lunedì 20 novembre 2017

Emma Bovary compie 160 anni

Emma Bovary, collage di Chiara Corio



Emma Bovary compie 160 anni

Come le donne di oggi s’incontrano o scontrano con questa figura femminile

20 NOVEMBRE 2017, 
GIOVANNI ZACCHERINI

“Signori … nessuna donna neanche in altri paesi sussurra a Dio le frasette adultere che riserva all’amante. Voi signori giudicherete questo linguaggio e sono sicuro che non troverete giustificazione a queste parole pronunciate da un’adultera, volutamente introdotte nel santuario della divinità! … l’offesa alla morale pubblica è nelle scene di lascivia ... l’offesa alla religione nelle immagini voluttuose mescolate alle cose sacre ...”, così il pubblico ministero Ernest Pinard, nella requisitoria contro Madame Bovary e che nello stesso anno 1857 pronunciò un’analoga reprimenda contro Le fleurs du mal.
Emma, donna scandalosa, donna perduta, paragonata, per restare nella letteratura italiana, alla dantesca Francesca o alla manzoniana Gertrude, fino ad arrivare al filosofo paroliere Manlio Sgalambro e alla sua Emma Bovary/ Baby blu, poi cantata da Patty Pravo e Francesco Battiato: “Aspetto ancora il mio momento/che presto verrà/Un luogo nel mondo/giusto per ingannare/la freccia che mi ucciderà/… l’ardore dei miei sensi/eternamente ritorna/con severo disordine/la febbre per le membra/la voluttà finale della verità/ o di un colpo di pistola ...”.
A 160 anni di distanza, come vivono e s’incontrano o scontrano le donne di oggi con questa figura femminile che rivela, nella sua sofferenza, tanta parte del nostro disagio esistenziale e la “banalità del male”? “Bovary c’est moi”? Ecco come Emma è riscritta e risognata da donne dei nostri tempi.

Ambizioni e miserie di una donna d'altri tempi

L'aragosta Augusta
Un’aragosta

che si chiamava Augusta

ma tutti la chiamavano Agostina, detta Tina,

e di cognome faceva Bovarì,

si svegliò una mattina

e disse: “Sono stufa di star qui
di camminare sempre sopra il fondo.
Ormai conosco tutto quanto intorno
e non c’è mai niente di nuovo
sia quando dormo
sia quando mi muovo.
Per questo me ne voglio andare
uscir fuori dal mare.
È presto fatto posso
scalare quello scoglio
che sbuca fuor dall’onda
e sale verso il ciel dall’acqua fonda.”
“Non farlo, Agostina” le disse un calamaro
che da tempo l’amava e sperava
di portarla un dì all’altare.
“Non farlo, non ti devi fidare: il mondo è bello ma può essere cattivo,
non sai mai cosa può capitare.
Resta con me, mettiamo su famiglia
avrò cura di te come una figlia”.
“Come una figlia, vogliamo scherzare?
Io un grande amore voglio trovare
una passione sfrenata e ardente
che mi faccia delirare
per niente di meno mi voglio impegnare
per questo me ne vado via dal mare”.
Offeso il calamaro
per ripiego si fidanzò a una triglia.

Mentre Agostina si arrampicava

e in cima allo scoglio piano saliva

la vide un giovane che pescava

e la mise in un paniere.

Si agitava la povera Tina

inutilmente con tutte le zampe
ma di scappare non c’era modo.

Appena a casa fu messa sul fuoco

che si levava con grandi vampe

dentro una pentola d’acqua bollente.

Che orribile morte povera Tina

che aveva tanto sognato l’amore

non le bastava un affetto sincero
questa volta era cotta davvero
una passione davvero ardente
tragica sorte fu quel che trovò.
(Donatella Bisutti, poetessa)

Dopo un secolo e mezzo, si continua a cadere in Madame Bovary senza più uscirne. Flaubert l’ha costruita con disprezzo, precipitando in un abisso di pochezza la sua bella provinciale stordita di cattive letture, moglie rovinosa, madre pessima, amante insoddisfatta, prigioniera delle proprie menzogne. Eppure si finisce per stare dalla sua parte. È una irriducibile, dice qualcuno, un simbolo di libertà, suggeriscono altri svincolandola dalla ragnatela del bovarismo. Il suo creatore non la condanna sul piano morale, e infatti per questo fu condannato, ma per i sogni di cattivo gusto, le fantasie volgari. Madame Bovary, oggi più che mai, siamo tutti noi? “Non bisogna toccare gli idoli”, scrive Flaubert, “la doratura resta sulle mani”.

