Youth
Quando la visione è una canzone semplice
Ars Gratia Artis
Se ne La Grande Bellezza il cuore narrativo era l’occhio aperto e vuoto, cioè Jep Gambardella e la sua capacità di raccontare senza raccontarsi, qui la visione di Sorrentino si fa sonora e il cuore è l’orecchio di Fred Ballinger, il cui disincanto, di successo, asciutto, sereno, e non struggente e compiaciuto come quello di Jep, lascia un più vasto ed evidente spazio al ritmo dell’incanto, a un placido e puro accoglimento della capacità di “vedere la vita”.
Una scena del film Youth |
C’è un segno che ci permette di chiudere in poche parole questa mirabile opera (a volte i capolavori ricompaiono, come certi preziosi sogni) e se ne trova traccia nella sceneggiatura (La giovinezza, Paolo Sorrentino, Rizzoli) ma nel film questa immagine acquista il senso compiuto con l’aggiunta del movimento circolare: il palchetto nel dehors dell’albergo alpino, dove alla sera gli ospiti si ritrovano, rilassati e distratti, a farsi intrattenere da vari spettacolini poco rilevanti. Quello è il segno, garbato e grazioso, in cui l’opera si rispecchia nel proprio andamento curvo. La location dell’albergo-spa ci fa vedere l’orecchio oracolare di Fred che accoglie, cerca, resiste e si scioglie alla propria musica che goffamente rivive nella pratica violinistica di un ragazzino. Altro segno eloquente del lieve sottotraccia del racconto visivo è il movimento ritmico della carta di caramelle nella mano di Fred.
Rachel Weisz |
Sorrentino raggiunge un’altra altezza estetica che difficilmente è riducibile a formulette definitorie ma che ci interpella a livello semantico e antropologico proprio per la potente semplicità della sua magistrale esecuzione. La Bellezza, la Giovinezza: finalmente l’umanità torna a parlare di e con e dentro parole grandi, cosmiche, freschissime perché a lungo obliate, senza timori, senza disagi, liberi da ansie da prestazione. La limpida saggezza di Paolo sta nel velare per ri-velare, cioè nello stendere con tiepoliana sprezzatura più sottili strati di colore sui fondi e sui volti delle sue figurazioni, in modo da custodire con delicatezza affettuosa i momenti in cui la melodia portante viene alla luce per poi riconfondersi con i discorsi incidentali, ancillari. Così è per la grande arte e per la grande musica. Una “superficie” che scivola e fa scivolare, come in Tiepolo e in Raffaello, può accogliere e sopportare molte vicende umane, smontandole nei fondamentali, nei fattori semplici, e regalando così altri slanci, nuove riprese.
Rachel Weisz |
Sorrentino va avanti. Difficile farlo dopo il suo precedente successo mondiale. Eppure accade. Con disinvoltura. Opera per sottrazione? E’ un lavoro di decantazione dell’immagine dagli immaginari? Questo film è l’estratto distillato di decenni di immaginari filmici? Non importa. Importa che siamo chiamati a leggerlo, dopo averlo goduto nelle sale. Altra novità gravida di conseguenze. Le grandi opere sono così: cambiano la lingua, la spingono a nuovi movimenti, a suoni inattesi, fanno sfiorare strade distinte, ci fanno girare indietro per farci capire che stavamo allontanandoci. Come ne La Grande Bellezza il velo essoterico e volutamente fuorviante era la corruzione, la decadenza sociale ed esistenziale, che operavano a difendere il differente cuore del racconto (e per chi non l’ha capito: omnia immunda immundiis!), così in Youth il facile ma suggestionante velo è l’immagine anziana dei due protagonisti, che induce la mente discorsiva e associazionistica a un’aura di nostalgica memoria che invece non è presente nell’opera. Il tema non è la memoria, né lo sfaldarsi della vita. Ciò non toglie che compaiano scene di rara eleganza e di acuta sensibilità che ci coinvolgono nella bellezza della percezione serena/rasserenante del dispiegarsi del tempo, come, fra i molti, il palchetto rotante di cui dicevamo e il motoscafo che incrocia l’ingresso dell’isola veneziana di San Michele.
Una scena del film YouthMichael Caine e Harvey Keitel |
Come per ogni altezza estetica tuttavia il tema non c’è, non si dà, non va posto. Forse Guerra e Pace riceve senso dal fatto che contiene scene di guerra e di pace? Come insegnava Tommaso Landolfi: non si fa letteratura con la letteratura, né poesia con la poesia, ecc. (frase amata da Carmelo Bene). Si coglie Altro stando dentro, da liberi, i linguaggi. L’Opera è tale quando non si riesce a sostituire con la sua interpretazione, quando sfugge a se stessa, qui anche nell’omninclusivo e ambiguo titolo: La giovinezza. Non c’è ironia né nostalgia nell’uso di questo nome. Sorrentino coglie una delle essenze della “Giovinezza”: la linea curva, lo spiazzarsi, l’assenza di risoluzione, il senso del rinnovarsi metamorfico dell’Uguale. Il Nome è magnete immobile. Come un rabbino reso calmo e saggio dalla folle e ossessiva ricerca del Nome di Dio Sorrentino in Youth non tratta della giovinezza a livello di rappresentazione o di codice semantico ma celebra il senso profondo e sorgivo del rinnovamento, che è la Giovinezza, quale musica, quale ritmica e sonorità il cui rapporto sembra porsi quale dimensione centrale del racconto. L’apparente assenza di “trama” e la forza immaginale del racconto è appunto funzionale alla leggera criptazione del Dis-corso. Sorrentino risolve Kundera, è un Kundera del terzo millennio. In Youth la Leggerezza/Giovinezza diventa possibile, sostenibile. Si fa Arte.
Giacomo Maria Prati
Giacomo Maria Prati (Tortona, 1971) parallelamente ad una formazione giuridica sviluppa un'attitudine e una passione per i linguaggi simbolici, i testi mistici, l'iconologia, i miti e le strutture narrative di determinati linguaggi, prediligendo il ciclo dei romanzi medioevali del Graal,il patrimonio alchemico, i miti di Sparta. Molte le sue passioni: dalla filosofia del diritto al management dei beni culturali. Nell'aprile 2013 esordisce come traduttore con una nuova traduzione del Cantico dei cantici e dell'Apocalisse, accostati ad immagini del Duomo di Milano e del Cenacolo di Leonardo. Dopo aver analizzato in modo innovativo cinque capolavori di arte antica ora sta concludendo un saggio dedicato ad Hermes e uno studio sull'immaginario della deposizione di Cristo al cui interno, non sappiamo come, cita da Gino Paoli a Pinocchio.
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