venerdì 21 maggio 2021

Time Out / Giancarlo Vitali, 'condannato' alla pittura

 


Time Out

Giancarlo Vitali, 'condannato' alla pittura


FRANCESCA JOPPOLO
17 AGOSTO 2017

Giancarlo Vitali ha aspettato che lo trovassero. L’hanno trovato. Lui è sempre stato lì, bellissimo, con una moglie bellissima, sulla sponda orientale del Lago di Como senza mai alzare il telefono per chiamare un critico, per farsi notare. Ai suoi bambini, quando erano bambini, diceva: “Io sono un pittore e, prima o poi, qualcuno se ne accorgerà”.

Decenni dopo, quei rari visitatori casuali, i più sono numerosi e tutt’altro che casuali, della mostra antologica Time out dedicata all’artista di Bellano e sparsa su Milano (Palazzo Reale, Castello Sforzesco, Casa del Manzoni, con un’installazione del regista Peter Greenaway, Museo di Storia naturale, fino al 24 settembre, a cura di Velasco Vitali), si vergognano di non averlo conosciuto prima.



“Condannato” alla pittura, una pittura gestuale, energica, Vitali ha dipinto tutta la vita, ha fatto solo quello ed essendo figlio di pescatori non era scontato. Oggi dipinge poco, le forze sono meno forti, e ne soffre. La figlia Sara lo ritrae: “È una persona decisa, il contrario di come si descrive agli altri. Tenace, rigoroso, ordinato, meticoloso. Per certi versi è doppio perché è emotivo e passionale, ma molto determinato. Non si è mai voluto spostare da Bellano, dal lago, dove ha il suo baricentro e per nulla al mondo se ne sarebbe andato”.

Ci vuole una determinazione ferrea per non pubblicizzarsi e per mettere in un ripostiglio la celebrità quando qualcuno ti pubblicizza portandoti onori e guadagni. La determinazione di tenere più alla libertà che al proprio luccicare. Vitali aveva cinquantaquattro anni, nel 1983, quando Giovanni Testori rimase affascinato da lui. Testori, storico dell’arte, drammaturgo, critico letterario, dipingeva, ma era troppo onesto per sentirsi pittore. Vitali e Testori divennero molto amici e quando nel 1993 Testori morì, in un ricovero sopra Varese, Vitali annunciò: “Ora posso andare in pensione. Quello che volevo, la fama e gli aspetti commerciali, l’ho avuto da un uomo nel quale avevo fiducia e adesso basta”. Inoltre, Vitali ha sempre pensato di non aver tempo da perdere per vedere questo o quello.

Adesso basta? Sara Vitali si è ribellata e nel 2006 ha creato l’archivio delle opere paterne: “Dentro di me non ho mai pensato di essere la figlia di Picasso, ma lui era nel posto sbagliato e non volevo lasciare a mia figlia e ai nipoti un’eredità con delle ombre. Con l’artista in vita non ci sono ombre, quello che ci ha dato, ce lo ha dato lui, quello che ci ha detto, ce lo ha detto lui. Gli ho chiesto che ci donasse tutto in cambio di un vitalizio e di un corpus di opere da mantenere. È sveglio, ha capito che l’offerta era conveniente e ci ha donato tutto, anche se a volte spunta ancora qualcosa… La mostra di Milano è il culmine di questo lavoro, sono molto soddisfatta”.




L’Archivio fa sì che alcuni quadri “tornino”, richieste di autentica, storie, soprattutto dagli anni Cinquanta, tempi in cui Vitali, con un misto di malavoglia nel piegarsi alle necessità e di stupore da figlio di pescatori nell’essere pagato per “divertirsi” faceva i necessari compromessi per campare. Un signore che ha prestato con diffidenza un’opera l’ha vista in mostra ed è rimasto senza parole: “Non mi ero reso conto di avere un quadro così importante”.

Ritrattista eccezionale, Vitali smise quasi subito di dipingere per compiacere il ritrattato. Sara racconta che era velocissimo e gli bastavano poche decine di minuti: “Mia sorella Paola ha raccontato che era noioso posare per tre ore. Ma quali tre ore! Papà impiegava quindici, venti minuti. Semmai il fallimento del ritratto era pesante: posare e non vedere il risultato”.