(Laura Bosio, scrittrice)


Una passione di provincia



Da adolescente, m'innamorai follemente di un rampollo dell’alta società. Sembrava condividere con me "le cose più belle della vita". Seppi dopo diverso tempo che fui abbandonata perché i genitori gli proibirono di frequentare una ragazza, sì certo per bene, ma con una famiglia priva di solidità economiche certe e non alla loro altezza. Conobbi la disperazione, l'abbandono di questo ragazzo mi risultò insopportabile. L'elaborazione del lutto durò per troppo tempo. Ecco cosa non perdono a Madame Bovary e a me: lo spreco di intelligenza, di creatività, di rispetto di sé e il tempo buttato all'inseguimento di figure maschili tremendamente meschine. Questo è l'aspetto di Emma più radicato nella mia persona e che ancora resiste e persiste. Gli aspetti del bovarismo, invece, quelli che riguardano scalate sociali e desiderio e volontà di frequentare le corti di famiglie ricche e di chiara fama, da molto tempo non mi appartengono più. Curo con vera passione relazioni che comprendono e indagano i luoghi delle affinità elettive. E qui abbandono Gustave Flaubert per indagare le ragioni che mi conducono a Johann Wolfgang von Goethe. Ed è tutta un'altra storia?

(Mariella Busi De Logu, artista)

Madame Emma si era stufata delle cozze alla Tolstoj e non aveva minimamente voglia di prendere la carrozza per raggiungere Rouen dove Monsieur Gustave attendeva per intervistarla. E soprattutto... cosa voleva sapere da lei? Cosa mai voleva raccontare in un libro che nessuno avrebbe letto? Ecco la parola clou, pensò scostando il piatto davanti a sé, le avrebbe chiesto delle sue appetitose avventure sessuali. Rise fra sé per il gioco di parole, per come la tavola la riconducesse al letto e il letto la riconciliasse col cibo. Un connubio un po’ facile ma talmente universale! Libertina di pensiero, ma tutte quelle voci, i pettegolezzi giù in paese su di lei e i suoi mille amanti, erano solo i suoi desideri, o degli esercizi di stile, come avrebbe asserito più tardi Monsieur Queneau. Emma, invidiava la sua musa ispiratrice d’oltremanica, Elizabeth duchessa di Kingston che invece se l’era spassata alla grande. E poi quel suo cognome che sfiorava il maremmano avrebbe mai assunto i toni sensuali di Lady Kingston-upon-Hull? Pigramente indossò cuffia e mantella per andare all’appuntamento. Nessuno, nemmeno Monsieur Flaubert, osò mai rivelarle che non possedeva alcuna carrozza.

(Chiara Corio, giornalista, artista)

Ho conosciuto Emma/Flaubert a venti anni, ho condiviso la sua anima assetata di sogno e anche lei mi ha aiutata a comprendere il nostro innato bisogno di storie e la possibilità della narrazione di riequilibrare le nostre difficoltà funzionali ed esistenziali. Ho approfondito la conoscenza di Emma attraverso gli studi di Speziale Bagliacca che la osserva incontrare i suoi uomini sul terreno del rapporto sadomasochistico: il marito che nella sua imbecillità non la vede compromettersi e distruggersi, gli amanti che approfittano del suo vuoto interiore che la induce nella confusione tra realtà e fantasia. Ho incontrato Emma in Valeria, donna di trenta anni che cercava disperatamente in un uomo un padre che non l’aveva mai vista e amata, consumandosi e sottomettendosi in una relazione segnata da agiti d’ingravescente masochismo pur di non perdere l’amato. Lo spunto di Flaubert per il romanzo fu un fatto di cronaca. Oggi potrebbero esserlo le cronache delle vittime di femminicidio, dalle quali Flaubert saprebbe narrarci e mostrarci come ogni sofferenza o dramma siano sempre iscritti nell’intreccio dei rapporti umani.

