SANDRO PERTINI: INTERVISTA A PLAYBOY 

(1982)

Una lunga conversazione esclusiva col presidente italiano, il più amato in tutta la storia della repubblica, che parla apertamente di politica, fascismo, droga, terrorismo, guerra, amore
Ecco qui Sandro Pertini, il presidente delta Repubblica. Dopo Luigi Preti, dopo Alano Pannella, dopo Giorgio La Malfa (e altri che verranno), possiamo finalmente intrattenerci, a tu per tu, con il nostro presidente più amato e più popolare. La prigione patita in gioventù, la Resistenza, la moglie Carla, Carmelo Bene (il suo attore preferito), gli extraterrestri, il terrorismo, le sue «fughe» dal protocollo e dal Quirinale. In questa intervista si parla di lutto, e qualcosa di più. Il colloquio si è svolto al Quirinale, nello studio del presidente; e anche l’intervistatrice, dobbiamo dirlo, era, net suo ambito, un personaggio d’eccezione: Olga Bisera, la bella e simpatica attrice jugoslava che sta rivelando doti eccellenti di giornalista d’assalto. Ha intervistato e sta intervistando, oltre a Pertini, personaggi politici di tutto il mondo.
PLAYBOY: Signor presidente, sin da giovane lei si è occupato di politica, senza mai cedere a compromessi. Eppure è un convincimento diffuso che nell’attività politica sia impossibile conservare le mani pulite. Lei come c’è riuscito?
PERTINI: Non sono del parere che nella politica sia difficile conservare le mani pulite. Conosco molti uomini che da anni si occu­pano di politica e hanno ancora le mani pulite, come lei dice.
PLAYBOY: È possibile, insomma, ma a che prezzo?
PERTINI: Non saprei, ma le posso raccontare un episodio del periodo in cui ero alla segreteria del Partito socialista, quando un compagno, un imprenditore di Napoli, fu mandato da me per chiedermi una racco­mandazione per il ministro dei Lavori pub­blici (il socialista Romita, che poi passò ai socialdemocratici). Nel momento in cui al­zavo il telefono per chiamare il ministero, questo bel tipo mi disse: «Sai, poi ci potreb­bero essere dieci milioni per te». Allora ac­cadde il finimondo, lo mandai via dandogli anche del mascalzone. Tutti i funzionari di via del Corso uscirono dai loro uffici per sentire che cosa accadeva. Gli gridavo: «Io non ti denuncio perché non ti voglio rovinare». Questo accadde nel primo dopo guerra; e quanto a me, sono rimasto tale e quale.
PLAYBOY: La sua presenza al Quirinale ha probabilmente rafforzato coloro che vedreb­bero con favore l’instaurazione di una Re­pubblica presidenziale in Italia. Qual è la sua opinione, in linea teorica almeno, su questa riforma istituzionale?
PERTINI: All’Assemblea costituente fui deci­samente contrario alla Repubblica di tipo presidenziale e resto favorevole a quella parlamentare, a quella cioè in cui deve es­sere preminente il controllo del Parlamen­to. La Repubblica di tipo presidenziale porta a concentrare troppi poteri in un solo uomo… “
PLAYBOY: La sua funzione essenziale è quella di custode della Costituzione c so che lei l’esercita con la massima inflessibili­tà. Non le pare, però, che la Costituzione sia ancora, per una cena parte, inattuata e, per altre parti, mostri tante rughe? E che ciò costituisca una delle cause della crisi del paese?
PERTINI: Che ci siano ancora degli articoli che non sono applicati e che sono lettera morta, su questo siamo d’accordo. Però, tenga presente che la nostra Costituzione è considerata, dai pubblicisti di tutto il mon­do, una delle migliori Costituzioni che esi­stano oggi. Sono d’accordo con lei che an­che quegli articoli che dormono, sonnec­chiano un po’, dovrebbero essere applicati, è vero. E quanto alla questione del bicame­ralismo, anche durartte la Costituente si parlò di fare una Camera sola. Poi si disse: no, è meglio averne due, cosi una può con­trollare l’altra. Non vorrei andare oltre la discrezione che devo avere su questo tema, ricoprendo la carica che occupo; ma ci sono alcuni che vorrebbero ad esempio che il Se­nato avesse altri compiti, non proprio quel­li che ha la Camera.
PLAYBOY: L’Italia, in questo periodo, dimo­stra scarsa fiducia nella classe polìtica, dal­la quale sente un evidente distacco. Quale peso ha, secondo il suo convincimento, il fatto che tale classe sia per la maggior par­te composta da uomini che, per ragioni di età, non hanno conosciuto il fascismo?
PERTINI: Mah, vede, qui non le posso rispondere perché dovrei dare un giudizio sulla classe politica, e perciò accetti questa mia non risposta.
PLAYBOY: Signor presidente, la situazione critica dell’Italia ha fatto passare in secon­do piano i rapporti fra la Repubblica e la Chiesa, facilitati anche dal fatto che al Quirinale c’è un laico e al Vaticano uno straniero. Si è forse creato un «modus vi­vendi» che rende inutile, o puramente formale, la revisione del Concordato?
