La “maternità” di Elena Ferrante
28/05/2015di Rita Cavallari
Un interrogativo agita le pagine letterarie della stampa italiana: chi è Elena Ferrante? E’ una donna, come suggerirebbe il genere femminile della sua denominazione, oppure è un uomo che ha preferito nascondersi dietro uno pseudonimo da donna per rivolgersi ad un pubblico di lettrici? Dico lettrici perché i temi della scrittrice/scrittore Ferrante sono quelli più amati dalle donne: amore e disamore, abbandono, passione, solitudine, disperazione, amicizia e – groviglio femminile per eccellenza – maternità.
I libri di cui si discute sono una tetralogia, quattro volumi usciti uno all’anno dal 2011 ad oggi. Sono L’amica geniale, Storia di un nuovo cognome, Storia di chi fugge e di chi resta e, a conclusione, Storia della bambina perduta. I primi tre volumi sono stati accolti dalla critica italiana con tiepida distrazione, si è detto che sono una sorta di romanzo di appendice che si protrae negli anni, nient’altro che letture forgiate secondo la tradizione pop del fotoromanzo e della serie TV. Poi, nel 2014, il fenomeno Elena Ferrante è esploso negli Stati Uniti. I critici letterari più esigenti del New York Times, del New Yorker, del Boston Globe e dell’Economist, che di norma dedicano agli scrittori italiani contemporanei non più di un trafiletto defilato, hanno speso fiumi di elogi sui quattro volumi, definiti una delle storie di rispecchiamento femminile più conturbanti dai tempi di Biancaneve e la mela avvelenata. Perché i libri della Ferrante hanno avuto tanto successo negli Stati Uniti? Probabilmente per due motivi. Il primo è perché sono un romanzo-mondo: oltre ad essere il racconto di una vita – anzi, di due vite, perché due sono le protagoniste – riescono a darci un affresco completo di personaggi, ambienti, avvenimenti che dagli anni cinquanta, nell’arco di sessant’anni, giunge fino ai giorni nostri.
Una grande storia italiana, con centro a Napoli in un rione di periferia, con successi, sconfitte, drammi, delitti, passioni, misteri, in una costruzione attenta e precisa come il congegno di un orologio nel quadro dei grandi avvenimenti politici del nostro paese. Il secondo motivo è che riescono a entrare in profondità nella psicologia delle due protagoniste – Elena e Lila – mettendo a nudo non solo l’amicizia che le lega nel correre di una vita, ma anche antagonismi, gelosie, aggressività. Alla fine del quarto volume, cioè al termine della storia, Lila scompare senza lasciare traccia. E’ un mistero senza perché, che lascia nel lettore un senso di smarrimento e che immediatamente rimanda al grande interrogativo alla base dei quattro volumi: chi è Elena Ferrante? Prima che il New Yorker la salutasse come una grande scrittrice e la paragonasse a Manzoni, il fatto di non sapere chi fosse non interessava nessuno e veniva considerato una simpatica bizzarria. Dopo, cercare di stanarla e di darle un volto è diventato un punto fermo: la scelta di Elena Ferrante che desidera restare celata irrita e innervosisce il mondo letterario italiano. Non così per il lettore/lettrice, a cui poco interessa l’identità dell’autore/autrice. L’importante è la scrittura, sono i personaggi, le loro avventure. I quattro libri vanno alla grande: 200.000 copie vendute in Italia e 130.000 fino ad ora negli Stati Uniti.
L’ultimo libro della tetralogia, Storia della bambina perduta, è stato candidato al premio Strega da Roberto Saviano. Così Elena Ferrante è stata lanciata nel sistema del premio letterario più importante d’Italia facendone deflagrare gli instabili equilibri, in un momento in cui la riorganizzazione della grande editoria rende problematico il mondo della carta stampata. Nell’ottobre del 2014, sulla Stampa, Paolo Di Paolo ipotizzava che dietro il nome di Elena Ferrante si nascondesse Domenico Starnone, oppure Anita Raja, nota traduttrice di Christa Wolf e di Ingeborg Bachmann. Anita Raja, per inciso, è la moglie di Domenico Starnone. Non ho elementi a favore dell’uno o dell’altra – però mi è difficile credere che un uomo sia potuto entrare così in profondo nei sentimenti di due personaggi femminili complessi come Elena e Lila, quindi propendo per la “maternità” di Anita Raja – ma vorrei portare un elemento di riflessione. Ne
In “L’amica geniale” si parla in più punti della biblioteca del rione creata dal maestro Ferraro. E’ una biblioteca popolare da cui Lila, che dopo le elementari non ha continuato la scuola, prende i libri per continuare a studiare. Elena, che faticosamente sta imparando il latino alle medie, apprende con stupore che l’amica già conosce le declinazioni e i verbi.
“Le domandai cautamente come mai e lei, col suo piglio cattivo di ragazzina che non vuole perdere tempo, ammise che già quando ero andata in prima media aveva preso una grammatica in prestito alla biblioteca circolante, quella gestita dal maestro Ferraro, e se l’era studiata per curiosità. La biblioteca per lei era una grande risorsa. Chiacchiera dopo chiacchiera, mi mostrò fieramente tutte le tessere che aveva, quattro: una sua, una intestata a Rino, una a suo padre e una a sua madre. Con ciascuna prendeva un libro in prestito, così da averne quattro tutti insieme. Li divorava e la domenica successiva li riportava e ne prendeva altri quattro.”
Mentre leggevo pensavo che anch’io conosco grandi lettori che usando più tessere delle biblioteche comunali di Roma e prestiti multipli riescono a disporre contemporaneamente di un gran numero di libri. Ho pensato anche che questo è il primo libro italiano contemporaneo che mi capita di leggere in cui una biblioteca popolare riveste un ruolo chiave: chi, come Lila, non è in grado di comprare libri perché costano troppo, può soddisfare la sua sete di sapere senza alcun limite. Con la piccola astuzia delle tessere multiple. Mi è venuto da pensare che l’autore/autrice conosca bene la forza e il valore delle piccole biblioteche. Poi ho saputo che Anita Raja è la direttrice di una biblioteca comunale di Roma. Sarà solo un caso?
Rita Cavallari
Sono nata a Roma alla fine della seconda guerra mondiale e ho vissuto la rinascita del nostro Paese, il boom economico, gli anni della contestazione, il femminismo. Sono laureata in architettura e ho lavorato per molti anni in un ente pubblico. Conosco il soffitto di cristallo e l'ho provato sulla mia pelle. Sono divorziata. Ho un figlio che lavora all'estero e due nipoti adolescenti che tornano spesso in Italia. A volte temo che sapranno scrivere correttamente solo in inglese e dimenticheranno l'italiano. Amo leggere e sono coordinatrice del Circolo dei lettori della Biblioteca comunale Villa Leopardi di Roma. A causa di un incidente traumatico sono paraplegica. Partecipo a Se non ora quando da marzo 2011 perché credo che si debba progettare il futuro a misura delle donne e che siano le donne a doversi impegnare per questo.
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