DONNE
martedì 27 settembre 2022
mercoledì 21 settembre 2022
Queen Elizabeth meets the stars
Actor Raquel Welch shakes hands with Queen Elizabeth in March 1966. |
Queen Elizabeth meets the stars – in pictures
Saturday 17 September 2022
The Queen receiving Carol Ann Duffy at Buckingham Palace shortly after Duffy became the poet laureate in 2009. |
Queen Elizabeth talks to actor Joan Collins during the Dramatic Arts reception at Buckingham Palace, February 2014 |
Elizabeth meets Hollywood actor Marilyn Monroe Miller, standing next to Victor Mature, during the Royal Film Performance, October 1956 |
martedì 20 settembre 2022
Brooke DiDonato / A House Is Not a Home
A House Is Not a Home: the self-portraits of Brooke DiDonato – in pictures
Brooke DiDonato is a photographic artist based in Austin, Texas. Her latest body of work, A House is Not a Home, is a series of self-portraits that call into question the boundaries of reality and the psychological mindset. She draws on early work positioning her and other people’s bodies in familiar domestic settings – straddling the line between the mundane and the absurd
Saturday 17 September 2022
Inside, 2016
venerdì 9 settembre 2022
Il “ritorno” di J.D. Salinger
Il “ritorno” di J.D. Salinger
Hapworth 16, 1924 racconto lungo comparso nella rivista americana New Yorker nel 1965 è l’ultimo lavoro pubblicato dallo scrittore J.D. Salinger autore di The Catcher in the rye (Il Giovane Holden), un’opera che fin dalla sua comparsa in America ha avuto un successo strepitoso soprattutto fra i giovani e che ancora oggi in tutto il mondo è fra i libri più letti e venduti. Negli anni il mito di un Salinger misogino, poco incline a qualunque tipo di pubblicità che per più di trent’anni ha scelto il silenzio editoriale ha contribuito certamente a far sì che l’interesse in torno a lui rimanesse desto.
La casa editrice Eldonejo di Milano ha pubblicato quest’anno in Italia questo inedito (pp. 152 £. 25.000) salingeriano che si presenta molto interessante. Innanzitutto è necessario fare una distinzione, che può apparire banale ma che è inevitabile, fra il lettore che potremmo definire “occasionale”, che si trova a leggere il libro per caso, magari perché colpito dalla copertina color carta da zucchero dell’edizione Eldonejo che spunta da uno scaffale di qualche libreria, e il lettore che conosce e ama Salinger e che forse da tempo aspetta di leggere qualcosa di “nuovo” (le virgolette sono d’obbligo considerando che l’opera è del 1965) dell’autore americano. Nel primo caso, quello di un lettore ignaro, questo racconto sotto forma di una lettera ritrovata per caso e di cui non si sospettava l’esistenza provoca come minimo una certa curiosità. Se poi si scopre che la lettera è stata scritta da un ragazzino di sette anni che in seguito, all’età di trentuno anni si è suicidato, la cosa diventa quantomeno interessante. Credo però che alla fine del testo lo sconcerto sia il sentimento prevalente nell’animo del lettore che tutto si aspetta da un bambino di sette anni tranne quello che ha letto.
Questa epistola è un caleidoscopio di immagini, dove soggetti umani e opere letterarie vengono definiti, giudicati, descritti in modo davvero originale a volte impertinente a volte ingenuo, da un bambino genio, presuntuoso ma affascinante. Seymour parla senza timore, con acutezza e senso dell’umorismo di Dio, di filosofia Zen, dell’amicizia, di letteratura e della sua strana famiglia destinataria di questa lettera. Proseguendo nelle lettura infatti appare evidente che ogni membro della famiglia Glass ha qualcosa di speciale e così alla fine del libro o si rimane storditi da questa sovrabbondanza di immagini o, come nella realtà succede quando ci si trova di fronte a un personaggio eccezionale, viene voglia di andargli dietro per saperne di più. Ecco, penso che a chi incontra Salinger per la prima volta attraverso questo racconto venga voglia di scoprire cosa è successo a Seymour, a Buddy e a tutti gli altri nei lunghi anni trascorsi fra il momento in cui è stata scritta la lettera e quello in cui è stata ritrovata.
