Édouard Manet, La pesca (1861-1863) The Metropolitan Museum of Art, New York. |
Un arcobaleno perfettamente normale
A cura di Gaetano Prampolini
Biblioteca Adelphi
2004, pp. 540
RISVOLTO
Unanimemente considerato uno dei massimi poeti contemporanei di lingua inglese, Les Murray è il portavoce e l’interprete dell’anima dell’intera Australia (che così appare dalla nave agli immigrati: «Infine, un litorale basso,/antico terrore di capitani olandesi.//Dietro, ancora ignoti, strani alberi,/fattorie arse dal sole, battute indecifrabili,/e tutte le classi dell’eguaglianza»), l’appassionato custode dei suoi valori originari e più nobili (democrazia, egualitarismo, autoironico stoicismo) e, al tempo stesso, un critico pungente delle sue debolezze. Ma, come ha scritto Iosif Brodskij, «sarebbe miope considerare Les Murray un poeta australiano, così come lo sarebbe dire che Yeats è un irlandese». E il lettore non tarderà a scoprire nell’Australia di Murray uno specchio in cui riconoscere ogni mondo. Nella dedica «alla gloria di Dio», che da anni apre i suoi libri, si condensa quello che è probabilmente l’impulso primario della poesia di Murray: la celebrazione dell’esistente, nelle sue infinite particolarità, in quanto creazione di un Dio generoso «la cui immagine è diurna precisione, totale, in divenire eppure tutt’una/con l’ubiquitaria attenzione di uno che non conosce noia».
Una celebrazione affidata a un linguaggio che è una continua sfida ai cattivi usi che quotidianamente lo mortificano: impossibile non essere colpiti dalla sprezzatura con la quale Murray fa propria, improntandola della sua originalità, una straordinaria varietà di misure, forme e generi: dal verso breve a quello lungo, dall’epigramma e dal sonetto alla sequenza e al ciclo di poesie, dalla poesia lirica (ammirevole, in particolare, nelle sue inflessioni elegiache, descrittive e memoriali) a quella gnomico-meditativa, dalla poesia narrativa a quella comica e satirica, a quella che traduce nel linguaggio degli umani le voci di creature che con gli umani condividono questo mondo. A tale raffinata strumentazione si accompagna un regale dominio su una sconfinata estensione di risorse lessicali, foniche e tonali dell’inglese: come i suoi pari Seamus Heaney e Derek Walcott, Murray conferma che nella seconda metà del Novecento le aree cosiddette ‘periferiche’ della cultura letteraria inglese hanno manifestato una vitalità creativa altrettanto se non più forte di quella espressa dal suo presunto ‘centro’ britannico-americano. Per usare ancora le parole di Brodskij, «È grazie a Murray, semplicemente, che la lingua vive».
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