Le lettere inedite di Truman Capote raccontano l'uomo dietro l'autore
Tra queste anche i pensieri intimi e malinconici dedicati a Jack Dunphy, amore della sua vita.
Antonia Matarrese
04/05/2021
Amici. Nemici. Ex insegnanti del liceo. Direttori di giornali. Colleghi. Fotografi famosi. Amori. Compagni di vita. Sono alcuni dei destinatari di centinaia di lettere, più o meno brevi, scritte da Truman Capote (1924-1984), l’autore di Colazione da Tiffany, A sangue freddo, Preghiere esaudite, Musica per camaleonti.
Frivole, spesso inconcludenti, zeppe di errori per via della fretta, queste missive riempiono ora un volume di oltre seicento pagine, curato da Gerard Clarke (che nel 1988 ha redatto la biografia dello scrittore americano) e tradotto in italiano per i tipi di Garzanti. Titolo: È durata poco la bellezza. Una bellezza che diventa “assoluta” per descrivere le case dove Capote veniva ospitato ai quattro angoli del mondo, un maglione ricevuto in dono a Natale, un musical visto a Broadway, il quaderno rilegato comprato a Firenze, la primavera a Taormina, l’autunno di New York.
Sensibile, romantico e decisamente intuitivo, lo scrittore americano si arma di carta e penna solo quando ne ha “genuinamente voglia” e lo fa per sondare l’umore degli interlocutori attraverso i “segnali luminosi” delle loro risposte, per fare pubbliche relazioni, per tenere vivo un rapporto. Tramite le lettere, Capote simula una telefonata o una chiacchierata ad alto tasso di pettegolezzo, “come se stessimo bevendo un drink insieme da qualche parte”. E lui, di drink, ne beveva parecchi. Davvero curiosi i vezzeggiativi che usa come incipit: diavoletta, piccino, sorellina, tesoruccio, cuore prezioso, radioso, agnellino, pasticcino.
Chiama “malandrino” Cecil Beaton (il fotografo preferito dalla famiglia reale inglese nonché richiestissimo scenografo teatrale) colpevole di non aver dato sue notizie per lungo tempo, chiede aiuto al suo più caro amico, Andrew Lyndon, per cercare una casa in subaffitto, dichiara tutto il suo affetto a Gloria Vanderbilt (“sei qualcuno che questo qualcuno ama ricordare”), si lamenta dei problemi economici con il suo pigmalione, Newton Arvin, e di quelli di salute con Katherine Graham, potente editrice del Washington Post, ospite d’onore del ballo in maschera e cravatta nera organizzato dallo scrittore nel 1966 all’Hotel Plaza di Manhattan. Era un lunedì piovoso di novembre e lui voleva gridare al mondo intero la sua felicità dopo la consacrazione del romanzo A sangue freddo, definito l’evento editoriale del decennio (un anno prima il New Yorker lo aveva pubblicato in quattro puntate).
La vera sorpresa di questo epistolario, scovato tassello dopo tassello fra collezioni private e biblioteche in giro per gli Stati Uniti, sono i pensieri intimi, teneri, malinconici che Truman Capote dedica a Jack Dunphy, suo compagno per 35 anni: ex ballerino, atletico, scrittore pure lui. Condivisero successo e decadenza. Traversate a bordo della Queen Mary e passione per i cani. Gli scriverà il 5 luglio ’72: “Sei l’unica cosa buona che mi sia mai capitata. Ti stimo e rispetto tanto. Credo che ciò sia forse più importante che amarti. Si può amare per ragioni così futili e sbagliate. Io ti amo per quelle giuste. T.”
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