Belle Epoque
Il vino alla coca che piaceva a papi e re
di Thomas Pennazzi
15/02/2016
C’era una volta la coca, pianta medicinale del Sud America, che per qualche decennio fu regina delle bottiglie di mezzo mondo, maritata a vini ed a liquori. La storia è ben nota, ma raccontiamola ancora, a beneficio dei nostri lettori: tutto cominciò dagli studi di un grande personaggio ora dimenticato, il medico monzese Paolo Mantegazza, il più illustre ed eccentrico clinico italiano del secondo Ottocento, popolarissimo divulgatore scientifico – all’incirca un cocktail tra Piero Angela, Umberto Veronesi, e Timothy Leary, se vogliamo comprenderne la figura oggi – il quale, come fisiologo, igienista, etnofarmacologo ante litteram, e cultore di antropologia, trascorse alcuni anni lavorando nel Sud America. Qui conobbe la coca ed il suo uso tra i nativi, e fu il primo europeo a studiarla clinicamente.
Innamoratosi delle virtù di questa pianta, vero donum Dei quando utilizzata negli altopiani andini e secondo le tradizioni, il professor Mantegazza, cogliendo lo spirito positivista del tempo, ne divenne ardente divulgatore con un suo celebre scritto, presto diffuso in tutta Europa. Quanto ciò fosse entusiasmo scientifico o di consumatore, non sappiamo; di certo come medico egli doveva aver sperimentato in proprio il potenziale d’abuso dell’arbusto sudamericano. Tuttavia le conoscenze del tempo e gli effetti “stupefacenti” sull’organismo portavano a sottovalutarne i rischi, così per la coca come per altre sostanze psicoattive allora in voga.
Ma nella storia si inserisce un farmacista: ebbene sì, ancora loro, sempre tra i piedi quando si parla di liquori ed elisir. Il nostro aveva nome Angelo Mariani, e non si trattava di un brianzolo bensì di un corso. Questi, letto il peana del Mantegazza alla coca, essendo molto più imprenditore dell’illustre clinico, non ci pensò due volte ad immaginare o’ businesse: nel 1863 fece arrivare a Parigi le preziose foglie dal Sud America e le maritò al vino di Bordeaux, inventando il Vin Tonique Mariani (à la coca du Pérou), il più mirabolante successo commerciale del secolo. Fu probabilmente il canto del cigno degli ippocrassi, ovvero dei vini medicati di medievale memoria.
Il Vin Mariani, immediatamente divenuto celeberrimo su entrambe le sponde dell’Atlantico, altro non era che un’infusione nel vino di foglie polverizzate, o più probabilmente un vino addizionato di un estratto alcolico di foglie di coca, in modo da ottenere una concentrazione di cocaina fissata per litro, in dose quantitativamente modesta, ma che beneficiava della sinergia dell’alcool. Il suo potere medicinale era completato dall’effetto delle altre sostanze della foglia della coca. Il vino così preparato sembra avesse una gradazione di 10°, e un titolo di 6,5 mg di cocaina per oncia fluida (30 ml).
Reclamizzato abilmente dal Mariani, che aveva un notevole senso del marketing, il prodotto veniva esaltato con ogni mezzo di comunicazione disponibile all’epoca, e qualche anno dopo, per mezzo dei suoi più prestigiosi consumatori, diventati testimonials. Celebri i suoi Albums Mariani, eleganti libri litografati dedicati al vino medicinale, contenenti i profili degli illustri clienti, con le loro biografie, i ritratti, e le lettere di ringraziamento al produttore: ne vennero distribuiti 64 milioni di copie in un ventennio. Regnanti, papi, scrittori, attrici, politici, scienziati, inventori, artisti, tutto il bel mondo europeo ed americano ne vantava le virtù toniche, digestive, ricostituenti, contro l’impotenza, la melanconia, l’affaticamento, il mal di mare, eccetera: virtù ragionevolmente fondate, non fosse che il Vin Mariani generava dipendenza. Una dote fantastica per il venditore, che divenne ovviamente ricchissimo per mezzo della sua brillante invenzione. Enorme pubblicità ne venne anche da papa Leone XIII, grande consumatore, che definì il Mariani «benefattore dell’umanità». Cosa volere di più?
