sabato 28 luglio 2018

Primo amore / Per sempre nei tuoi pensieri

Primo amore

Per sempre nei tuoi pensieri

23 MAGGIO 2016, 
ALESSANDRA CHIARA MANSUETO

Iseult singhiozzava nella sua cameretta, si stringeva nel lenzuolo. Luhan sgraffignava i suoi pensieri con artigli adunchi, e lei non riusciva a schiarirsi la mente. Quanto la faceva soffrire! Com'è possibile uscire fuori di testa in questo modo per un'altra persona? Iseult decise che avrebbe preso seri provvedimenti.
Luhan era bello e la sua pelle bianca. Si guardò allo specchio e sorrise: voleva essere un principe per lei. Andò alla scrivania e sollevò una scatola azzurra decorata da piccoli elicotteri colorati. La chiuse con un nastro rosso, accuratamente legato in un fiocco. Continuò a sorridere ammirandola. L'azzurro della scatola era in tinta con il suo pullover, perfetto. Di nuovo si sistemò i capelli soffici. Uscì di casa con il pacco tra le mani. Fuori nevicava piano, era sera e nel cielo scuro brillavano illuminazioni vivaci.
Luhan prese un respiro profondo, l'aria era meno fredda di quanto si sarebbe aspettato. Lei non era ancora lì, così decise di cercarla. Camminava e camminava nella piazza che pareva infinita. Oltre a lui non c'era nessuno. La neve non lo bagnava, poiché non si scioglieva, ma non aumentava il velo bianco sul pavimento. Era come se i fiocchi di neve caduti tornassero in cielo per poi cadere di nuovo. Luhan, stanco, si sedette su una panchina verde. Lei era davanti a lui come un fantasma di neve. Luhan strinse il regalo con le dita rigide e tremanti. Abbassò il viso, lentamente. Mentre si mordeva le labbra, lacrime riempivano i suoi occhi scuri. Lei, prima di andarsene, aveva dato a Luhan il potere di vederla quando non poteva vederla. Chissà se lo stava guardando, fuori dalla palla di vetro.
Luhan continuava a bussare sul vetro: "Ti amo!" urlava, "Fammi venire da te!". Iseult non ne poteva più, non riusciva a dormire, a ragionare, quel suono la perseguitava. L’aveva rinchiuso per non pensarci più! E invece, ironia della sorte, Luhan le fracassava il cervello. Presa dall'ira gettò a terra la palla di vetro, che si ruppe in mille pezzi. La neve finta impazzava per la stanza in una tempesta turbinosa. Luhan rotolò sul pavimento, piccolo come un soldatino giocattolo. Prima che Iseult potesse scorgerlo s'arrampicò su di lei, sul suo abito verde scosso da fremiti, le entrò nel naso e si fece strada nel cervello. Sarebbe stato sempre, per sempre nei suoi pensieri.
Iseult guardava la neve cadere piano fuori dalla finestra, assorta nella sua malinconia dolce. Quanto amava quel bianco ovattato, da quand’era piccola l’amava: era portatore dell’eco di emozioni lontane. John le porse una tazza di tè caldo e lei gli diede un bacio sorridente. Quando Iseult morì Luhan uscì, ancora giovane e bello, dal suo cranio, e si addormentò.
Alessandra Chiara Mansueto
Sono nata a Milano nel 1995. Racconto storie un po' pazze da sempre, il mio primo personaggio si chiamava Ponchio ed era un gatto cattivello (perdonatemi, ma avevo solo tre anni).
La mia passione mi ha portata a intraprendere studi classici, a pubblicare racconti già da qualche anno e a dedicarmi alla psicologia sociale e alla narrativa. Sto completando la mia prima raccolta di racconti. Punto forte: la fantasia.
Canto jazz e il mio sogno è di trovare un ragazzo che mi porti a ballare lo swing. Spero di vivere fino all'invenzione della macchina del tempo. Particolarità: parlo coreano.