(Luisa Crevenna, psicoterapeuta)


Emma Bovary e i suoi amori



Non è facile scrivere di questa figura ormai diventata iconica, credo che forse la cosa più sincera, per me, sia ricordare l'impressione fortissima che provai quando, adolescente, lessi per la prima volta il romanzo. Emma mi parve un'eroina tragica in un mondo meschino e castrante, una donna che rivendica il diritto alla libertà e all' emancipazione. Ancora non sapevo cosa avrei fatto "da grande" ma sentivo che avrei coltivato le mie passioni e non mi sarei arresa alla mediocrità che mi sembrava di avere intorno. Negli anni ho riletto almeno un paio di volte Madame Bovary e il mio sguardo si è fatto più critico nei confronti di Emma. Ho riconosciuto in lei il velleitarismo di chi è sospeso tra un'ambizione smisurata e un destino mediocre senza la capacità di adattarsi alla vita. Certo è però che la sua inquietudine esistenziale, il suo senso di insoddisfazione, il suo "mal de vivre" sono forse responsabili, almeno in parte, del mio essere diventata attrice. Sulla scena i miei sogni avrebbero potuto continuare ad esistere!

(Patrizia Milani, attrice)

Immagino di incontrare Emma Bovary a un tavolino di una caffetteria dallo stile raffinato ed elegante. Un abito di seta azzurra a balze avvolge un fisico asciutto, il corpetto con inserti di pizzi mette in risalto una carnagione chiara ed esalta due grandi occhi neri. Mi guardo: sono vestita in modo ben diverso, classico ma appropriato alla mia era. Due donne, due epoche diverse. Eppure abbiamo avuto in comune l’aspettativa e l’illusione di trovare nell’incontro amoroso la vera realizzazione di noi stesse, scoprire con le lenti dell’innamoramento le bellezze della vita, sentirsi vitali e forti rispecchiandosi nello sguardo interessato di un uomo. Poi provare il baratro dell’abbandono che ti annienta, azzera l’immagine di te stessa. Nonostante l’emancipazione femminile, quante donne ancora oggi cadono in questa trappola, ritenendosi vive e capaci solo perché si sentono al centro dei pensieri di un uomo! L’amore è da sempre il miglior antidepressivo, questo sì! Ma le risorse che l’innamoramento fa emergere sono solo nostre, sono fiori perenni che aspettavano solo di sbocciare!

(Maria Teresa Rizzato, psicoterapeuta)

Ho letto Madame Bovary per l’esame di letteratura francese all’Università e ne sono rimasta sdegnata perché in tutto il libro questa donna si dimostra di una vuotezza impressionante. Certo avevo letto i vari saggi di critica che ragionavano sul fatto che lei fosse un soggetto desiderante e moderno, ma per me rimaneva una donna che negava la realtà perché altrimenti avrebbe dovuto fare i conti con il proprio buco nero interiore che cercava di riempire inventandosi amori da fiaba adolescenziale. Soprattutto trovavo, e trovo, tremendo che Emma demandi la realizzazione della propria felicità al marito. Madame Bovary non ha un progetto esistenziale e incamera continuamente oggetti e vestiti per non incontrare il nulla di se stessa. Ho pensato che grazie al cielo io e Madame Bovary eravamo agli antipodi.

(Marina Spada, regista)




Giovanni Zaccherini
Laureato in Lettere Moderne all'Università degli Studi di Milano, ha insegnato materie letterarie, storia, filosofia e storia dell’arte negli istituti superiori. Ha collaborato e collabora con il Comune e il Circolo Filologico milanesi alla selezione e divulgazione di autori e testi inediti e all'organizzazione di eventi culturali.
Giornalista pubblicista, “Premio Guidarello per il giornalismo d'autore” 2010 per la sezione cultura, ha pubblicato e pubblica sulle terze pagine dei quotidiani “Avvenire”, “il Corriere di Romagna”, “il Resto del Carlino”, “La Voce di Romagna”, “Prealpina”, “Varese News” e sui periodici “la Ludla”, “la Piê”, “Libro Aperto”, “Stanza Letteraria” con rubriche di critica d'arte, musica, storia e letteratura. Ha compilato le voci “Dialetto”, “Folclore” e “Proverbi” per l'enciclopedia “Sguardi sulla Romagna” e ha collaborato all’ “Antologia della letteratura romagnola” di prossima uscita.
Ma, al di là di questi sintetici dati, nella mia vita e nella mia professione c’è soprattutto il desiderio di vivere con gli altri quella cultura che ci rende più “umani” e vicini in una comune condivisione. Ricordo le mie prime esperienze, come animatore del Comune di Milano, quando mi aggiravo nelle nebbie delle periferie per ricercare, raccogliere e insegnare a leggere e scrivere agli ultimi analfabeti che venivano dal sud. Poi, gli anni di insegnamento nei licei della Milano “bene”, anzi della Milano “da bere” … situazioni ed ambienti diversissimi, che mi hanno messo in grado di saper apprezzare e godere di culture e persone tanto lontane.
Per questo, anche nella mia attività giornalistica ho sempre rifuggito dallo specialismo e mi è piaciuto scrivere, mettendomi in sintonia con generi e periodi diversi: dall’ultima edizione di “Kind of blue” di Miles Davis, ai concerti grossi di Corelli, ai cori delle mondine. Oppure, cambiando campo, dalle eroine di Crepax, ai tesori della grafica rinascimentale, all’architettura liberty. Ecco, lo scrivere è come un dono, il dono di un piacere condivisibile e condiviso, un essere per sé e per gli altri.



