venerdì 22 gennaio 2016

Pif / “Il mio anno con il Maestro, mi ha sedotto e abbandonato”

Ettore Scola


Pif: “Il mio anno con il Maestro, mi ha sedotto e abbandonato”

Il giovane regista: “Negli ultimi mesi ci siamo molto frequentati. È il mio modello, non sono riuscito a fargli vedere il nuovo film”

ANSA
Pif e Ettore Scola alla Festa del Cinema di Roma

21/01/2016
FULVIA CAPRARA
ROMA

La voce spezzata che impone brevi silenzi, le parole che vengono fuori a fatica. Il Pif del giorno seguente alla scomparsa di Ettore Scola non è quello che siamo abituati a vedere dai tempi delle Iene: «Conoscevo Scola solo da un anno, ma oggi mi sento come se fossi stato sedotto e abbandonato, conquistato e poi lasciato lì, da solo».

L’incontro ravvicinato era legato alla realizzazione di Ridendo e scherzando - Ritratto di un regista all’italiana, documentario scritto e diretto dalle figlie dell’autore, Paola e Silvia, con «l’amichevole partecipazione» in veste di alter-ego di Pierfrancesco Diliberto, ovvero Pif. Presentato all’ultima Festa del cinema di Roma, il film arriverà nelle sale il 1° e il 2 febbraio, distribuito da 01.

La scelta dell’intervistatore Pif non era stata casuale. Nella sua opera prima La mafia uccide solo d’estate, c’è un tono che accomuna il grande maestro all’esordiente, una capacità speciale di raccontare l’Italia seria con ironia, di parlare di grande Storia usando piccole storie, di cogliere il particolare per arrivare all’universale.

È anche su queste somiglianze che si è basata la vostra amicizia?

«Il mio sogno di partenza quando ho girato il primo film era proprio questo, riuscire come faceva Scola a tenere insieme le due cose, a far incontrare la Storia con la S maiuscola con la storia del film. Un incontro difficile, che non sapevo bene come affrontare. Mentre ci pensavo, mi è tornata in mente una cosa che aveva detto Scola una volta, una battuta che racchiudeva la scelta di fondo e che riguardava il modo con cui si stava preparando ad affrontare un argomento: “Non so se diventare Risi o Rosi”. Il punto era quello, ricordandomi quella frase, ho capito tutto».

E infatti, nella «Mafia uccide solo d’estate», il clima narrativo oscilla tra quei due poli. Una caratteristica di Scola che per anni il cinema italiano non aveva più saputo trovare.

«Infatti. La stima professionale per Scola è scontata, a me colpiva soprattutto il suo metterci sempre la faccia. E poi l’arte di denunciare, ma col sorriso, quello che vorrei fare anch’io in tutta la mia vita. Ed è una cosa che, secondo me, riguarda tutta la famiglia Scola».

In che senso?     
     
«È una famiglia dove si ride spesso, i loro pranzi e le loro cene sono pieni di continue risate».

Scola era un maestro, ma non ne assumeva mai l’aria. Con lei come è stato? 

«Dirò cose banali, lo so, ma è stato proprio così. Non era uno che parlava, preferiva fare domande, soprattutto sul presente, e ascoltare le risposte. Mi chiedeva delle Iene, del film che avevo fatto e di quello che stavo preparando».

Ora lo può dire: che cosa rappresenta per lei Ettore Scola?

«Una persona che è parte della natura stessa di chi sceglie di fare cinema, uno che sta dentro di noi, e di tutto il Paese. Se cresci in Italia mangi un certo tipo di cibo, certi piatti, stabilire in che misura Scola è presente nelle nostre vite sarebbe come stabilire quanti spaghetti ci sono in media nella pancia di un italiano».

Adesso che cosa le manca di più?

«Da quando l’ho conosciuto ci siamo frequentati molto, avrei voluto fargli vedere il mio nuovo film. Appena avuta questa notizia tremenda, ho continuato a ripeter a me stesso, vabbé, dai, domenica prossima ci vediamo, e andiamo a farci insieme un “cacio e pepe”».

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