PERTINI: Vede, io, non appena assunta que­sta carica, ebbi un colloquio, a Castel Gandolfo con Paolo VI (era la prima volta che un papa invitava là un presidente della Re­pubblica, a quanto mi risulta). Parlammo, fu una conversazione molto cordiale duran­te la quale egli insisteva perché si giunges­se a concludere questa revisione del Con­cordato. Da parte mia, promisi che avrei sollecitato e fatto il necessario, spronando i rappresentanti del governo italiano perché cercassero di arrivare a una conclusione. Ma il papa fatalmente si ammalò la stessa sera (non per colpa mia, spero) e la cosa ri­mase in sospeso. Poi ho avuto rapporti con papa Wojtyla, di cui sono molto amico: sa che non sono credente, eppure dimostra verso di me deferenza e amicizia. Lei sa che, in un modo molto garbato, un anno fa mi ha invitato, in occasione del primo anniversario del nostro incontro, nel suo appar­tamento privato in Vaticano: dóve facemmo colazione e rimanemmo circa tre ore c mez­zo, o quattro, a conversare. Si parlò anche del Concordato e lui diceva che bisogna af­frettarsi a concludere questa revisione, per­ché ci sono delle norme che risalgono ai tempi del fascismo c che quindi devono es­sere cancellate. Dopo di che, ho ancora sol­lecitato il governo… Certo, ritengo anch’io che siamo un po’ in ritardo. Comunque si arriverà, si arriverà senz’altro.
PLAYBOY: La presidenza della Repubblica è l’osservatorio più qualificato per un giudi­zio su ciò che è ancora valido e ciò che va mutato nella Costituzione italiana. Non ri­tiene di raccogliere, a coronamento del suo mandato, tutte le osservazioni che avrà fat­to al riguardo, per renderle poi pubbliche, in un messaggio al Parlamento, che è di diritto l’organo qualificato a modificare la Costituzione?
PERTINI: No, io non sono di questo avviso: l’esperienza dei miei predecessori mi inse­gna che tutti i messaggi in materia di rifor­me costituzionali comunicati in quel mo­do sono caduti nel vuoto. Perciò io preferi­sco parlare amichevolmente e discutere di­rettamente sui problemi con il presidente del Consiglio o con i deputati e i miei collaboratori, cercando di risolvere subito, al più presto possibile.
PLAYBOY: Visto che il potere personalmente l’attrae poco, vorrei citarle questo detto attribuito a Lord Acton: «Il potere inevitabil­mente corrompe e il potere assoluto cor­rompe in modo assoluto». Su questa affer­mazione, qual è il suo pensiero?
PERTINI: Che il potere assoluto corrompa, lo direi anch’io: corrompo coloro che lo eserci­tano e corrompe chi collabora con queste persone. Il potere assoluto vuol dire repres­sione, vuol dire non democrazia, vuol dire andare contro i diritti civili e quelli umani; e abbiamo esempi di potere assoluto nel mondo da citare in proposito, anche oggi. Ma il potere in sé, se uno lo esercita, con onestà c rettitudine, con scrupolo, attenen­dosi alla legge, non corrompe di certo. Di questo sono convinto.
PLAYBOY: Passiamo invece alla democra­zia. Tempo addietro, ho sentito Giuseppe Prezzolini dire alla Tv che l’Italia è oggi un paese in totale decadenza. «Gli italiani tengono alla libertà propria ma non rispet­tano la libertà altrui. No», concludeva, «i miei connazionali non hanno mai capito niente di democrazia». Come pensa di ri­spondere al centenario Prczzolini?
PERTINI: Le dico subito che contesto questa affermazione di Prczzolini. Prezzolini è un personaggio a sé, a parte il fatto che non ha poi combattuto molto il fascismo. Qui le parla un uomo che sin da giovane ha preso parte alla lotta per la democrazia e contro il fascismo; nella mia gioventù sono stato più in carcere che alla luce del sole. Questo non per dirle quanto sono fiero del mio passato, ma per farle capire quanto Prez­zolini può sbagliare nella sua dichiarazione. Dopo tutte queste esperienze in mezzo a operai, contadini e intellettuali che si sono battuti contro il fascismo, penso di esse­re in grado di valutare in modo giusto il mio popolo c so cosa è la libertà. Non è ve­ro che il popolo italiano non sente la demo­crazia, che non sa esercitarla c apprezzare questo senso di benessere che viene dalla li­bertà. La democrazia in Italia esiste nei sindacati, nei partiti e in ogni cittadino perbene. Che ci siano poi, al margine di questi nuclei, alcuni che turbano l’ordine pubblico, questo non fa la regola; è un di­scorso che si verifica in tutto il mondo, non soltanto nel nostro paese. C’è disordine in Germania, in Spagna, in Francia, in Irlan­da del Nord. E perciò considero le afferma­zioni di Prezzolini del tutto soggettive e prive del fondamento concreto delle espe­rienze vissute in prima persona.