Andrea Vitali, non parente ma compaesano, medico e scrittore, ha cominciato a ritrarre Vitali con le parole, prima di conoscerlo, poi ne è diventato il dottore infine un amico. Scontroso, ansioso, ozioso-ermetico, lunatico, meteoropatico-rigido, timido, sapido-solingo, epigrammatico-nostalgico, e simpatico sono alcuni degli aggettivi con i quali lo descrive. “Giancarlo Vitali non esce quasi mai di casa e le rare volte in cui lo fa coincidono con il funerale di un amico o di un conoscente. Ha tempi di lavoro che sfuggono al circadiano ritmo degli ormoni. A volte invece di parlare, sentenzia. Ed altre, anziché parlare, tace, e lungamente. Erra, per lo più nel suo studio. Fuma qualche sigaretta. Parla correttamente il dialetto - scrive il Vitali delle parole sul Vitali dei colori -. Lo sfavorisce il vento che soffiando dentro e fuori di lui disordina la sua emotività. Io posso solo spiare di non averlo mai visto con il pennello in mano, né mai lo vedrò. Per l’ordinaria ragione che l’uomo, quando concepisce, vuole e deve essere solo”.

Con questo artista, che ha sempre avuto lo studio in casa, la moglie abita dal 1959, a lui dedita. Vivono soli, in una casa spaziosa, sprovvisti di un aiuto fisso che non vogliono, sostenuti da tre figli, Velasco, Sara e Paola, molto amorosi, ma lontani. Una coppia notevole: “Sono un po’ impegnativi per gli altri, con i continui battibecchi, ma nei momenti difficili viene ribadita da entrambi la fortuna dell’incontro - spiega Sara -. La mostra gioca sulla coppia, anche su coppie immaginarie: persone forzatamente messe insieme. Come dire: l’uomo e la donna? Boh! Sulla parete di apertura un ritratto della mamma da sposa, vestita con un abito stile Audrey, al ginocchio. Un dipinto bianco, alla Casorati. E un altro della mamma incinta di Velasco, con i limoni, perché era agosto, e alla fine della gravidanza lei mangiava limoni”.

Una coppia notevole che ha generato Velasco, pittore dalla fine del liceo, Sara, editrice, Paola disegnatrice di scarpe: “Siamo molto legati alla mamma e al papà. Abbiamo fatto di tutto per assisterli negli inciampi di salute. Siamo un clan e, da adulti, ce ne siamo fatti una ragione, ma da piccoli quando si vuole assomigliare agli altri era dura da spiegare: papà fa il pittore, non esce la mattina, non torna la sera, non andiamo in vacanza, non esistono sabati e domeniche”. A quattordici anni, Sara andò in collegio dalle suore a Milano: “Ed è stata la mia salvezza. In una famiglia specializzata se non te la senti di seguire la specializzazione è meglio cambiare strada”.

Sua nonna Rosa, madre del padre, aveva il coraggio di preferirla e ammetterlo, alla faccia del “per me siete tutti uguali”. Sara spera di somigliarle. I Vitali erano la famiglia di pescatori più importante della zona, la nonna, dopo aver lavorato in fabbrica (Bellano, grazie all’orrido è sempre stata ricca di energia acquatica e dunque di filande redditizie), aveva aperto una pescheria dove vendeva i pesci che il marito pescava e in quel buchetto cucinava piccola rosticceria. Sara odiava l’odore del pesce, le piaceva solo l’immagine settembrina ed eroica dei pescatori con le gambe immerse nel pesce. Pesci identitari: gli agoni, che sono sarde di acqua dolce e diventano missoltini dopo un gioco di sale e torchietti. C’erano i gamberi d’acqua dolce, ma non ci sono più.

Quando un pesce era particolarmente grande arrivava a domicilio per essere fotografato e dipinto. Nella mostra milanese ce n’è qualcuno consegnato all’immortalità.


WSI





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