneggiatura di Paul Greene) per trovare Hemingway massicciamente coinvolto anche come produttore nella realizzazione del film diretto da Fred Zinneman (che prima della fine abbandonò l’incarico e fu sostituito da John Sturges), per l’interpretazione di Spencer Tracy che ottenne la parte perché era anche coproduttore.
Per questo film, che risulta prodotto da Leland Heyward, gentilissimo ma ostinato organizzatore dell’avventura, Hemingway si spostò con Mary e tre navi cariche di attrezzature e di operatori per girare le scene della pesca nelle acque del Perù dove i pesci spada sono più grossi che in qualunque altra zona. Nell’aprile 1956 passò un mese a pescare dall’alba al tramonto ogni giorno col mare in burrasca e per due settimane non vide neanche un pesce spada. Solo la terza settimana pescò due pesci spada giganteschi che riuscì a tenere alla lenza per otto minuti per permettere agli operatori di girare la scena. Un biografo ostile, come ce ne sono stati tanti, scrisse a questo proposito che la scena della pesca fu realizzata usando alcune sequenze di un film di Alfred Glasseil e che il pesce spada attaccato alla barca del pescatore era un pupazzo di gomma: delle due notizie è poco attendibile la prima e normale secondo le tecniche cinematografiche la seconda, ma è tale da offendere il regista Zinneman.
Fu un grande tour de force per la storia della pesca; ma Hemingway scrisse a un amico che non avrebbe mai più avuto niente a che fare col cinema e fino all’ultimo continuò a non scrivere sceneggiature per Hollywood. Il compenso che ricevette per la riduzione e la consulenza di The Old Man and the Sea fu di centocinquantamila dollari; il film costò più di un milione e mezzo di dollari. Agli amici disse che il “damned movie ‘ aveva distrutto tre o quattro mesi della sua “una e unica vita”.
Non permisero a Hollywood di farli soffrire i due giovani leoni letterari degli anni Ottanta d’America Bret Easton Ellis e Jay McInerney. I film che furono ricavati dai loro due bei libri Less Than Zero (Meno di zero, 1985) e Bright Lights, Big City (Le mille luci di New York, 1984) sono proprio bruttini, ma i due scrittori non si lasciarono coinvolgere più di tanto.
Quando assistei a New York alla riduzione di Less Than Zero, alla fine del film Bret Ellis mi guardò coi suoi grandi occhioni sconsolati di ragazzo e disse: “That’s not my book, Nanda [‘Questo non è il mio libro’]”; e non mi disse mai altro. La sua era sorpresa più che amarezza. Con la sceneggiatura non aveva avuto niente a che fare, scritta come era stata da un Premio Pulitzer, Michael Cristopher: come poteva un ragazzo di ventun anni competere con un Premio Pulitzer?
Così venne fuori un filmaccio feuilleton con la sceneggiatura rivista da Jon Avnet e poi da Harley Peyton, diretto da Marek Kanievska e interpretato da Jami Gertz, Robert Downey e Andrew McCarthy. Costò otto milioni di dollari e il produttore Marvin Worth diede a Ellis soltanto settemilacinquecento dollari prima della pubblicazione del libro; il film guadagnò tre milioni di dollari in ottocentosettantun cinema nel week-end della prima.
Molto più coinvolto fu Jay Mclnerney nella riduzione del suo Bright Lights, Big City, che ha una filmografìa così movimentata da essere divertente. Me la scrisse McInerney stesso:
“1984: Venduto alla Columbia Motion Pictures. Scrissi io la sceneggiatura.
“1985: Il produttore si sposta alla United Artists.
“1986: Sidney Pollack compera il progetto.
“1987: Pollack assume il regista Joyce Chopra e un nuovo sceneggiatore.
“1987: Chopra viene licenziato. Nuovo regista James Bridges (quello di China Syndrome e Urban Cowboy)
“In definitiva è stata usata la mia sceneggiatura originaria.
“Gli interpreti sono stati Michael Fox, Dianne Weist, Phoebe Cates, Jason Robards.”
Anche nella vita privata di Mclnerney il film è riuscito avventuroso. Nel settembre 1984 lo scrittore è stato invitato a Hollywood in un albergo di lusso che costava ogni giorno quanto il suo monolocale di studente a Syracuse costava ogni mese ed è stato accolto all’aeroporto con una limousine bianca e condotto nei ristoranti di lusso. Lo fecero tornare un’altra volta per una seconda stesura; ma questa volta non c’erano automobili ad aspettarlo all’aeroporto. Gli fecero scrivere una terza stesura e da quel momento nessuno si fece più vivo. La terza stesura, dice ora McInerney divertito, era quasi uguale alla prima, scritta in sei giorni a Syracuse.
Il regista è James Bridge, gli attori sono Michael Fox (che ha una somiglianza fisica molto vaga con lo scrittore), Dianne Weist, Phoebe Cates. Il film non rende onore al libro, che è forse il romanzo più rivelativo degli anni Ottanta d’America.
Questi pochi esempi che ho portato vogliono più che altro mostrare come gli scrittori si sono via via allontanati dall’utopia di poter agire positivamente nell’ambito dell’industria cinematografica. Ormai sono rassegnati a vedere i loro libri completamente distorti nelle riduzioni del cinema e hanno capito che le loro qualità di scrittori non coincidono necessariamente con le capacità di sceneggiatori.
Sono patetici gli sforzi di Fitzgerald che andava a Hollywood a cercar di imparare le tecniche cinematografiche con l’umiltà di un principiante, rendendosi conto che la sua realtà di autore dei più grandi capolavori del suo tempo aveva poco a che fare con la realtà delle esigenze dei film. Il suo rispetto, il suo fanatismo, il suo amore per Hollywood resero più dolorose la sua delusione, la sua frustrazione, la sua impotenza di fronte alle leggi del cinema. Forse non riuscì a scrivere sceneggiature; certo scrisse attingendo a Hollywood lo stupendo racconto Crazy Sunday e il romanzo incompiuto The Last Tycoon.
Cinema Nuovo, gennaio 1990