L’industria prosperava così bene che verso il 1880 il Mariani era il principale importatore europeo di coca, ed anche fabbricante di pillole, polveri e tavolette per la cura della gola, e di un elixir tre volte più concentrato del suo famoso vino. Ma girato il secolo, si cominciò a guardare con maggior disincanto a questo prodotto, che venne man mano vietato da tutte le nazioni per essere diventato, da medicinale che era, un vino ‘ricreativo’, perciò fonte di abusi, ed un potenziale pericolo per la salute dei consumatori. Dopo che gli Stati Uniti restrinsero la vendita delle bevande cocate, il Mariani ne modificò la formula, dapprima riducendo il titolo a 2,2 mg di cocaina per oncia fluida, e infine usando foglie di coca private di alcaloide. Il famoso marchio sopravvisse al suo creatore di un cinquantennio, fino al 1963, come Tonique Mariani.
L’immenso successo di questo tonico e presunto antidepressivo fece spuntare parecchi concorrenti: ricordiamo il Coca Wine Metcalf di Boston, ed il newyorchese Maltine, un estratto di malto addizionato di vino di coca; i francesi Vin Bravais, Quinquina, la Coca des Incas; lo spagnolo Vino Amargos, ricetta di un farmacista catalano, ed infine un Coca Wineprodotto dalla ditta Armbrecht di Londra, per tacere di chissà quanti altri; ma il più celebre imitatore, anche perché sarà a sua volta fondatore di una storia celeberrima, fu John Pemberton, ancora una volta un farmacista, che nel 1884 mise in vendita ad Atlanta un French Wine Coca, per ritagliarsi una fetta del successo del Mariani. Sventura o fortuna, chissà, volle che la Georgia, tra i primissimi stati americani, proibisse gli alcolici due anni dopo, nel 1886. Il Pemberton non si perse d’animo e adattò alle nuove leggi la ricetta, a base di foglie di coca e noci di cola come fonte di caffeina, più soda dolcificata e acido citrico, creando l’universalmente nota bibita, da lui battezzata Coca-Cola. Ma alla morte del creatore, la ricetta ed il marchio vennero ceduti dal figlio e dalla moglie ad un ex socio per meno di 1000 dollari. Questo tonico e digestivo frizzante conteneva una quantità di alcaloide leggermente più alta del vino francese, circa 8,4 mg per oncia fluida, fino al 1904.
E adesso sulle ali della fama mondiale torniamo in Italia. Nemmeno qui gli studi del Mantegazza lasciarono inoperosi gli industriali: la Casa liquoristica Buton di Bologna, forse la più antica ed organizzata dell’epoca, poco tempo dopo la nascita del vino Mariani lanciò sul mercato ben due prodotti: il primo, oggi del tutto dimenticato, col nome di Vino-Coca Buton, era in pratica un vermut di vino bianco dei colli bolognesi (pignoletto forse?) al quale era stata addizionata la foglia di coca boliviana in misura minore del secondo, più celebre e più alcolico, l’Elixir-Coca Buton; questo era invece una preparazione verdastra e sciropposa a base di estratti di foglie di coca ed altre erbe amare e toniche; veniva pubblicizzato come «elisir della salute, preparato secondo i dettami del celebre prof. Mantegazza» e «contro sconforti profondi e fantasie lugubri, l’elisir della psiche, ben noto agli intellettuali». Il liquore conobbe una grande popolarità, a rimorchio dei successi del Mariani, e si suppone che abbia contenuto della cocaina almeno fino al primo decennio del 1900; dopodiché fu privato dell’alcaloide, come avvenne per altre bevande, lasciandovi le foglie di coca solo come aromatizzante.
La Coca Buton, di nuovo prodotta oggi con l’etichetta d’epoca dopo un lungo periodo di oblio, è senz’altro un liquore interessante come ingrediente dei cocktail, per il colore intenso ed il gusto dolce-amaro. Ma del fascino irradiato nella Belle Epoque conserva, qualcuno dirà purtroppo, solo l’evocativo nome.
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