PLAYBOY: Nell’introduzione al libro sulle sue prigioni ed evasioni, Saragat scrive, tra l’altro: «…Pertini era della stoffa di cui so­no fatti gli eroi. La sua anima irradiava su­gli altri, dava a ciascuno la consapevolezza dell’immensità dell’opera compiuta e della validità del sacrificio». Si riferiva al suo comportamento nei tempi duri del fasci­smo. Oggi, in un’epoca meno aspra, pensa che il suo esempio irradi ancora sulla co­scienza e sull’atteggiamento degli altri?
PERTINI: Prima di tutto, respingo la qualifi­ca di «eroe»: è una parola per me retorica, e poi, rivolta alla mia persona, mi provoca quasi fastidio…
PLAYBOY: …si addice però alle imprese che lei ha compiuto…
PERTINI (quasi indignato): Ma io ho soltanto fatto il mio dovere e quando uno fa il suo dovere di democratico, ecco, non lo si deve definire un eroe. Lei conosce la Vita di Galileo, di Brecht, e quella battuta famosa?
PLAYBOY: «Sfortunato quel paese che ha bisogno di eroi».
PERTINI: Esatto. Ed è chiaro che quando un paese ha bisogno di eroi si trova in una situazione difficile, grave. E perciò in un paese non dovrebbero esserci eroi, ma si­tuazioni in cui tutti quanti possano godere della libertà in modo uguale ed effettivo, perché la libertà diventa una cosa astratta e vana se non è unita alla giustizia sociale. Certamente, chi è nella miseria, chi è disoccupato, non può pienamente godere del­la libertà. Ecco perché io, come socialista, affermo che la libertà non può essere disgiunta dalla giustizia sociale e viceversa. Esse costituiscono un binomio inscindibile.
PLAYBOY: E la sua medaglia d’oro, la mas­sima onorificenza che si dà in guerra, mi dicono che, se poteva, lei quasi la rifiutava. Perché?
PERTINI: Ma perché la medaglia d’oro si de­ve dare alle persone che hanno perso la vi­ta in battaglia, per la libertà e la democra­zia; non a quelli che hanno soltanto fatto il loro dovere. Perché di dovere si tratta e non di atti eroici, quando uno difende il proprio paese dalla dittatura e dalla repressione.
PLAYBOY: Parecchio tempo fa ho letto sul Corriere della Sera una sua lettera-testa­mento: «…Nel caso fossi sequestrato, nessu­no deve intervenire in mio favore; né il go­verno, né i compagni, né gli amici. Mi si lasci solo di fronte alla situazione in cui mi troverò, con la mia coscienza e con la mia fede». .
PERTINI: Questo accadde nel periodo del se­questro Moro. Il mio partito era per le trattative e io invece ero incerto su cosa era meglio fare. Meditai la notte intera sulla posizione assunta dalla direzione socialista e conclusi che il mio partito aveva torto. Mi rincresceva mettermi contro la direzio­ne, ma dovevo esprimere quello che sentiva il mio animo. Perciò decisi che dovevo fa­re una dichiarazione e fu questa, citata da lei, che scrissi e consegnai a mia moglie, che è stata partigiana con me e capisce as­sai bene ceTte cose. Lei mi promise che, in caso di necessità, avrebbe comunicato im­mediatamente a tutti i giornali il mio desi­derio. Perché, vede, uno potrebbe cedere a un certo momento; è chiaro che in mano ai terroristi, preso dalla paura, cedere può es­sere umano. Si deve comprendere questo. In tali circostanze il sopravvivere è un’esi­genza naturale di ogni uomo, animalesca direi. E quando c’è pericolo per la tua vita, quando la tua vita è in gioco, tu rischi di negare la tua fede o di perdere la vita… io ho vissuto varie volte simili situazioni, nel corso della mia vita, e ho sempre fatto serenamente la mia scelta, scegliendo sempre la mia fede, i miei ideali, non avendo mai 22 paura di morire. Sono stato condannato a morte dai nazisti, e già mi preparavo ad andare davanti al plotone di esecuzione al Forte Boccea: non allegramente, si capisce, perché uno ama la propria vita; ma pronto a morire gridando: viva la libertà!
