mercoledì 24 agosto 2022

«Salman, sei nostro fratello» / Scrittori in piazza per Rushdie

 

Salman Rushdie


«Salman, sei nostro fratello»: scrittori in piazza per Rushdie

di VIVIANA MAZZA, inviata a New York20 agosto 2022 (modifica il 20 agosto 2022 | 13:59)
Il reading davanti alla New York Public Library, nella Grande Mela, in solidarietà con l’autore accoltellato il 12 agosto: presenti romanzieri, giornalisti, amici

«Cercai sull’elenco, trovai numero di telefono e indirizzo di Salman Rushdie, presi la metro fino a casa sua. Non era in casa, era in vacanza in Italia, ma sua suocera mi fece entrare. Parlammo, mi diede carta e penna per scrivergli un messaggio... Quello era un mondo nel quale l’unica follia che poteva succederti era di trovarti sull’uscio un lettore esuberante. E quel mondo si chiamava civiltà. Cerchiamo di tenercelo stretto». Così lo scrittore americano Jeff Eugenides, parlando ieri al suo turno, sugli scalini della New York Public Library, ha raccontato il suo primo tentativo, da giovane, di incontrare Rushdie a Londra, prima della fatwa dell’ayatollah Khomeini che lo condannò a morte nel 1989. Come non pensarci dopo che, il 12 agosto, il giovane americano Hadi Matar ha preso un bus dal New Jersey per andare a pugnalare dieci volte Rushdie al festival di Chautauqua, nello Stato di New York?

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Lo scrittore Paul Auster

Paul Auster e Siri Hustvedt hanno letto brani dal memoir di Rushdie Joseph AntonGay Talese uno stralcio da La caduta dei GoldenColum McCann un passaggio di Out of Kansas, un racconto che rivisita la sua prima influenza letteraria (Il Mago di Oz) e il rapporto con il padre. Non potevano mancare I versi satanici, letti dall’autore britannico Hari Kunzru, mentre l’iraniana Roya Hakakian si è tuffata in Harun e il mar delle storie, il primo libro (per ragazzi) dopo I versi. Il pittore italiano Francesco Clemente ha recitato Nel sud, da lui illustrato: «La mia amicizia con Salman si basa sul disaccordo su tutto, proprio come i personaggi di questo racconto». Gli intellettuali che hanno letto le opere di Rushdie ieri mattina a Manhattan, in un evento organizzato dall’associazione per la libertà di espressione Pen America, sono anche cari amici dello scrittore, desiderosi di fare qualcosa per lui. E la possibilità di vedere in livestream l’evento sul sito della biblioteca di New York non era solo un modo per raggiungere il pubblico mondiale dei suoi lettori. Serviva anche per rivolgersi a Salman, ancora ricoverato in ospedale: si sta riprendendo e ha recuperato il suo humour, anche se rischia di perdere un occhio, e ha fatto sapere che avrebbe seguito l’evento online. Alcuni dei presenti si erano confrontati con lui sui brani da leggere.

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La scrittrice Siri Hustvedt

«Ti ho pensato ogni ora di ogni giorno. Ti voglio bene come a un fratello», ha detto Paul Auster. Parole simili a quelle che pubblicò trent’anni fa in un articolo sul «NewYork Times»: ogni mattina, quando si metteva a scrivere, pensava all’amico che viveva nascosto dall’altra parte dell’oceano, e lo ringraziava perché stava difendendo anche la sua libertà. Auster annuisce. «Mi succede di nuovo, ora che è ricominciato. Le persone come Salman combattono perché tutti abbiano il diritto di esprimersi — dice al “Corriere” —. Non ha chiesto questo, voleva essere solo un romanziere, ma ha scritto un libro e si è trovato nel mezzo di una reazione politica violenta che gli ha cambiato la vita. Allora ha avuto il coraggio di iniziare a esprimere i suoi valori profondi. Nessuno dei suoi saggi su questi temi sarebbe stato concepito se la storia non lo avesse forzato ad essere non solo un romanziere, ma anche un portavoce, ed è difficile fare entrambe le cose, ma lui c’è riuscito».

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Lo scrittore Gay Talese

Auster e Hustvedt, marito e moglie, sono amici di Rushdie da trent’anni. «Lo abbiamo conosciuto durante la fatwa», ci spiega lei a margine dell’evento. «Quando lo vedevamo a cena a Londra, ci scambiavamo 3-4 telefonate segrete, andavamo all’indirizzo comunicato in segreto, c’erano agenti di guardia fuori, me ne dimenticavo per poi ritrovarli a tarda notte assonnati. Quello era il tempo dei segreti. Ma il Salman che viveva a New York girava da uomo libero. Veniva spesso a cena da noi. Una volta, all’inizio della nostra amicizia, quand’ero terrorizzata che gli accadesse qualcosa, mi guardò e mi disse: “Siri, io non ho nulla da temere dal pubblico”». Alla scrittrice l’aggressore ricorda «il profilo degli sparatori di massa: solitario, arrabbiato, un giovane che sente la propria mascolinità umiliata e che trova uno sfogo ideologico, rinnegato dalla madre laica. Mi sembra abbia poco a che fare con le politiche degli Stati». L’Iran? «Colpevole nel senso che non hanno mai cancellato la fatwa, è rimasta là per chi, folle o meno, volesse seguirla».

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Lo scrittore Jeffrey Eugenides

Gli amici di Rushdie, inclusa la giornalista Tina Brown, sottolineano che si è battuto per il pluralismo delle idee, sfidando il politically correct come le lobby religiose. A chi chiede se in America anche la «sinistra woke», quella più impegnata sul tema dei diritti, non abbia la colpa di opporsi alla libertà di espressione, Hustvedt replica d’essere «contraria a chiunque legiferi sulle credenze umane... ma attenzione: oggi il problema più grande è la violenza dei nazionalisti bianchi e dell’estrema destra che influenza l’intero Partito repubblicano». Rushdie, già copresidente del Pen, diceva che gli scrittori in prigione vanno difesi celebrando con gioia le loro storie, le metafore. È ciò che è accaduto ieri alla Public Library, conclude la portavoce Suzanne Nossel: «Beccati questo, ayatollah».


CORRIERE DELLA SERA




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