martedì 24 luglio 2018

Cuore stitico / La storia più banale del mondo


Cuore stitico

La storia più banale del mondo

23 APRILE 2016, 
ALESSANDRA CHIARA MANSUETO
Sophie avanzava, affondava le scarpe in pozzanghere grandi come laghi. La pioggia batteva sul suo cappuccio giallo. Gli occhi bruni, liquidi quanto il fango ai lati della strada, erano selvaggi e spaventati come quelli di un’orsa ferita. Attraversò un vecchio ponte e per due volte fece avanti e indietro accanto a un gruppo di case azzurre, gettando occhiate agitate al navigatore sul cellulare. Con lo stomaco in burrasca si fermò davanti a un portoncino verniciato di nero e suonò il campanello. Aspettò un minuto e suonò di nuovo, poi ancora.
Finalmente la porta s’aprì: un signore l’invitò ad entrare, sorrideva leggermente ad occhi socchiusi. Capire quanti anni avesse era difficile. Sulla pelle ancora fresca apparivano e scomparivano rughe sornione. “Accomodati pure,” disse il signore indicandole un divano blu ricamato d’oro. Sophie si guardò attorno un po’ spaesata. La sala era piena di oggetti inutili piuttosto belli, polverosi ma allo stesso tempo, come dire… luccicanti. “Allora, come mai sei qui?” le chiese. Sophie si scosse, improvvisamente sembrò ricordare il motivo della marcia sotto la pioggia, il suo viso s’animò: “Devi lavare il mio cuore!” affermò. Il signore sorrise: “Ma tu sei un essere umano.”
“E allora?” chiese Sophie. L’altro si mise comodo su una poltrona verde: “La vita degli umani è talmente breve che il loro cuore muta di continuo. Possono impegnarsi a costruire relazioni stabili quando trovano qualcun altro disposto a faticare, ma non hanno il tempo materiale per capire chi sia l’amore della loro vita. Dunque non serve che io lavi il tuo cuore, poiché presto muterà in modo naturale e si rivolgerà altrove. Io lavo il cuore di demoni e dei, il cui amore rischia di durare in eterno.”
“Vivrò poco, ma questo non significa che il mio amore non durerà per tutta la mia vita, rovinandola.”

“Ti sbagli, il tuo cervello è fatto per andare avanti.”

“È del mio cuore che stiamo parlando!”

“Come vuoi, fatto sta che non posso privarti di questi sentimenti: ne proverai talmente pochi nella tua breve vita che ti sarà difficile persino capirli davvero.”
“Non voglio capirli, ma liberarmene! Il cuore mi batte così forte che non riesco a respirare.”
“Che è successo?” chiese pazientemente il signore, “Ti ha tradita? Ti ha rifiutata?”
“No, lui non sa che l’amo.”
“Fammi capire: tutta quest’enfasi per cancellare dei sentimenti che non hai nemmeno espresso?”
“Non riesco ad esprimerli! Ci ho provato! Non riesco ad esprimerli e sento che senza lavarli subito via il mio cuore esploderà!”
“Va bene, ti spiegherò come lavare il tuo cuore.”
“Grazie.”
“C’è solo un modo per farlo: lasciare che i tuoi sentimenti escano fuori. Devi aprirti, dichiararti. Un cuore stitico dev’essere purgato! Te lo sta dicendo un… beh un medico, ecco, non una persona qualunque.”
“Ma io non riesco ad aprirmi! Ho saputo che di solito lavi i cuori con la magia, fai in modo che l’amore venga dimenticato.”
“Vuoi davvero dimenticare il tuo amore in quel modo? Pensaci bene cara,” disse il signore guardandola negli occhi con fare paterno. Sophie non riuscì a rispondere di sì. Passata la foga del momento sentiva che forse non era la cosa giusta da fare. L’altro sorrise: “Fidati di me: per lavare il tuo cuore devi fare come dico. Ti darò un rimedio per cuori stitici che renderà la dichiarazione un gioco da ragazzi”. Poi s’alzò, aprì la credenza viola in cucina e si mise a frugare tra una schiera di flaconcini dalle forme più svariate. “Eccolo qui!” esclamò infine, e porse a Sophie una bottiglietta sgargiante. “Due gocce prima del grande momento e l’impresa sarà fatta,” aggiunse.

