sabato 31 dicembre 2016

La natura dell’amore / Un cammino di giustizia, purezza e coraggio

Una scena del film Suite Française

La natura dell’amore

Un cammino di giustizia, purezza e coraggio

Una scena del film Suite Française
7 NOV 2016
di
LUCA PERRONE

Non mi limiterò al furto con destrezza del titolo del saggio della dottoressa Donatella Marazziti, non pago le scipperò l’esergo come un mariuolo in vespa dinanzi alle Poste il giorno della pensione:
Dobbiamo rassegnarci al fatto che, se amiamo qualcuno, non è per le sue caratteristiche, per la sua bellezza e per le sue doti individuali: l’amiamo soltanto perché nell’universo agisce una volontà di cui non possiamo capire la sostanza reale e che si manifesta in forme del tutto casuali affinché il mondo possa rinnovarsi nella sua perenne rotazione, una forza che tocca gli animi e i nervi secondo criteri inesplicabili, stimola il funzionamento degli ormoni e ottenebra le menti più lucide. Noi uomini […] siamo qui per comprendere questa forza misteriosa, per quanto incapaci di decifrarne le intenzioni.

Passione d'amore


Sándor Márai ha compiuto un notevole sforzo d’investigazione metafisica, quella che normalmente dovrei prediligere, soprattutto se raffrontata al lavoro scientifico di un medico ricercatore. Eppure questa volta pare che l’interesse sia risvegliato, la mente stuzzicata e l’approvazione ceduta con maggiore piacere al lavoro della geniale scienziata. Non mi dedicherò a recensire l’ottimo lavoro della Marazziti, sul quale spenderò alcune parole in modo ch’esso possa essere inquadrato dal potenziale lettore e lascerò a quest’ultimo la decisione di porlo fra le proprie letture per eventualmente interagire in scambio ermeneutico e arricchirsene. Rifletterò più a lungo sulle parole dello scrittore ungherese invece, se l’ispirazione mi ci porta. Voglio avvisare il lettore che una certa attitudine recidiva a innamorarmi delle donne sbagliate, proprio la notte scorsa mi ha condotto ancora una volta lungo il cammino della perdizione e che presto del lucido compositore di funamboliche proposizioni non resterà che una tastiera annoiata dalla solitudine.
Donatella Marazziti nel suo La natura dell’amore analizza ciò che accade all’essere umano in preda al sentimento amoroso. Giunge fino a sottolineare la somiglianza dei meccanismi biochimici del cervello in occasione del colpo di fulmine con quelli della psicosi. Encomiabile coraggio di sbirro prezzolato dal potere, che con doppio passo fine ed elegante ci proietta nell’ambito doppiogiochista di una delle più potenti distopie cinematografiche degli ultimi quindici anni: Equilibrium. Il consesso umano di Equilibrium è da tempo completamente psichiatrizzato, le emozioni, pericolose foriere di disordine e violenza, messe al bando. L’illuminismo perpetrato fino al limite estremo del suo disumanizzante potenziale. Ma se uno dei più eminenti psichiatri viventi si azzarda a sottolineare come spesso, a livello anatomico e fisiologico, biochimico e funzionale, un innamorato risulti poco distinguibile da un pazzo (e per pazzo intendiamo quell’individuo socialmente pericoloso emarginato e messo in condizione di non nuocere dall’ordine costituito) risulta forse demagogia asserire per cominciare che la natura dell’amore è rivoluzione?
Forse sarò pazzo, o comunque in un limbo, dal momento che fino a ieri sera ero innamorato e oggi mi accompagno a una sinuosa e conturbante boccetta d’ansiolitico, ma se penso che l’Iliade è arrivata ai giorni nostri da lontanissimo e che la base della leggenda è una sonora scornata collettiva in funzione di due avversari in amore, non so davvero darmi torto. Nell’asserire che l’uomo innamorato è capace d’ogni gesto, è fuori controllo, è anarchico e libero… sto forse postulando un sofisma? Fatemi capire se non si tratti invece di un fine sillogismo figlio della più alta delle logiche aristoteliche. Potrei sbagliarmi ma credo che sia un cammino di giustizia, purezza e coraggio a condurre all’amore.