Nel caso di un lettore amante di Salinger l’incontro con Hapworth 16, 1924 è l’incontro con un amico che non si vede da tempo. Il lettore salingeriano conosce Seymour, conosce Buddy e il resto della “truppa” e leggere questo libro è come sfogliare un album di famiglia, guardare le foto e dire “accidenti come sono cambiati” oppure “è sempre stato così…”.
Avevo 12 anni quando mia sorella maggiore mi prestò Il giovane Holden e mi innamorai subito di Holden Caulfìeld. Successivamente lessi tutto quello che di Salinger esisteva in Italia e conobbi così la prodigiosa famiglia Glass. La prima volta che ho letto questo racconto mi è parso come se la lettera l’avessi ritrovata io, come se questo racconto lungo l’avessi letto solo io e come se questo fosse stato scritto da Salinger due ore prima, come se fosse qualcosa di realmente nuovo. Ho scelto di tradurre Hapworth 16, 1924 perché mi dava l’opportunità di sapere di più, di scoprire di più, di amare di più i mitici fratelli Glass e soprattutto di desiderare di incontrarli di nuovo rimanendo ancora una volta colpita e affascinata dalla loro sorprendente personalità che a me suscita un irresistibile moto di simpatia umana.
Simona Magherini
La bio nel 1997
Simona Magherini, traduttrice di quest’ultimo libro di Salinger, ha 31 anni, è laureata in Lingue ed è appassionata e studiosa di letteratura americana. Abita in Toscana con il marito Giorgio e il piccolo Giacomo.
EXLIBRISmartedì 6 settembre 2022
Mina Loy / La vita di una poetessa bohémien
Mina Loy, la vita di una poetessa bohémien
"Per rimanere sconosciuta, il rischio che scelsi fu di farmi poetessa".
Di Sara Marzullo
05/ 09 / 2022
C’è una foto, scattata di fronte al Jockey Club di Parigi nel 1923, in cui compaiono Man Ray, Ezra Pound, Jean Cocteau, Kiki de Montparnasse e Tristan Tzara insieme in mezzo ad altri volti più o meno noti. È una via di mezzo tra la foto di gruppo di amici e di un movimento artistico, i cui componenti spiccano per il carattere con cui posano e per come sono vestiti; in un certo senso, sono esattamente come ci immaginiamo gli artisti del Novecento. In prima fila, in ginocchio, c’è una donna voltata verso sinistra, sorridente, con indosso una pelliccia e un cappellino che pare una corona: si chiama Mina Loy.
Il suo nome probabilmente dirà niente, ma c’è stato un tempo, quello immortalato nella foto, in cui Pound sosteneva che l’unico poeta in America a produrre qualcosa di interessante fosse proprio lei, insieme a William Carlos Williams e Marianne Moore. Le sue poesie circolavano nelle riviste e il suo nome nelle cronache mondane, anche se qualcuno sospettava che Mina Loy non fosse una persona reale bensì un personaggio di finzione tanto era inconsueta. Poi delle sue opere si è smesso di parlare e piano piano anche di lei. Con tanti artisti e, soprattutto, artiste, il tempo non è sempre un gentiluomo; se è vero che aiuta a distinguere il talento dalla fama, a far sopravvivere poche e meritevoli voci, è anche vero che tra i sommersi ci sono tante personalità che, per caso o per sfortuna, svaniscono nel niente, magari per essere ripescate decenni dopo da lettori attenti, come nel caso di Bette Howland o Lucia Berlin. Mina Loy fa parte di questa seconda squadra, ma, se la sua arte si è perduta, il suo nome ha continuato a comparire nei racconti delle biografie di grandi del tempo come Djuna Barnes, Constantin Brancusi, Ernest Hemingway, James Joyce, Gertrude Stein, Wallace Stevens, e William Carlos Williams. La si trova come modella negli esperimenti fotografici di Man Ray, insieme a un’altra delle donne di quel gruppo, la più famosa Kiki de Montparnasse. Se Mina Loy aveva un talento, era quello di circondarsi di persone interessanti, delle migliori menti delle sue generazioni, di aver attraversato amori e continenti diversi, correnti e ambiti artistici in un baleno.
