venerdì 10 febbraio 2017

Virgilio Sieni / La democrazia del corpo


Virgilio Sieni 

Virgilio Sieni

La democrazia del corpo


17 GEN 2017
di
FRANCESCA JOPPOLO



Virgilio Sieni danza anche con le parole. Chi vuole dialogare con lui, si lanci in un pas de deux verbale, si abbandoni al ritmo, ma conservi l’attenzione per non distruggere la coreografia, pur sapendo che se manca lo smarginamento non c’è libertà. "Esci dal tuo castello dorato, anche se ha le fattezze di una catapecchia è dorato il mortale senso di consuetudine che garantisce, e troverai la libertà", incita Sieni, creatore di Cango-Centro di produzione sui linguaggi del corpo e della danza, nella sala Goldonetta in via Santa Maria a Firenze, dove dal 1979 Vittorio Gassman tenne la sua Bottega teatrale. Cango: Cantieri Goldonetta.
"La ripetitività crea paranoia" - dice il ballerino e coreografo fiorentino, contemporaneo di formazione classica -. "Qualunque cosa facciano, le persone devono capire che bisogna escogitare delle strategie per contrastare la ripetitività, con coraggio. Si cominci a cambiare strada per andare al lavoro. Sennò è il deperimento dell’uomo. Quando si è accettata l’idea della schiavitù e non si lotta più si spalanca il grande baratro esistenziale". E su di noi, Sieni vede cadere una pioggia bianca di cocaina.
Con il festival appena concluso La democrazia del corpo, un’officina di ricerca lunga tre mesi, e con un impegno ininterrotto nella sua vita di uomo danzante, Sieni prova a reinventare la città perché senza un tessuto sociale, senza comunicazione vera, il respiro si accorcia e l’essere umano va in rovina. "Se la mentalità ti porta a essere razzista, devi fare un percorso di iniziazione. L’accoglienza è una pratica. IL RESPIRO. Saper respirare, saper toccare l’altro. Rendersi conto che l’altro ha un corpo, uno sguardo. Di solito usiamo solo il gesto produttivo: grattarsi, allacciarsi le scarpe" - spiega Sieni. "Teseo, quando esce dal labirinto dopo aver ucciso il Minotauro, non si allaccia le scarpe. Balla e sa che il centro di tutto è il respiro: dall’addome si arriva alla testa. Solo sospendendo il gesto quotidiano puoi prendere traiettorie diverse. Se ti avvicini piano alla mano di una persona, prima di stringerla, poi la tieni a lungo, scavi e vai all’origine dell’essere al mondo perché tutti sono stati in pancia, e a quattro zampe. Toccarsi mette in moto tutto quello che noi siamo, percepire con il polpastrello che l’altro è lì, l’aura della persona. La capacità di prendere energia, irrorati dall’altro, è persino più potente della vista che è l’organo più importante".
Virgilio fa una pirouette (basta con Sieni, Virgilio è un nome adatto a un compagno di scoperte), Virgilio fa una pirouette nel discorso e scodella l’enorme tema del cibo. "L’aspetto nutritivo, il disastro del mondo. Se ci fosse il prodotto a km zero. L’orto. Non ho tempo di fare l’orto, si dice. Una pianta ha i suoi tempi, certo. Eppure la lentezza… Devi essere svelto se uno sta per cadere in un burrone, ma nella lentezza puoi tornare all’apertura, all’ascolto, all’attesa. Rallentare il gesto, sentire il sistema articolare. Abbiamo questo scheletro perché gli abbiamo dato questo destino. Abbiamo dei centri di memoria oltre la nostra intelligenza, secondo Plotino. Noi includiamo il primo uomo. E se attraverso il gesto di oggi in qualche milione di anni possiamo mutare il DNA, è una speranza".