001 Un "Angelo" tra Verdi e Wagner / La passione aldilà della rivalità

067 Lea Melandri / Amore e violenza





La bellezza salverà il mondo / Incontro con Eric Ghysels di 5 Continents Editions



L'editore Eric Ghysels, 55 anni, belga-armeno, ma italiano d’adozione



La bellezza salverà il mondo

Incontro con Eric Ghysels di 5 Continents Editions

20 NOVEMBRE 2017, 
VALERIA CALDELLI



Beauty will save the world / A meeting with Eric Ghysels

La prima volta che entrò nell' edificio di piazza Caiazzo, a Milano, non arrivò nemmeno fino all'appartamento del quinto piano proposto in affitto. Venne ammaliato dallo spazio interno intorno al quale si avvolgono le scale, dall'armonia delle sue proporzioni e dal giusto dosaggio di metalli e marmi che compongono un liberty senza troppe frivolezze, quasi 'austero'. Fu come un colpo di fulmine e prima ancora di varcare la porta dell'ascensore che lo avrebbe portato all'alloggio disse all'agente immobiliare: "Lo prendo".

La foto di un seme tratta dal libro 'Graines' di Paul Starosta

Quelle scale, insieme a molte altre, sarebbero diventate sette anni più tardi il soggetto di un libro fotografico alla scoperta del fascino di un elemento architettonico che unisce cielo e terra. Quell'appartamento, invece, dal 2010 è diventato la sede di 5 Continents Editions, casa editrice consacrata alla bellezza di cui lui, Eric Ghysels, è il sommo e unico sacerdote, impegnato, più che in un lavoro, in una missione controcorrente. "Ho la fortuna di trasformare la mia passione in mestiere. D'altra parte per fare l'editore bisogna essere pazzi e io lo sono totalmente. Supponiamo che domani qualcuno venga a propormi una pubblicazione su mille e più formati della pasta, per esempio, e io potrei accettare. Basta che scatti quella sorpresa che mi fa entusiasmare e ci dedicherò tutto me stesso".
Infatti, se 5 Continents è la casa editrice al primo posto nel mondo per l'arte extraeuropea e se i suoi cataloghi spaziano dal Medioevo all'età contemporanea e sono un punto di riferimento per musei come il MoMA di New York, il Louvre e il Musée d'Orsay a Parigi, dalla sua tipografia sono uscite pubblicazioni che più che con l'arte hanno a che fare con l'arte della natura o con ciò che l'essere umano dalla natura ha creato. Come le 'magiche' scale fotografate da Luciano Romano e commentate da Michel Serres ne Le Regard Oblique, o la serie fantastica di semi di piante, fiori, ortaggi, quelli da cui nasce la vita, indagati dall'obiettivo di Paul Starosta in Graines e riprodotti ingranditi, rigorosamente su fondo nero. Una scoperta.

Le incredibili immagini di Vincent Munier raccolte nello splendido volume 'Artico'