Era notte. Sophie rotolava nel suo letto come una foca. Ogni tanto lanciava occhiate preoccupate alla preziosa bottiglietta che brillava sul comodino… proprio non riusciva a dormire: domani era il grande giorno. Avrebbe aperto il suo cuore. La stazione è un buon posto per le parole d’amore: di passaggio andiamo, torniamo, ci ritroviamo e diciamo addio; infine i finestrini portano via tutto lungo i binari. Sophie camminava avanti e indietro con lo stomaco spiaccicato. Non molto lontano il mistico ragazzo aspettava il treno che l’avrebbe riportato per un po’ nel suo paese d’origine. Sophie, prima che lo spazio gentilmente li separasse, voleva dirgli ogni cosa. Trattenendo il respiro svitò il flaconcino e si preparò a lasciar cadere sulla lingua due gocce iridescenti. Purtroppo le tremavano le mani: le dita le scivolarono e in un momento di confusione ingoiò quasi tutta la bottiglietta. Che sarebbe accaduto? Sophie non aveva il tempo di farsi domande: ora o mai più. Sto asrrivandpo per dirti qwella cosa, scrisse all’amato lasciando perdere gli errori di battitura. Ma quanto ci metti? Dai che tra poco parte il treno, rispose lui. Sophie a passo svelto si diresse verso il binario giusto, nonostante ancora i suoi visceri si contorcessero promettendo emozioni sconcertanti. Lo vide da lontano: bello come sempre, pallido, con le occhiaie e il naso storto che avrebbe riconosciuto ovunque. Mentre lei si avvicinava lui la vedeva senza guardarla troppo.
“Ciao,” le disse quando furono vicini.

“Ciao,” rispose Sophie, “come va?”

Lui alzò le spalle: “Bene dai, a te?”

“Bene, ultimamente mi diverto. Poi sta arrivando la primavera. Tipo ora dopo che il tuo treno parte vado al parco con i miei amici. È bello.”
“Al parco? Guarda che piove.”
“Prima non pioveva, allora magari faremo altro.”
Lui annuì.
“Allora…” Sophie sapeva di dover dire quella cosa prima o poi. Il mistico ragazzo si guardava attorno. “Allora la cosa che ti dovevo dire…” continuò Sophie esibendosi in smorfie volutamente comiche e insicure, con gli occhi vaganti.
Dannazione non riusciva a dirlo! Ti amo… parole fuori luogo! Altisonanti! Ridicole! E mi piaci? Parole scialbe. “Non te lo dico… dai prova a indovinare.”
“Non lo so mi fai paura,” ridacchiò lui esibendosi a sua volta in smorfie accuratamente imbarazzate e ingenue. “Dai hai capito… ” borbottava Sophie muovendosi come un topolino in trappola.
“No, davvero,” insisteva il poveretto.
Finché arrivò il treno, allora Sophie salutò il mistico ragazzo con un “Sono parole che dette ad alta voce sembrano troppo stupide,” e scappò senza voltarsi indietro, lasciando che il treno corresse lontano portando con sé quel triste fallimento. A questo punto le venne un mal di pancia pazzesco, con fitte lancinanti. Ora sì che la pozione stava facendo effetto… Sophie doveva trovare un bagno.

Seppe poi che il ragazzo aveva capito tutto, ma non riuscendo a dire “Scusa non ricambio” fingeva il contrario. Sophie pensava e ripensava a come fosse stata stupida a credere di essere innamorata di uno che nemmeno aveva il coraggio di rifiutarla, dopo che lei con tanta fatica si era dichiarata! Beh, quasi dichiarata. Inizialmente sentì un po’ di vuoto, vergogna, delusione, poi un giorno s’accorse di non provare più nessuno struggimento. Sorrideva con indulgenza se qualcuno o qualcosa le riportava alla mente il fatto. L’estate stava arrivando. Come possiamo amare qualcuno che non ci ama? Proprio d’estate poi!
È questa la storia più banale del mondo. Le storie di eterni amori tormentati, quelle sono una strana faccenda.
Alessandra Chiara Mansueto
Sono nata a Milano nel 1995. Racconto storie un po' pazze da sempre, il mio primo personaggio si chiamava Ponchio ed era un gatto cattivello (perdonatemi, ma avevo solo tre anni).
La mia passione mi ha portata a intraprendere studi classici, a pubblicare racconti già da qualche anno e a dedicarmi alla psicologia sociale e alla narrativa. Sto completando la mia prima raccolta di racconti. Punto forte: la fantasia.
Canto jazz e il mio sogno è di trovare un ragazzo che mi porti a ballare lo swing. Spero di vivere fino all'invenzione della macchina del tempo. Particolarità: parlo coreano.