Riannoda i fili della sua storia Roger L. Conover nella introduzione a The Lost Lunar Baedeker, la lunga raccolta poetica di Mina Loy, pubblicata in Italia da Rina Edizioni, nella collana diretta da Luciano Funetta, con la traduzione di Marco Bartoli. L’introduzione si apre con Mina Loy e Marcel Duchamp che la sera del 25 maggio 1917 si fanno strada verso la “Cuccagna Pagana”, una festa in cui ognuno dei partecipanti poteva vestirsi come voleva, ignorando i dettami del genere, alla Webster Hall del Greenwich Village. L’aneddoto, contenuto anche nella preziosa biografia di Carolyn Burke che ha avuto il pregio di aver trasformato Loy da guest star a protagonista, spiega qualcosa della trasgressione delle norme che entrambi gli artisti avevano entrambi ampiamente praticato.
Se Duchamp, che aveva reso un orinatoio un’opera d’arte, si era fatto fotografare vestito da donna come Rrose Sélavy, Loy aveva scardinato le convenzioni femminili con le proprie scelte di vita. Abbandonata l’esistenza vittoriana dell’Inghilterra in cui era nata, Loy vive in giro per l’Europa, studiando e frequentando l’ambiente bohémien delle capitali. In una di queste avventure conosce il primo marito, un inglese di buona famiglia, con cui, nonostante il matrimonio finito, si trasferisce a Firenze, dove frequenta i salotti letterari e, soprattutto, i futuristi, diventando una di loro. “Piazze / Palazzo Pitti / E Paszkowski / Tutto questo a Firenze”, scrive in una poesia dedicata al futurista Giovanni Papini.
Proprio qui nel 1914 redige un manifesto femminista furente e rivoluzionario: “Il movimento femminista alle presenti condizioni è Inadeguato”, dichiara, “Donne se volete realizzarvi—siete alla vigilia di uno sconvolgente rivolgimento psicologico— tutte le vostre coccolate illusioni devono venire smascherate—le bugie di secoli se ne devono andare—siete pronte allo Strappo—? Non ci sono mezze misure—nessun grattare la superficie del cumulo di rifiuti della tradizione, porterà Riforme, l’unico modo è la Totale Demolizione”. Poi scrive poesie sul parto, - “Sono il centro / Di un cerchio di dolore / Che eccede i propri limiti in ogni direzione”-, sugli amanti, sul sesso -"Ci saremmo potuti accoppiare / Sotto la tirannia di un istante allettato"-; quando le fanno notare che dovrebbe cambiare tema, ci ricorda Laura Pezzino nella postfazione, Loy risponde "Io non conosco nient’altro che la vita, e generalmente questa è riducibile al sesso".
Si capisce subito che a Loy delle aspettative altrui interessa ben poco, così come delle etichette e delle carriere ben definite; oltre a futurista e femminista si dirà poi anche dadaista, surrealista, femminista, artista concettuale, modernista, postmoderna - e poi non solo poetessa, ma anche attrice, designer, stilista, scienziata. Abbandona Firenze lasciando i figli alla tata con la promessa di tornare presto, per andare negli Stati Uniti, dove, è sicura, come scrive in un saggio contenuto nella raccolta di Rina Edizione, si sta elaborando una nuova poesia. A New York si unisce proprio a questi esponenti di avanguardia, che ruotano intorno alla rivista d’avanguardia Others e, come è ovvio, ne scandalizza qualcuno, appena in tempo non per tornare in Italia, ma per proseguire per il Messico, dove aspetta il futuro marito, il pugile-poeta svizzero, il colossale Arthur Cravan. Cravan, però, morirà prima di arrivare da lei e Mina, disperata racconterà il suo lutto nel Jazz della vedova, “Cravan / colossale assente / la tua ombra sostituta / rotola alla memoria incandescente”.