E infine l'ultimo nato, Artico, che racconta 6 anni di spedizioni invernali dalla Scandinavia alle isole più settentrionali del Canada attraverso le immagini e il diario di viaggio di Vincent Munier. Un mondo nascosto nel bianco abbagliante della neve che si rivela a poco a poco attraverso l'incontro con i suoi abitanti: orsi e volpi polari, lupi, civette e buoi muschiati. "La natura è la più bella forma d'arte ed è la mia prima fonte di ispirazione. Ora faccio un libro sulle uova. Sì, le uova, perché sono così perfette da commuovere. Vedrete".
E perfetti sono anche i volumi che escono da 5 Continents Editions. Tutto - dai testi, ai titoli alle illustrazioni - deve avere il giusto spazio per dialogare in armonia. Lui, Eric, è come un grande cuoco che dosa tutti gli ingredienti; lo fa al millimetro seguendo la nascita del libro giorno dopo giorno, pagina dopo pagina. Guai agli errori: ne basta uno - uno solo - anche minimo e "il libro per me è morto". Una dimensione, quella dell'armonia degli spazi, che ha ereditato dal padre Jean-Pierre, scultore, e che ora è diventata parte della sua stessa esistenza.
Mentre parliamo nello studio-ufficio al quinto piano, sopra i tetti di una Milano piena di sole, mi mostra un esempio di questa perfezione. Si chiama Rivage, è un'opera in bronzo patinato che suo padre creò nel 1984, dove rotondità e spigoli, curve e angoli si fondono in un ritmo estetico quasi musicale. Rivage è isolata, sopra un piedistallo, ma nella stanza altri oggetti parlano della vita di Eric Ghysels e della sua famiglia un po' speciale. Uno scudo proveniente dal Nord Sudan è appeso alla parete, ma anche sul lungo tavolo rettangolare in vetro per le riunioni appaiono vestigia di altri mondi: un monile tuareg in cuoio, una forca giapponese di legno di epoca ottocentesca, delle strane 'forme' per realizzare calzini in Giappone. Sono tutti ricordi di viaggi in terre lontane, testimoni di una curiosità mai sopita che ha dato origine a una collezione fantastica di civiltà e culture diverse.

Uno scatto di Luigi Spina dall'opera 'Le danzatrici della Villa dei papiri'


Tutto cominciò con un premio che Jean-Pierre vinse a Parigi per le sue sculture. Con quei soldi comprò una '2 cavalli' e si avventurò in India fino ai templi di Khajuraho, dove lo raggiunse Colette, futura madre di Eric e appassionata di etnografia. Furono poi tra i primi occidentali a visitare il Nepal, e lì, a Katmandu, si sposarono il 27 dicembre 1959. Ma era solo l'inizio di una lunga serie di viaggi alle più svariate latitudini; e i figli con loro. Eric non ha mai smesso di esplorare il mondo. Con l'auto, il treno o l'aereo costantemente alla ricerca della meraviglia. Quella stessa meraviglia da cui nascono le sue pubblicazioni. "Per la verità più che un editore sono un umanista, nel senso che amo profondamente l'essere umano e ciò che dall'essere umano ha origine, come la musica, l'architettura, l' arte, la cultura in generale. Mi piacciono le cose fatte bene e mi piace trasmetterle. Amo la bellezza, credo che sia un patrimonio, forse l'unico, che salverà il mondo".
Parole che potrebbero sembrare incomprensibili nell'epoca dell''usa e getta'. Eppure all'idea del 'monouso' Ghysels ha contrapposto TailorMade, un progetto editoriale raffinato, rivolto all'eternità. Il primo 'numero' è dedicato a Le danzatrici della villa dei papiri, cinque mirabili statue bronzee trovate a Ercolano sotto la cenere del Vesuvio. Le fotografie di Luigi Spina e il racconto dell'archeologo Stefano De Caro su queste affascinanti giovani donne sono raccolti in un cofanetto prezioso che accompagna il lettore passo dopo passo alla scoperta delle origini della bellezza. In tutto 192 pagine e una tiratura di sole 300 copie al prezzo di 950 euro ciascuna. Una sfida al 'less is more', un omaggio alla storia su cui ha scommesso e vinto. "Non ho un centesimo e non voglio finanziamenti. Le banche mi cercano per darmi i soldi, ma io non li voglio. Se accettassi perderei la libertà. Qual è infatti lo scopo di un finanziatore? Il guadagno, naturalmente. Invece per me i maggiori guadagni sono proprio le perdite. Certamente ho perso all'inizio con l'arte africana, ma sono diventato tra i maggiori editori di questo settore e dopo è nato il guadagno. Gestisco questa azienda come un padre di famiglia e i miei finanziatori sono gli esseri umani: artisti, autori, direttori di musei, collaboratori".