PLAYBOY: A proposito di quegli anni, si racconta una storia che la riguarda: quella di aver rifiutato la grazia che sua madre era finalmente riuscita a ottenere…
PERTINI: La mia povera madre non condivi­deva la mia fede politica, come io non condividevo la sua fede religiosa. Lei era una credente ma non una bigotta, e spesso dice­va: «Se Sandro fosse un credente, sarebbe un fiero soldato di Cristo». Ma io però ho rispettato sempre mia madre che ho amato profondamente. E lei rispettava il mio mo­do di pensare, le mie decisioni e andava fiera di me e di come mi comportavo contro il fascismo. In quel caso che lei ha accennato, cosa accadde? Io ero sotto processo e mia madre venne a trovarmi proprio alla vigilia della condanna e mi disse che voleva chie­dere la grazia per me. Io le risposi: «Senti, mamma, tu mi devi promettere che, dopo la condanna, non ti farai impietosire dalla mia situazione o dalle esortazioni che ti faranno i miei amici e che quindi non farai mai domanda di grazia, perché la tua do­manda turberebbe la mia fede politica». E la mia povera mamma, pur piangendo, mi fece questa promessa. Nel frattempo mi ammalai, fui quasi in fin di vita. E proprio in quel periodo un detenuto comune uscì di galera, andò a Savona, nella mia città, parlò con dei miei amici che in seguito andaro­no a trovare mia madre. La convinsero a fare la domanda di grazia, perché, diceva­no, io ero ormai moribondo e soltanto lei poteva salvarmi. Allora, come accade quan­do una madre cerca di salvare il proprio fi­glio e si aggrappa anche al ferro rovente, lei presentò quella famosa domanda di gra­zia che io subito respinsi, con una lettera al presidente del tribunale, dicendo che non mi associavo alla richiesta perché era un’umiliazione con la quale avrei macchia­to la mia fede politica e che preferivo rinunciare alla vita. E così la respinsi. Ma non feci soltanto questo: adirato com’ero, commisi una crudeltà e rimasi per due me­si senza scrivere a mia madre. Infine, quando seppi la vera storia, di come gli stessi amici l’avevano convinta a scrivere la lettera, capii che mia madre non aveva tra­dito la promessa che m’aveva fatta e ripresi a scriverle. Ecco tutta la vicenda, nella qua­le non vedo un granché di eroico, perché io incontrai in carcere molti altri che erano pronti a morire per i propri ideali; non c’ero soltanto io. E se loro non avevano mai fatto domanda di grazia, perché allora dovevo farla io?
PLAYBOY: Sul terrorismo c’è un sua famosa dichiarazione nella quale lei alludeva a centrali, a matrici straniere… Si tratta di una sua intuizione personale o di una con­vinzione fondata su dati di fatto concreti?
PERTINI: Lei pensi alla posizione geografica dell’Italia: è una posizione strategica, un ponte democratico che unisce l’Europa all’Africa e al Medio Oriente. Se saltasse questo ponte, non solo ne resterebbe scon­volto tutto il bacino del Mediterraneo, ma si metterebbe in pericolo la pace nel mon­do. Ecco perché il terrorismo si è scatenato con tanta violenza in Italia (e in Turchia). Se saltasse poi la Turchia, essendo un ba­stione del Patto atlantico nei confronti dell’Unione Sovietica, con la quale confina, sarebbero guai grossi… Le centrali terrori­stiche non si trovano in Italia: questo è un mio convincimento personale.
PLAYBOY: Da anni, in Italia, l’«industria» dei rapimenti è una delle più floride del paese. Secondo la sua convinzione, quanto del denaro estorto serve poi a finanziare certi gruppi armati e le loro imprese terro­ristiche?
PERTINI: Certamente ricevono denaro, non c’è dubbio, ma lo ricevono anche dalle cen­trali terroristiche straniere delle quali le ho appena parlato. Si procurano i fondi anche con i sequestri di persona ed ecco perché hanno molto denaro questi criminali.
PLAYBOY: Purtroppo, le statistiche ci con­fermano che la fame nel mondo è ancora il problema più acuto dell’umanità, che però continua in gran parte a spendere miliardi per aumentare gli armamenti. Questo fatto trova la sua spiegazione in uno spirito di violenza ineliminabile della natura umana?
PERTINI: Più che nella natura umana, credo che la causa risieda nel fatto che i due bloc­chi sono sempre in corsa per armarsi, uno meglio dell’altro. Purtroppo sembra che es­si pensino che per stabilire l’equilibrio e ot­tenere la pace nel mondo, la condizione è che ognuna di queste superpotenze abbia una quantità uguale di ordigni nucleari. Di questo avevo parlato anche con Tito, ed eravamo d’accordo su questi temi. È neces­sario battersi, come aveva promosso lui con i non allineati, anche per il disarmo totale. Perché le armi non sono mai arrugginite negli arsenali di guerra, e questo ce lo inse­gna la storia, purtroppo. Ho il grande ter­rore che queste armi accumulate, così con una avidità quasi bizzarra, saranno un giorno usate e il nostro pianeta salterebbe: la distruzione dell’umanità. Oggi il disarmo si può ancora controllare, volendo; perché, mentre noi qui stiamo parlando, ci saranno 20-25 mila satelliti che si spiano l’un l’altro. E quel denaro, invece, bisognerebbe usarlo per combattere, giustamente, la fame nel mondo, un problema così assurdo nel ventesimo secolo. Basta pensare che soltan­to nel 1979 sono morti per denutrizione 18 milioni di bambini! È una strage di inno­centi che a mio avviso pesa come una con­danna sulla coscienza di tutti gli uomini di Stato, quindi anche sulla mia. Eppure si dice che la civiltà ha raggiunto una vetta altissima e la scienza anche, ma se non sia­mo in grado di superare un problema così… Si parla, ma si fa ben poco di positivo.
PLAYBOY: Signor presidente, lei è d’accordo con Amnesty International?