Una scena del film Equilibrium


È accidentale che a suon di scorticare cadaveri l’uomo contemporaneo sia riuscito a scoperchiare i crani fino a vedere con gli occhi che cellule, ghiandole e umori fanno il lavoro sporco. I bambini che smontano i giocattoli sono dei pervertiti in erba. Il bambino sano col giocattolo gioca. Per la durata di un capolavoro cinematografico, specialmente alla prima visione, ci occupiamo forse d’immaginare la scena nel suo scheletro? Sentiamo la mancanza del set? Vogliamo il faccione urlante del regista e la giraffa che spunta dall’alto nelle prese dirette in aperto? Non credo. Sarò chiaro ed esaustivo: a me non interessa proprio cosa succede al mio corpo se amo. L’amore è libero di fare del mio corpo ciò che vuole. L’unica preghiera che mi sento di rivolgere ad amore è quella di non lasciarmi mai solo su questo pianeta, perché non vedrei altra soluzione al partire per un lungo viaggio.
Ci siamo miracolosamente approssimati alla visione di Sándor Márai, che sebbene lacunosa, per nulla esaustiva e un po’ algida, non manca di suggestionare una certa gamma di profilassi dell’ispirazione di chi scrive. Ci ha approssimati la personificazione di Amore. “Dobbiamo rassegnarci”. Possiamo perdonare l’infelice scelta lessicale e concettuale dell’incipit alla luce della consapevolezza che non si tratti di un filosofo o meglio di un poeta, ma più genericamente di uno “scrittore e giornalista”, ad esempio io non mi rassegno mai, né mai inciterei nessuno a farlo, specialmente parlando d’amore. “Al fatto che, se amiamo qualcuno, non è per le sue caratteristiche, per la sua bellezza e per le sue doti individuali:” Certo! riguarda quasi solo ed esclusivamente il profumo che emana da quella donna meravigliosa, da cui non riusciamo a staccare gli occhi perché è bella, intelligente, spiritosa, sagace e perché le riescono bene moltissime faccende; “l’amiamo soltanto perché nell’universo agisce una volontà di cui non possiamo capire la sostanza reale”.
Una scena del film Equilibrium
Sono d’accordo praticamente su tutto quanto asserito, nell’universo emana una forza e se i fisici non si concentreranno di più sull’avanguardia non ne conosceremo mai la sostanza. Come già scritto però, l’amiamo per il di lei profumo; “si manifesta in forme del tutto casuali affinché il mondo possa rinnovarsi nella sua perenne rotazione, una forza che tocca gli animi e i nervi secondo criteri inesplicabili, stimola il funzionamento degli ormoni”. Non fa che ribadire l’ipotesi degli scienziati, qui la tesi coincide con quella supportata dalla Marazziti nel proprio libro, che l’amore sia lo strumento attraverso il quale la Natura obbliga l’uomo a non estinguersi… La scintilla della riproduzione insomma. Che volgarità! Dove finisce l’Eros? Che ruolo ha? È un subordinato dell’amore? Non gli conferiamo dignità di forza invincibile esplosiva e autonoma? Mi sta bene che Natura sia la gregaria dell’universo per quanto concerne la casualità. Ma come ragioniamo di troppe donne che provano piacere nel sesso solo se avvinte da sentimento? Elle non devono pensare di concepire un bambino per godere. E un uomo che traesse godimento solamente nel piacere della propria amata? Potrei arrovellarmi ancora e creare incastri sconsiderati, ma l’ignoranza mi empie di reticenza e pudore. La riproduzione è conseguenza dell’amore, ma non semplifichiamo. “E ottenebra le menti più lucide”. Mi dispiace ma questa l’ha cantata meglio Elvis: “Wise man says only fools rush in” testualmente. “Noi uomini […] siamo qui per comprendere questa forza misteriosa, per quanto incapaci di decifrarne le intenzioni”. Se non del tutto sbagliato, quasi niente giusto.
L’unico merito dello scrittore ungherese in questo frangente è quello di aver associato il senso dell’esistenza umana all’amore, ma non si tratta di comprendere. Io comprendo un’equazione, comprendo le dinamiche di un fatto storico, comprendo il messaggio che un artista ha voluto esprimere attraverso la propria opera e forse arrivo persino a comprendere le motivazioni di un gesto suicida, pur senza giustificarlo. Un sentimento lo provo. Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce. Ma non si tratta di denigrare un fine intellettuale e un abile scrittore.