I centri commerciali sarebbe bene sparissero, subito. "Ce l’ho a morte con i centri commerciali, non riesco ad associarli al progresso, non capisco, non mi va bene la loro supremazia arrogante, producono ovunque uno sviluppo omologato, la città si svuota. Chi sta male entra in un imbuto senza fine. La città non può essere il luogo della paura: recinti, telecamere, a casa a una certa ora. Oppure bar, ‘movida’. La qualità del tessuto sociale, la cultura come processo di creazione dei valori delle persone, come percorso, come progetto. Più ospedali, più celle? No, le persone devono delinquere e ammalarsi meno".
Un’altra pirouette virgiliana e si torna al respiro, fondamentale anche per sviluppare il senso critico, il dialogo faccia a faccia, arginare questa “evoluzione isterica legata al digitale” che domina il mondo dei giovanissimi. Imparare le leggi della democrazia attraverso il corpo. Oltre ai ballerini della sua compagnia, Virgilio mette in scena anche non professionisti di età varia: "Lavorare con il corpo significa lavorare con la gravità, saper mollare le braccia. Mi piace individuare le parti deboli e le imperfezioni. Il fine non è togliere il tic, ma portarlo alla consapevolezza. Non si deve neutralizzare, il mio compito è aprire in un gesto poetico. Il sistema articolare è poetico. Quando la persona pratica per la prima volta è a disagio. Ma non è detto che sia negativo: impara a stare in equilibrio fra gli opposti: vuoto e pieno, peso e sospensione. Insegno il vocabolario primario: come sedersi, come camminare, come stringere le mani".
È compito dell’arte, per Virgilio, gettare una luce sull’omologazione che uccide la complessità. Contemporaneo è gettare luce nel buio. Il vero artista non avvilisce il proprio linguaggio, ma riesce a raggiungere molti: "Il gesto non è mai astratto, appartiene all’uomo, ha una risonanza orizzontale, l’hai dato, se n’è andato da te e dov’è? Non siamo innocui, qualunque cosa facciamo, siamo presenti nella formazione del tessuto sociale. Intanto partiamo dalla periferia. Questo è corpo, non il centro commerciale. Bisogna lasciar perdere il successo dell’apparire gratuito. Se qualcuno ti tocca forte, ti fa male e anche l’immagine è così. Non parlo di censura, ma dobbiamo essere custodi dello spazio, dobbiamo irrorarlo con il nostro comportamento".
Tutti i giorni il corpo cambia, invecchia. “Non salto più come a 25 anni (ora ne ha il doppio e qualcosa n.d.r.) - e saltavo! -, ma in uno spettacolo, qualche giorno fa, ho fatto cose che non facevo. A livello tecnico, intendo, non espressivo. Il mio corpo è virtuoso. Il passaggio del tempo è sicuramente una ricchezza. Poi avremo il deperimento. E allora gli affetti emergono. Una parola, una carezza".
Pirouette. Il dolore. È lì che s’imparano tante cose e si quaglia.
Pirouette. La solitudine. Essere solo in teatro, è importante affrontarlo. Poi gli altri, ma l’aspetto della solitudine è da praticare.
Pirouette. L’addio al conosciuto. "Il pensiero che si rivolge alla morte è un atto di coraggio. Abbandono il corpo: non ci sono più. All’esperienza cosmica che non ho, non ci arrivo proprio, i miei neuroni non sono sufficienti".
Pirouette finale dedicata alla “pancia”, non quella che appesantisce la linea. Attenti a guardare con alterigia chi sceglie d’istinto, avverte Virgilio: "Ci sono più neuroni nel cuore e nel ventre che nel cervello".
Francesca Joppolo
Nata e cresciuta a Roma, vive fra Firenze e la Sicilia. Giornalista professionista ha lavorato per quindici anni alla Nazione, ha collaborato, tra l’altro, con Uomini e BusinessArte ServiceIn the worldNaturart. Ha pubblicato NugaeGli occhiali dalla A alla Z. For your eyes, only? con Alessandra Albarello (Logos) e Fate silenzio, per carità.

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