PERTINI: Fa molto, mette in evidenza le vio­lazioni dei diritti civili e di quelli umani…
PLAYBOY: Dimostra anche che sono nume­rosi gli Stati che violano le norme precise sancite dalle Nazioni Unite. Non sarebbe necessario che l’Onu fosse dotata di stru­menti di pressione e di intervento più effi­cienti che non le attuali dichiarazioni «pla­toniche» di condanna, non seguite da alcu­na sanzione (come nel caso dell’Afghani­stan)?
PERTINI: Posso dire che sono l’unico capo di Stato (questo è un mio orgoglio) ad avere mandato un duro messaggio di protesta allo Scià quando perseguitava i suoi avversari politici; poi ho mandato messaggi a Brez­nev, due volte! Uno anche a Husak, il pre­sidente della Repubblica della Cecoslovac­chia, appunto perché vi si reprimevano i diritti civili e umani, perseguitando gli avversari del regime. Ho la coscienza tran­quilla su questo punto. Quanto all’invasio­ne dell’Afghanistan, in tutti i discorsi che ho fatto, in Italia e all’estero, nei miei contatti con i capi di Stato stranieri, ho prote­stato come pretesto oggi e do la mia solida­rietà ai partigiani afghani che stanno com­battendo per la loro indipendenza.
PLAYBOY: Il problema energetico, il ricatto del petrolio, l’inflazione, la crescita demo­grafica sono, secondo la sua opinione, pro­blemi risolvibili o preludono invece a un peggioramento della qualità della vita per molti anni o forse per decenni?
PERTINI: Certo il problema energetico ha aggravato la situazione economica di tutti i paesi e anche del nostro, si capisce. Noi ab­biamo due milioni di disoccupati, l’In­ghilterra arriva quasi a tre milioni, mi hanno detto. Dobbiamo pensare che, fra trent’anni, i pozzi petroliferi saranno forse asciutti, anche se nel Kuwait, dove ho fatto una sosta di recente, il principe ereditario, durante una passeggiata, mi disse: «Vede, qua sotto c’è una riserva infinita di petrolio per altri cento anni». Gli risposi scherzan­do: «Allora è meglio che qua non fumi la pipa, devo stare attento ad accenderla, se non voglio appiccare un incendio». E lui rideva. Certo, dobbiamo cercare di trovare altre fonti d’energia e gli scienziati lo fan­no: l’energia solare, il carbone, che torna alla ribalta (l’abbiamo in Sardegna, anche se non di qualità ottima). E poi quello che è successo tra Iran e Iraq mette in eviden­za un altro pericolo: che queste riserve di petrolio si stiano distruggendo, mentre il prezzo del greggio, nel mondo, continua ad aumentare… Devono stare molto attenti quei paesi produttori di petrolio che accu­mulano dollari sopra dollari a non finire, come re Mida…
PLAYBOY: Lei, come ha ricordato, ebbe oc­casione di incontrare Tito. Vuole ricordare qualche episodio inedito?
PERTINI: Eccone uno che mi viene in mente per primo. Nel 1979, mi recai in visita in Jugoslavia, come lei ricorda. Dopo l’acco­glienza per le strade di Belgrado, veramen­te calorosa, e le grida della gente: «Sandro! Sandro!», che mi facevano sentire come a casa mia e che mi commuovevano, si arrivò a un ricevimento che Tito aveva offerto in mio onore. Un banchetto di cui non mi ri­cordo l’eguale nelle mie visite ufficiali. Vi furono i brindisi di Tito, il mio, le danze folcloristiche, i canti popolari jugoslavi; tut­to era talmente diverso, talmente sponta­neo. Dopo il mio discorso, sentii questo commento: «…Si vede che il discorso di Pertini non era stato preparato dai suoi collaboratori, ma era suo, veniva dal suo cuore…». E difatti era così. Comunque, do­po questa meravigliosa serata, mi stavano riportando in albergo. Erano le dieci e mezzo. Io ero in un tale stato euforico che, nonostante le regole protocollari e impau­rendo gli ufficiali jugoslavi di sicurezza, andai con il mio strettissimo seguito nell’unico posto aperto in città. Si chiama­va «I tre cappelli» ed è, come lei sa, un lo­cale di Belgrado molto famoso. Entrammo, e tutti mi riconobbero. Vi fu un applauso festoso e poi tanta musica, a tutti faceva piacere vedermi tra loro. Ci fu anche una zingara che venne a leggermi la mano. Co­sicché la serata finì quasi all’alba. Il giorno dopo raccontai tutto a Tito c lui rise a lun­go, dicendomi: «Mi avevano già detto che lei era andato ai ”Tre cappelli”. È un po­sto dove vanno tutti i buongustai di Belgra­do. Ha fatto bene».
PLAYBOY: Signor presidente, cosa pensa della censura?
PERTINI: Per quanto ne so, sembra che si stia instaurando una maggiore cautela… Certi censori hanno ammesso da soli di avere esagerato, riguardo al pudore. Ma non si stupisca se le dico che, quanto ai film violenti, io vedo volentieri quelli poli­zieschi e quelli western: ma americani e francesi, perché gli italiani non sanno fare i film polizieschi.
PLAYBOY: Lei ama lo spettacolo. Quali sono i suoi attori preferiti?