Una scena del film L'amore ai tempi del colera

Il problema a monte è un complesso succedersi di eventi che ha portato le comunità umane a snaturarsi fino a seppellire e reprimere emozioni e sentimenti, fino a partorire nevrosi al ritmo delle donne spartane al tempo della guerra del Peloponneso. Terreno fertile per la psichiatria. Per l’industria del farmaco prescritto a vita per profili patologici senza alcuna possibilità di remissione. Per finire: la forza misteriosa non è poi così misteriosa se almeno una volta nella vita hai amato alla follia, non siamo incapaci di decifrarne le intenzioni: Amor che move il sole e l’altre stelle è molto banalmente il primo artista anarchico, amore puro, tutto ha permeato di sé e tutto osserva con curiosità e compiacimento, trova stimolante la complessità della sua creazione, si diverte a seguire dinamiche di particolare valore estetico, spera sempre che un giorno le creature oppresse e doloranti trovino il coraggio e la forza di sfidare la morte per liberarsi… non lo esige, ma non disdegna di sbirciare di tanto in tanto il lavoro di quei suoi emuli che, attraverso la liturgia dell’arte, gli sono grati e ne tessono inconsapevoli le lodi, talvolta perfino con le bestemmie.

Luca Perrone
Luca Perrone non riesce proprio a trovare uno pseudonimo. Inizia a creare adolescente: canta i testi punk scritti di suo pugno e composti con la banda di amici. Qualche mese dopo si appassiona all’arte visiva, crea installazioni concettuali, passa alla pittura. L’Accademia delle Belle Arti di Carrara decide di tentarlo a reagire come Adolf Hitler non ammettendolo, ma Luca non ci casca, è sportivo nella sconfitta e soprattutto pacifista. Il liceo classico ha tentato di storpiarne l’estro reprimendolo nel bigio tanfo stantio della classicità, ma la rivoluzione in petto e le conferme di Mark Twain in merito a quella propedeutica all’ospizio dello spirito ch’è l’istituzione scolastica, l’hanno salvato.
A diciotto anni si iscrive ai corsi della facoltà di filosofia di Genova e continua a cavalcare la spocchia anticonformista finendo per laurearsi a pieni voti praticamente da autodidatta. In quel periodo dipinge fino a tre tavole al giorno con acrilico ad acqua. Seguiranno lunghi anni di ricerca pittorica, accompagnati a quella letteraria. Partecipa entusiasta ad alcuni laboratori teatrali e si avvicina così ulteriormente al linguaggio di una delle forme espressive che considera più sublimi.
Il vezzo principale che distingue Luca Perrone è quello di lasciare incompiuti sparsi per il mondo, che si tratti di narrativa, quadri, installazioni, relazioni amorose. Proprio non riesce a riappacificarsi con disciplina alla compiutezza. La passione per il Genio lo porta a redigere due tesi di laurea sull’argomento. Il rapporto fra il genio e la follia sarà l’oggetto di studio della prima, affrontato a partire dalla vicenda umana del pittore Vincent van Gogh. Si dedicherà poi nello specifico allo studio della malattia mentale e della sua terapia, ottenendo per altro la pubblicazione di un proprio articolo su una rivista specializzata, destinata agli specializzandi in psichiatria.
Purtroppo la formazione di quest’artista impiegato, quella accademica perlomeno, risulterà in definitiva quella fuorviante, caleidoscopica e destabilizzante di un epistemologo, un filosofo della scienza. Fermamente deciso a prestare gratuitamente la propria opera di poeta nel corso della costruzione del ponte per l’Età dell’Oro, egli è alla continua ricerca della mano libertaria e onesta di un saggio editore che pungoli con scadenze e ultimatum la pigra penna e in ultimo, non certo per importanza, di un ristretto pubblico di affezionati in grado di seguirlo lungo gli scoscesi crinali su cui compie acrobazie intellettuali suicide.
Per Luca l’arte è celebrazione, l’unica vera religione. Scaturisce dall’Amore.

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