Le incredibili immagini di Vincent Munier raccolte nello splendido volume 'Artico'

Eric Ghysels ha 55 anni e 5 Continents Editions quasi 16. Ha fondato la casa editrice nel 2002 dopo aver lavorato per Franco Maria Ricci e poi per Skira. Il suo paese di origine è il Belgio e lì ha vissuto fino a quando non si è innamorato di Roberta e si è trasferito a Milano. Ma il 25 per cento del suo sangue è armeno, eredità di sua madre. Nonostante i numerosi viaggi, però, Eric in Armenia non c'è mai stato, anche se si sente più orientale che occidentale, sia nel fisico che nel carattere. "Sono passionale e ipersensibile. Per questo mi angoscio e divento irascibile", dice di sé. Dall'infanzia si porta dietro il terrore del buio e delle aquile, ma quello che gli fa veramente paura è la morte. "È come un treno in marcia", spiega. "Parte lentamente dalla stazione, ma poi comincia a viaggiare a velocità esponenziale".
Però le difficoltà gli piacciono perché lo mettono alla prova e non si lamenta delle sofferenze della vita perché sente che lo hanno aiutato a crescere. I compromessi invece no, quelli vorrebbe evitarli, anche se qualche volta non può respingerli. "Purché non riguardino l'etica. Su quella non transigo: si è onesti o disonesti e con i secondi non voglio avere a che fare". La sua 'squadra umana', quella che lavora con lui, è interamente italiana. L'ha scelta non solo per le capacità, ma anche, appunto, per l'etica di ogni componente. "Niente curriculum: una stretta di mano, uno sguardo e la spina dorsale dritta. Questo è il mio metodo".
Si sente quasi un maestro d'orchestra che utilizza essere umani per chiamare a suonare i vari strumenti. Ce ne vogliono più di 20 per fare un libro e lui, artista tra gli artisti, deve dargli l'anima. Però fare l'editore è anche un po' come fare il padre perché un libro è materia viva, cioè carta, alberi tagliati. E dopo averlo creato, il figlio-libro deve essere curato e aiutato a crescere. Eric di figli ne ha due, Giorgia e Matteo, ma ogni anno dà la luce a una trentina di volumi: in francese, in inglese, in italiano, ma anche in russo e in cinese oppure in giapponese o tedesco. Non mancano le collane economiche, ugualmente diffuse in tutto il mondo, per tramandare ai giovani un patrimonio artistico e farli stupire. Come si stupisce lui: in fondo anche lui dentro è un po' bambino. Lo sa. Lo sa e sogna. Sogna il Grand Palais a Parigi dove poter organizzare una mostra di disegni di infanzia e poter dire che sono il frutto acerbo di artisti come Picasso e Cezanne.
E sogna alla fine di chiamare tutti i giornalisti e svelare il mistero. "Signori, io sono un impostore", direbbe loro. "Quei disegni li hanno fatti i bambini di tutto il mondo, non i grandi pittori". Intanto progetta di pubblicare una collana singolare, dedicata sì ai più piccoli, ma non composta di libri scritti da adulti per i bambini, bensì da bambini per gli adulti. Attenzione, a Milano, in piazza Caiazzo, è in arrivo il 'sesto continente'.


Valeria Caldelli
Mi sono laureata in filosofia all'Università di Pisa e ho subito cominciato a collaborare con la Nazione diventando giornalista professionista. Ho lavorato oltre 30 anni per questa testata di cui sono stata anche caposervizio, svolgendo la mia attività in vari ambiti, dalla cronaca alla politica. La scienza mi incuriosisce e l'arte mi affascina, tanto che negli ultimi anni ho collaborato soprattutto con le pagine culturali di Qn-La Nazione-Il Resto del Carlino-Il Giorno, sia cartacee che web.
Ho scritto due libri: il primo, insieme al collega Giuseppe Meucci, ha per titolo "La Torre pendente: il restauro del secolo" ( Pacini editore), ed è tradotto in varie lingue, tra cui il cinese. Il secondo è una biografia su Margherita Hack (Pacini editore). Sono molto eclettica e mi appassionano le sfide con me stessa. Per questo, oltre agli adulti, volevo saper raccontare anche ai bambini. Per loro ho scritto: "La ballata in rima sciolta di una torre tutta storta" e "Lo scienziato stra... lunato. La vera storia di Galileo e del gatto Meo". Sono entrambi editi da Ets. La mia ultima fiaba è "Il volo incantato" e fa parte di un trittico con Fabrizio Altieri per un Cd di Sconfinarte con musiche per clarinetto e pianoforte di Marco Simoni.
Mi piace moltissimo viaggiare e capire gli altri. Per il gruppo Poligrafici Editoriale sono stata autrice anche di reportage. Vivo a Pisa, ma trascorro periodi dell'anno a Parigi e a Londra. Naturalmente amo scrivere.