PERTINI: Il mio attore preferito è Carmelo Bene. Apprezzo molto questo artista. Quando sono andato a vedere lo spettacolo nel quale recitava le poesie di Majakovskij, l’ho trovato straordinario. Poi siamo andati a cena e siamo rimasti a chiacchierare fino alle due e mezzo di notte. Siamo amici, la sua voce è un organo, conosce veramente il mestiere, i giovani applaudivano frenetica­mente alla fine del suo spettacolo. Quanto al cinema, non mi ci lasciano andare perché dicono: le luci si spengono, quando ini­zia il film, e allora possono farmi qualche scherzo. Ma qualche volta portano qui al Quirinale alcuni film. Ho visto L’uomo di marmo, per esempio, poi film con Monica Vitti, di cui sono un grande ammiratore. Mi porteranno altri film da vedere, ma quando avrò meno da fare, non adesso…
PLAYBOY: Si ricorda di Romeo e Giulietta, signor presidente? Ecco, Shakespeare ci in­segna che l’amore può essere così impor­tante, così vero come la morte. Questo, una volta. Oggi, invece, si direbbe che l’uomo è incapace di tanto sentimento. Ma è davvero inevitabile che il cosiddetto progresso ci im­poverisca invece di rafforzare in noi certi valori umani? Ne vale la pena?
PERTINI: Io credo che se l’umanità rinuncia all’amore vero si impoverisce senz’altro, perché allora tutto diventa meccanico, arti­ficiale nei rapporti tra due persone. Trop­pa consuetudine, superficialità e troppa abitudine. Mentre invece l’amore vero co­me lo intendo io, senza essere antiquato, l’amore che io sento per mia moglie, per esempio, deve stare alla base di una società sana. Non c’è dubbio. E non vale cambiarlo con altri valori artificiosi, come spesso si fa oggi.
PLAYBOY: So che lei è un lettore instancabi­le e perciò le chiedo: Alberto Moravia è per molti il miglior narratore italiano del no­stro tempo. Eppure, un suo libro, La vita interiore, è stato giudicato «palesemente e disgustosamente osceno, privo di pretese ar­tistiche o scientifiche». Come si possono conciliare questi due giudizi così contra­stanti?
PERTINI: Il Moravia che ho più amato è quello degli Indifferenti, che ho letto in carcere. Mi dissero che l’aveva scritto un giovane di vent’anni, un ammalato. In quel romanzo avevo allora visto un nuovo Dostojevskij e lo dicevo agli amici, quando si parlava di questi argomenti. Lo dissi anche a lui, tanti anni fa, a una cena alla quale partecipammo entrambi; gli dissi inoltre che, anche se non mi accadeva spesso, quel libro l’avevo letto interamente due volte.
PLAYBOY: Ognuno di noi ha un amore indi­menticabile, è una prerogativa dell’essere umano, direi. Questo vale anche per lei, si­gnor presidente? Ha avuto molti amori im­portanti nel suo passato?
PERTINI: Il mio amore vero è mia moglie Carla. Ha condiviso la mia vita di partigia­no, i rischi e i pericoli della rivoluzione, es­sendo lei stessa partigiana. E stata allora il mio grande amore e lo è tuttora, nonostan­te gli anni. Lei ha 25 anni meno di me…
PLAYBOY: Si è parlato molto del suo viaggio in Cina, fu anche il primo in cui sua mo­glie la seguì. Di solito non la segue mai. com’è consuetudine di altre mogli di capi di Stato. Per qualche motivo?
PERTINI: Carla non vuole fare la prima don­na d’Italia, ha deciso così perché vuole che io mi dedichi indisturbato al mio lavoro… e lei al suo. Perciò aveva deciso di non se­guirmi nei miei viaggi. Quella volta aveva voluto conoscere la Cina e farsi fare una cura; ma è stata oggetto di critiche e di po­lemiche per le quali ha molto sofferto.
PLAYBOY: Personalmente ho apprezzato molto quella sua reazione nel difenderla dagli attacchi dei giornalisti. Mi ha rivelato molta tenerezza umana e molto rispetto…
PERTINI: Forse non dovevo reagire in quel modo ma, d’altra parte, quale marito non difenderebbe sua moglie vedendola indifesa e in difficoltà?!
PLAYBOY: Presidente, lei è un capo di Stato, ma in famiglia chi sta al volante della vet­tura, lei o la signora Carla?
PERTINI: Nessuno dei due comanda in casa; o comandiamo entrambi, si potrebbe dire. Dipende dalle circostanze. Agiamo come due persone che si vogliono bene, da buoni amici, prendiamo delle decisioni insieme e andiamo molto d’accordo. Io sono molto grato a mia moglie per la decisione di non venire qui al Quirinale, al contrario delle mogli dei miei predecessori. Perché io, do­po che ho finito il mio lavoro al Quirinale, torno a casa mia come un qualsiasi impie­gato dello Stato, e ritrovo così la mia di­mensione umana. Si legge, si sta insieme, si parla; ognuno fa quello che vuole. Mia moglie si è specializzata in psicologia e spesso va a Firenze per dei seminari. Aiuta i giovani che hanno dei problemi…
PLAYBOY: …alla Croce rossa italiana ho sentito parlare molto dei meriti della signo­ra Carla. Ho sentito diversi episodi come quello di quando ha salvato una ragazza di 16 anni, figlia di un magistrato, sottraendo- la alla droga. Il padre non voleva più sen­tirne parlare e perciò lei viveva con gli aiu­ti che le dava sua moglie.