domenica 22 luglio 2018

Il guerriero e il vampiro barbone / Combattere per cambiare il mondo



Il guerriero e il vampiro barbone

Combattere per cambiare il mondo

23 MARZO 2016, 

Fin da piccolo il guerriero aveva sempre combattuto. All'inizio combatteva per avere un pezzo di pane, o un paio di scarpe, ma col passare del tempo aveva capito che affinché tutti avessero sempre pane e scarpe doveva cambiare il mondo. Così cominciò a combattere per cambiare il mondo. Quando era stanco e spaventato voleva smettere di fare il guerriero, ma lui non aveva niente se non la sua spada e le sue bombe. A volte pensava che senza combattere sarebbe sparito nel nulla, perché solo così poteva affermare se stesso.
Capitava che in primavera si sentisse malinconico, allora sognava una vita del tutto diversa, piena di amore e tenerezza. Un giorno si arrischiò a sognare nel momento sbagliato e venne ridotto in fin di vita. Mentre soffriva a terra era sicuro che sarebbe morto, ma un giovane lo raccolse. Il giovane aveva occhi ridenti e capelli scuri come terra bagnata. Lo guarì anche se non gli piacevano i guerrieri, perché lui aiutava tutti. Il guerriero gli spiegò che tagliava gole e faceva esplodere corpi per rendere il mondo un posto migliore, ma il giovane ogni volta scuoteva la testa: “Le gole sono voci e i corpi esseri umani,” diceva. Pur provando per lui affetto sincero il guerriero rimaneva ciò che era sempre stato, decise dunque che avrebbe combattuto ancor più duramente: voleva donare un mondo felice al suo salvatore. Eppure il giovane curava coloro che lui feriva, piangeva se morivano. Il guerriero, che non ne comprendeva il motivo, finiva sempre per arrabbiarsi.
Il giovane aveva quattro fratelli minori, e per dare ai più piccoli la speranza di un futuro migliore decise di abbandonare la povera terra natia, che tanto odiava e amava: partirono per il mondo ricco e civile. Il guerriero sapeva che quel mondo non era poi così splendente: promise all'amico che avrebbe cambiato la loro terra, promise che l'avrebbe protetto, ma non riuscì a fermarlo. Per qualche tempo il guerriero continuò a vivere come sempre aveva fatto, ma non possedeva più il cuore aperto di una volta: non poteva, dopo aver imparato a combattere per le persone che amava, tornare a combattere per un ideale. La sua vita era svuotata di senso. Un giorno, sperando di ritrovare il suo amico, decise di partire.
Viaggiò a lungo e vide molte cose, ma nessuno era mai in grado di dirgli dove fosse il giovane. Aveva quasi dimenticato il suo viso quando gli parse di scorgerlo, una mattina, in un cantiere abbandonato. Mentre il cuore gli batteva fortissimo chiese agli zingari del posto: “Vive qui un giovane con quattro fratelli?”. Ma tutti scuotevano la testa. Il guerriero aveva quasi perduto la speranza, quando un uomo molto vecchio, dalla barba appuntita e vestito di stracci, gli si avvicinò: “Io posso portarti da lui,” propose con un luccichio negli occhi, “il tuo amico e i suoi fratelli lavorano nel cantiere, per vederli devi accettare di lavorare con loro”. Il guerriero non si fece pregare due volte: “Portami subito lì! Lavorerò!”, esclamò con le pupille mosse di gioia. “Seguimi,” disse l'altro, “devi firmare il contratto”.
I due giunsero in una casupola di cemento, vuota. Prima che il guerriero potesse rendersene conto, il vampiro barbone aveva affondato i denti bianchi nel suo collo dorato. Da vecchio che era il vampiro barbone mutò in giovane e bello: la pelle diafana era come strappata alla luna, le labbra scarlatte calde e pulsanti di sangue. Il guerriero venne infine condotto nel cuore del cantiere abbandonato, e lavorò, lavorò senza sosta. Più volte gli fu accanto il suo caro amico, ma i loro occhi sbiaditi non sapevano più riconoscersi.



Alessandra Chiara Mansueto
Sono nata a Milano nel 1995. Racconto storie un po' pazze da sempre, il mio primo personaggio si chiamava Ponchio ed era un gatto cattivello (perdonatemi, ma avevo solo tre anni).
La mia passione mi ha portata a intraprendere studi classici, a pubblicare racconti già da qualche anno e a dedicarmi alla psicologia sociale e alla narrativa. Sto completando la mia prima raccolta di racconti. Punto forte: la fantasia.
Canto jazz e il mio sogno è di trovare un ragazzo che mi porti a ballare lo swing. Spero di vivere fino all'invenzione della macchina del tempo. Particolarità: parlo coreano.

giovedì 19 luglio 2018

Donne / Joss Stone I




Donne
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martedì 17 luglio 2018

Donne alla spiaggia / Joss Stone




DONNE SULLA SPIAGGIA
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