Mina Loy, la vita di una poetessa bohémien
"Per rimanere sconosciuta, il rischio che scelsi fu di farmi poetessa".
Di Sara Marzullo
05/ 09 / 2022
C’è una foto, scattata di fronte al Jockey Club di Parigi nel 1923, in cui compaiono Man Ray, Ezra Pound, Jean Cocteau, Kiki de Montparnasse e Tristan Tzara insieme in mezzo ad altri volti più o meno noti. È una via di mezzo tra la foto di gruppo di amici e di un movimento artistico, i cui componenti spiccano per il carattere con cui posano e per come sono vestiti; in un certo senso, sono esattamente come ci immaginiamo gli artisti del Novecento. In prima fila, in ginocchio, c’è una donna voltata verso sinistra, sorridente, con indosso una pelliccia e un cappellino che pare una corona: si chiama Mina Loy.
Il suo nome probabilmente dirà niente, ma c’è stato un tempo, quello immortalato nella foto, in cui Pound sosteneva che l’unico poeta in America a produrre qualcosa di interessante fosse proprio lei, insieme a William Carlos Williams e Marianne Moore. Le sue poesie circolavano nelle riviste e il suo nome nelle cronache mondane, anche se qualcuno sospettava che Mina Loy non fosse una persona reale bensì un personaggio di finzione tanto era inconsueta. Poi delle sue opere si è smesso di parlare e piano piano anche di lei. Con tanti artisti e, soprattutto, artiste, il tempo non è sempre un gentiluomo; se è vero che aiuta a distinguere il talento dalla fama, a far sopravvivere poche e meritevoli voci, è anche vero che tra i sommersi ci sono tante personalità che, per caso o per sfortuna, svaniscono nel niente, magari per essere ripescate decenni dopo da lettori attenti, come nel caso di Bette Howland o Lucia Berlin. Mina Loy fa parte di questa seconda squadra, ma, se la sua arte si è perduta, il suo nome ha continuato a comparire nei racconti delle biografie di grandi del tempo come Djuna Barnes, Constantin Brancusi, Ernest Hemingway, James Joyce, Gertrude Stein, Wallace Stevens, e William Carlos Williams. La si trova come modella negli esperimenti fotografici di Man Ray, insieme a un’altra delle donne di quel gruppo, la più famosa Kiki de Montparnasse. Se Mina Loy aveva un talento, era quello di circondarsi di persone interessanti, delle migliori menti delle sue generazioni, di aver attraversato amori e continenti diversi, correnti e ambiti artistici in un baleno.
Riannoda i fili della sua storia Roger L. Conover nella introduzione a The Lost Lunar Baedeker, la lunga raccolta poetica di Mina Loy, pubblicata in Italia da Rina Edizioni, nella collana diretta da Luciano Funetta, con la traduzione di Marco Bartoli. L’introduzione si apre con Mina Loy e Marcel Duchamp che la sera del 25 maggio 1917 si fanno strada verso la “Cuccagna Pagana”, una festa in cui ognuno dei partecipanti poteva vestirsi come voleva, ignorando i dettami del genere, alla Webster Hall del Greenwich Village. L’aneddoto, contenuto anche nella preziosa biografia di Carolyn Burke che ha avuto il pregio di aver trasformato Loy da guest star a protagonista, spiega qualcosa della trasgressione delle norme che entrambi gli artisti avevano entrambi ampiamente praticato.
Se Duchamp, che aveva reso un orinatoio un’opera d’arte, si era fatto fotografare vestito da donna come Rrose Sélavy, Loy aveva scardinato le convenzioni femminili con le proprie scelte di vita. Abbandonata l’esistenza vittoriana dell’Inghilterra in cui era nata, Loy vive in giro per l’Europa, studiando e frequentando l’ambiente bohémien delle capitali. In una di queste avventure conosce il primo marito, un inglese di buona famiglia, con cui, nonostante il matrimonio finito, si trasferisce a Firenze, dove frequenta i salotti letterari e, soprattutto, i futuristi, diventando una di loro. “Piazze / Palazzo Pitti / E Paszkowski / Tutto questo a Firenze”, scrive in una poesia dedicata al futurista Giovanni Papini.
Proprio qui nel 1914 redige un manifesto femminista furente e rivoluzionario: “Il movimento femminista alle presenti condizioni è Inadeguato”, dichiara, “Donne se volete realizzarvi—siete alla vigilia di uno sconvolgente rivolgimento psicologico— tutte le vostre coccolate illusioni devono venire smascherate—le bugie di secoli se ne devono andare—siete pronte allo Strappo—? Non ci sono mezze misure—nessun grattare la superficie del cumulo di rifiuti della tradizione, porterà Riforme, l’unico modo è la Totale Demolizione”. Poi scrive poesie sul parto, - “Sono il centro / Di un cerchio di dolore / Che eccede i propri limiti in ogni direzione”-, sugli amanti, sul sesso -"Ci saremmo potuti accoppiare / Sotto la tirannia di un istante allettato"-; quando le fanno notare che dovrebbe cambiare tema, ci ricorda Laura Pezzino nella postfazione, Loy risponde "Io non conosco nient’altro che la vita, e generalmente questa è riducibile al sesso".
Si capisce subito che a Loy delle aspettative altrui interessa ben poco, così come delle etichette e delle carriere ben definite; oltre a futurista e femminista si dirà poi anche dadaista, surrealista, femminista, artista concettuale, modernista, postmoderna - e poi non solo poetessa, ma anche attrice, designer, stilista, scienziata. Abbandona Firenze lasciando i figli alla tata con la promessa di tornare presto, per andare negli Stati Uniti, dove, è sicura, come scrive in un saggio contenuto nella raccolta di Rina Edizione, si sta elaborando una nuova poesia. A New York si unisce proprio a questi esponenti di avanguardia, che ruotano intorno alla rivista d’avanguardia Others e, come è ovvio, ne scandalizza qualcuno, appena in tempo non per tornare in Italia, ma per proseguire per il Messico, dove aspetta il futuro marito, il pugile-poeta svizzero, il colossale Arthur Cravan. Cravan, però, morirà prima di arrivare da lei e Mina, disperata racconterà il suo lutto nel Jazz della vedova, “Cravan / colossale assente / la tua ombra sostituta / rotola alla memoria incandescente”.
Riprenderà poi questo suo pellegrinaggio tra le due coste, i due continenti e le molte vite - artistiche, sentimentali, esistenziali - che la vedono protagonista. Spiega Pezzino nella postfazione che baedeker è il nome che si dà alle guide di viaggio: a seguire la mappa lunare della sua vita ci si perde, si confonde il prima con il dopo, la destra con la sinistra e ci si ritrova con una storia pazzesca e incredibile come la sua da dover rimettere in ordine. Imprendibile eppure onnipresente, schiva eppure impossibile da ignorare, provocatoria al limite del autodistruttivo, negli anni Cinquanta dichiara per esempio di non essere neppure mai stata una poetessa: forse in questa raccolta di poesie troverete la sua vita, forse in questa vita vedrete l’opera di una poetessa.
Ci sono casi in cui bisogna che scegliere è mutilare, imparare ad accettare che gli opposti stanno insieme, che la guida di viaggio è disegnata per farti arrivare ovunque, tranne dove pensavi di andare. Quando Mina Loy scoprì che pensavano che fosse un personaggio di finzione, si presentò a un salotto letterario e dichiarò: "Vi assicuro che sono effettivamente un essere vivente. Ma è necessario starsene molto defilati... Per rimanere sconosciuta, il rischio che scelsi fu di farmi poetessa".
BAZAAR
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