PERTINI: Carla diffida molto della stampa e forse per questo può destare qualche anti­patia, ma la sua vita è piena di atti di be­neficenza simili a quello che mi ha raccon­tato lei. È libera nelle sue scelte. Quando fui eletto presidente, lei si sentì subito qua­si angosciata, e poi mi disse: «Guarda, San­dro, ormai sei stato eletto, tu fai il tuo lavo­ro, io il mio, e a sera ci vediamo a casa co­me tutta la gente comune». Io accettai que­sta proposta come un ragionamento intelli­gente e una soluzione ideale per noi due.
PLAYBOY: Per la sua energia e la sua incre­dibile vitalità, mi viene in mente un bel detto di Clemenceau che le si addice alla perfezione: «Quando si è giovani, lo si è per sempre». Mi dica, dove sta il segreto della sua eterna giovinezza di spirito che la fa tanto amare dai giovani?
PERTINI: Prima di tutto ho la coscienza tranquilla e la fede che arde nel mio ani­mo. Poi io amo la tavola per un fatto convi­viale, cioè per lo stare insieme, discutere,  parlare con gli amici, ma non sono ingordo nel mangiare, per niente. Io, per esempio, pasteggio ad acqua, non bevo vino, evito l’alcol; prendo sì, ogni tanto, un grappino di montagna. Per esempio questa sera la mia cena sarà un pezzo di formaggio, un po’ di frutta cotta e un bicchiere d’acqua e basta. E poi mi piacciono le lunghe passeg­giate come quelle che faccio ogni estate in Val Gardena, sulle Dolomiti. Inoltre sto volentieri con i giovani e loro sentono la sincerità con la quale li incontro, chieden­dogli di farmi domande. E loro le fanno, mi chiedono le cose più serie. Infatti, anche oggi ricevo spessissimo i giovani scolari provenienti dalle nostre regioni e non faccio loro i discorsi che fanno venire la barba, ma discutiamo di tutto quello che occupa le lo­ro testoline. Hanno un istinto quasi animalesco, si accorgono quando un anziano fin­ge, e allora ecco perché mi amano quanto li amo io… e mi piace molto andare incontro ai giovani… condividere le loro ansie e aspirazioni, significa mettersi nel loro ani­mo e nella loro età…
PLAYBOY: Spesso, nei suoi discorsi rivolti ai giovani, lei ha affrontato l’argomento scot­tante della droga. Lei ha fiducia nell’azione repressiva condotta dalle autorità contro gli spacciatori, o non teme che i trafficanti possano godere di qualche protezione, an­che politica?
PERTINI: No, no, da parte dei politici non credo. Però che ci siano questi capi mafiosi e che le organizzazioni godano della loro protezione, questo sì. Non vi è alcun dub­bio che la malavita sia congiunta alla droga, nel mondo, e che le organizzazioni d’Euro­pa siano collegate con quelle da dove viene la droga, la Thailandia, la Turchia e altri paesi d’Oriente. Per i drogati, sono d’accordo con mia moglie che lavora proprio in questo campo e cura i tossicodipendenti, come lei sa. Col drogato, lei mi dice, ci vuole molta umanità, pazienza e bisogna stargli vicino, parlargli e comprenderlo. Perché se al tossicodipendente non si offre tale assistenza, si emargina e se è emargi­nato non si riprende più. Carla riesce bene a portarli fuori dal tunnel della droga e spesso mi racconta i fatti più penosi di que­sti poveri ragazzi. Lei ha la pazienza di stare lì a parlare con loro per ore e ore, il che fa parte della cura disintossicante. Ma se uno ricade di nuovo, allora purtroppo non si salva più, mi dice mia moglie.
PLAYBOY: Certo, parlando della dedizione di Carla Pertini, non possiamo non render­ci conto di trovarci di fronte a una first lady inconsueta; ma anche lei, signor presi­dente, ha un carattere fuori del comune. Quante volte la sua schiettezza le ha pro­curato attriti, inimicizie?
PERTINI: Sì, sì. Vede, io sono un estroverso e questo mio temperamento, che ho eredi­tato da mia madre, è passionale: spesso non so nascondere il mio pensiero, e se accade che uno sbaglia, lo dico apertamente, e na­turalmente ciò crea delle antipatie. Ma so­no capace egualmente di riconoscere questo mio difetto, se è un difetto, e ricomporre l’amicizia perduta. Prendiamo un caffè, ci stringiamo la mano come prima e mi sento meglio, allontanando da me il rimorso di aver offeso un amico e un’ombra dalla mia coscienza. Perché non sono d’accordo con quello sciagurato che diceva: «Molti nemi­ci, molto onore». No, io desidero avere mol­ti amici. Riconosco di avere un brutto ca­rattere e forse devo stare attento a non sciupare le mie amicizie, questo è vero…
PLAYBOY: Passiamo a un altro argomento. Rilevazioni scientifiche recenti ci fanno ri­tenere che l’uomo possa, un giorno, trovare esseri viventi su altri pianeti dell’universo e anche comunicare con loro. A proposito di extraterrestri, lei è schierato fra quelli che ci credono o fra gli scettici?