Riprenderà poi questo suo pellegrinaggio tra le due coste, i due continenti e le molte vite - artistiche, sentimentali, esistenziali - che la vedono protagonista. Spiega Pezzino nella postfazione che baedeker è il nome che si dà alle guide di viaggio: a seguire la mappa lunare della sua vita ci si perde, si confonde il prima con il dopo, la destra con la sinistra e ci si ritrova con una storia pazzesca e incredibile come la sua da dover rimettere in ordine. Imprendibile eppure onnipresente, schiva eppure impossibile da ignorare, provocatoria al limite del autodistruttivo, negli anni Cinquanta dichiara per esempio di non essere neppure mai stata una poetessa: forse in questa raccolta di poesie troverete la sua vita, forse in questa vita vedrete l’opera di una poetessa.
Ci sono casi in cui bisogna che scegliere è mutilare, imparare ad accettare che gli opposti stanno insieme, che la guida di viaggio è disegnata per farti arrivare ovunque, tranne dove pensavi di andare. Quando Mina Loy scoprì che pensavano che fosse un personaggio di finzione, si presentò a un salotto letterario e dichiarò: "Vi assicuro che sono effettivamente un essere vivente. Ma è necessario starsene molto defilati... Per rimanere sconosciuta, il rischio che scelsi fu di farmi poetessa".
BAZAARdomenica 4 settembre 2022
La vita di Oona O’Neill, la donna che sposò Charlie Chaplin spezzando il cuore a Salinger
La vita di Oona O’Neill, la donna che sposò Charlie Chaplin spezzando il cuore a Salinger
Il marito descriverà più tardi l'incontro con la O'Neill l’evento più miracoloso della sua vita.
22/02/2021
“Sposerai un uomo importante, famoso: uno come Charlie Chaplin, per intenderci, o come me”: con questa profezia – completa di lettura dei tarocchi - un giovane Orson Welles sta corteggiando l’ancor più giovane Oona O’Neill, conosciuta allo Stork Club di New York. Oona, classe 1925, è alle sue prime uscite mondane, insieme alle amiche Gloria Vanderbilt e Carol Marcus, e sta già raccogliendo un esercito di pretendenti e le attenzioni morbose di Truman Capote, che a lei si ispirerà per uno dei suoi personaggi femminili di Preghiere esaudite.
Figlia di Eugene O’Neill, considerato il più grande drammaturgo americano di tutti i tempi e insignito nel 1936 del Nobel per la letteratura, Oona cresce nel New Jersey con la madre, abbandonata da Eugene quando lei ha appena tre anni; in tutta la sua vita vedrà suo padre una mezza dozzina di volte, “e solo per esserne furiosamente criticata”. Il rapporto del grande drammaturgo con i propri figli è noto per essere turbolento al limite della ferocia: da precedenti unioni nascono Eugene Jr., che muore alcolista e suicida, Shane, altro fratellastro di Oona che si trascinerà tra alcool e droghe fino a commettere anche lui suicidio, e infine Oona, che cercherà un simulacro di rapporto con il padre provocandolo con scelte di vita che lui non condivide.
Finito il liceo, quando grazie al proprio cognome può scegliere tra le più prestigiose università dell’East Coast, Oona decide di spostarsi in California e tentare la fortuna a Hollywood. Ha solo 17 anni quando si presenta a un casting per un film di Charlie Chaplin, che non le da la parte ma si innamora immediatamente di lei. Al compimento del suo diciottesimo compleanno, il cinquantatreenne Chaplin la porta all’altare e le nozze del “Grande Dittatore” con la “bambina di O’Neill” monopolizzano le testate della stampa americana. Eugene decide che sposare un uomo a lui coetaneo è l’ultima provocazione della figlia e taglia definitivamente i già fragili ponti con lei; Orson Welles probabilmente ride sotto i baffi ricordando e maledicendo la profezia di qualche anno prima; ma chi su quei titoli di giornale perde il sonno e forse il senno è un altro protagonista della letteratura americana, J. D. Salinger, che a Oona aveva donato il cuore.