PERTINI: No, non ci credo, sono scettico, an­che se spesso mi dico: chissà se sulle altre galassie si trovano altri esseri viventi, ma­gari diversi da noi. Perché dovremmo esi­stere soltanto noi sulla Terra?
PLAYBOY: La sua risposta mi delude un po’. Io speravo che lei fosse tra coloro che credono agli extraterrestri.
PERTINI: Che abbia qualche dubbio, sì: ma non avendo nessun segnale concreto o fatti convincenti, rimango scettico, per adesso… Può darsi che esistano altri mondi abitati oltre al nostro, ma non ne sono certo…
PLAYBOY: Ha sentito parlare sicuramente del famoso Blue Book americano dove sono stati registrati molti episodi di questo tipo, misteriosissimi, ma segnalati da ufficiali dell’aeronautica statunitense…
PERTINI: Sì, sì, ho sentito parlare di questo libro, ma nelle conclusioni si è sempre rife­rito che si trattava di fenomeni terrestri.
PLAYBOY: Crede anche lei, come ad esem­pio Moravia, che tutta la nostra esistenza si esaurisca su questa Terra? E in tal ca­so, che compito supremo deve porsi resi­stenza stessa?
PERTINI: Non credo nell’aldilà. Spesso penso a mia madre come se fosse accanto a me, ancora viva. Ma questo è un mio intimo stato d’animo che viene dall’amore, dal ri­spetto che avevo per lei, ed è comune a molti figli. È il ricordo che mi lega a lei, più che una fede nell’aldilà. Questo l’ho fatto capire anche al papa, che però non mi ha detto nulla, per un senso di delicatezza: non voleva darmi l’impressione di volermi catechizzare; è rimasto zitto, rispettando il mio punto di vista. Io e mia moglie abbia­mo deciso per la cremazione, dopo la nostra morte; come si è fatto con mio fratello.
PLAYBOY: Signor presidente, lei si è sempre detto ottimista, ma crede davvero che l’umanità non permetterà mai più un’espe­rienza simile a quella di Hiroshima e Na­gasaki? L’uomo di domani sarà davvero più saggio di quello di ieri?
PERTINI: No, su questo sono pessimista. E un pessimismo che mi tormenta, che mi inquieta. Ecco perché, a rischio di render­mi noioso, non manco mai di ricordare a tutti che io sono per il disarmo totale e con­trollato. C’è in me un’angoscia continua. Pensi, ad esempio, se un piccolo paese riuscisse ad avere, un domani, la bomba ato­mica, cosa potrebbe accadere.
PLAYBOY: Fu una fortuna che a suo tem­po Ciu En-lai si fosse rifiutato di venderla a Gheddafi, quando Jallud andò in Cina per questo motivo…
PERTINI: Una vera fortuna, sì. Comunque le riferirò un episodio che illustra molto be­ne il mio pessimismo. Mi è stato riferito da uno dei più grandi giornalisti del mondo, che scriveva l’articolo di fondo del Washin­gton Post, professore di filosofia, adesso è morto… Questo grande giornalista mi raccontò che il radar americano dell’Alaska aveva segnalato uno stormo di bombardieri sovietici puntati su New York. Gli ameri­cani decisero allora di mandare un loro stormo sull’Unione Sovietica, su Mosca. Il radar dell’Alaska continuava a informare: «Guardate che lo stormo sta avanzando, so­no sempre più vicini a New York!». A un certo momento, interruppero le trasmissioni radar e gridarono: «Ci siamo sbagliati, era uno stormo di uccelli!». Va bene, le condizioni del tempo erano pessime, ma si immagina lei se in quell’attimo l’errore non fosse stato intuito, scoperto, che cosa sareb­be accaduto? C’era anche un film ispirato a questo episodio incredibile. Poi ammet­tiamo anche questo: se un apparecchio elet­tronico non avesse funzionalo nel momento in cui gli americani ordinavano ai loro ae­rei, dopo che avevano scoperto l’errore: «Tornate indietro! La missione non si deve più compiere!». L’ordine sarebbe stato ese­guito e si sarebbe arrivati al finimondo. Questo sarebbe stato un errore fatale dovu­to a uno sbaglio tecnico. Quanto a uno sba­glio politico: lei sa che navi sovietiche si erano presentate davanti a Cuba, anni fa, quando John Kennedy era presidente. Eb­bene, queste navi portavano missili da col­locare a Cuba. Lei sa il rischio che in quel caso corse l’umanità? Guardi che se doma­ni una nave americana viene bombardata nel Golfo Persico è la fine! La guerra si scatenerebbe… Ecco perché sono pessimista, purtroppo.
© Olga Bisera e Playboy
Playboy, Gennaio 1982