La prima apparizione pubblica della coppia dopo il matrimonio al Mocambo, locale notturno di Hollywood. (1943)Si erano incontrati nel 1942 e per seguirla Salinger si era mescolato alla vita mondana newyorkese, con malcelato disagio ma certamente raccogliendo informazioni e dettagli che avrebbe poi riversato nella critica sociale di cui è intriso Il giovane Holden. Oona accetta la corte di Salinger e i due diventano inseparabili: la felicità sembra sfiorare il giovane autore che fatica a trovare un riconoscimento letterario ma che sente, almeno, di aver trovato l’amore. Dopo pochi mesi di fidanzamento, allo scoppio della Guerra, Salinger entra nel corpo di controspionaggio e inizia il periodo più sconvolgente della sua vita.
Sarà tra i soldati dello sbarco in Normandia, parteciperà alla sanguinosa battaglia delle Ardenne e sarà tra i primi a varcare i cancelli del campo di concentramento di Dachau, posando gli occhi su una delle pagine più atroci della Storia. L’unico appiglio di salvezza psicologica di Salinger in questi mesi è il rapporto epistolare con Oona, di cui mostra la foto ai suoi commilitoni indicandola come sua futura sposa. Ma la vita di Oona ha preso altre strade e nel 1943 Salinger apprende delle nozze con Chaplin dai giornali. Qui inizia la “stagione psichiatrica” di Salinger e una vita da fiaba per Oona.
Chaplin, nella sua autobiografia, dirà che l’incontro con lei è stato “l’evento più miracoloso della vita”: con due matrimoni e due figli alle spalle, l’attore più importante e influente della sua epoca trova in Oona la compagna definitiva. Joan Crawford, che li frequenta, descrive Oona come la “perfetta geisha”, che anche grazie ai 36 anni di differenza dal marito, sembra un’ancella adorante. Lo segue ovunque, bellissima e silenziosa, e gli da ben otto figli. Nel 1952, mentre si trovano a Londra per la premiere di Limelight, a Chaplin viene comunicato che potrà fare rientro negli Stati Uniti solo dopo aver risposto a un’indagine sulle proprie idee politiche e morali: sospettato di sostenere idee comuniste, Chaplin rifiuta di sottoporsi a qualsivoglia testimonianza e rinuncia alla cittadinanza americana assumendo quella britannica per sé e tutta la famiglia.
Si trasferiscono in Svizzera, a Corsier-Sur-Vevey, in una splendida villa vicino al lago di Ginevra, dove vivranno fino alla morte di Chaplin, avvenuta nel giorno di Natale del 1977. Lui ha 88 anni e Oona 53. Gli anni da vedova di Oona sono inaspettatamente selvatici: forse per recuperare un’adolescenza non vissuta o forse per il richiamo oscuro della genetica paterna, Oona sprofonda progressivamente nell’alcool e si sbizzarrisce in relazioni con uomini più giovani, tra cui Ryan O’Neal e, secondo i tabloid, David Bowie.
Muore nel 1991 di tumore al pancreas e viene sepolta a Corsier-Sur-Vevey nella tomba gemella progettata insieme a Chaplin. Tra i loro numerosi figli, Geraldine ha calcato le scene e fondato un’importante scuola di recitazione; sua figlia, Oona Chaplin, compare nel Trono di Spade e in Taboo. Salinger non risparmierà critiche e sarcasmi verso Oona e Chaplin per il resto della sua vita, e l’unico commento di Oona su di lui, rilasciato in un’intervista, è: “Ci ha coperti di disprezzo per anni: posso solo dire che sono felice di essere la moglie di Chaplin, e non di Salinger”.
venerdì 2 settembre 2022
Salinger / A Perfect Day for Bananafish
Illustration by Jonny Ruzzo |
Illustration by Jonny Ruzzo |