lunedì 9 ottobre 2017

Nobel Letteratura 2017 a Ishiguro, autore con due patrie

Kazuo Ishiguro
Poster di T.A.




Nobel Letteratura 2017 a Ishiguro,
autore con due patrie 

«Ha scoperchiato l’abisso sotto di noi e il mondo». Così l’Accademia di Stoccolma incorona il narratore britannico di origine giapponese del prestigioso riconoscimento

di LUIGI IPPOLITO, nostro corrispondente a Londra
5 ottobre 2017 (modifica il 5 ottobre 2017 | 22:14)

Lo scrittore britannico Kazuo Ishiguro (Nagasaki, 8 novembre 1954) davanti alla sua casa londinese dopo l’annuncio dell’assegnazione del Nobel (Alastair Grant/Ap)Lo scrittore britannico Kazuo Ishiguro (Nagasaki, 8 novembre 1954) davanti alla sua casa londinese dopo l’annuncio dell’assegnazione del Nobel (Alastair Grant/Ap)
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«Mi sento come un impostore, e mi sento colpevole che tanti altri scrittori non siano venuti prima di me: e penso innanzitutto a Haruki Murakami». Non lesina l’understatement di marca nipponico-britannica Kazuo Ishiguro, lo scrittore fresco di Nobel per la letteratura. Si presenta a un’improvvisata conferenza stampa a Bloomsbury, nella sede della Faber&Faber, tutto vestito di nero, e in una piccola sala stipata di giornalisti e telecamere legge una breve dichiarazione: «È una notizia meravigliosa e del tutto inaspettata. Arriva in un momento in cui il mondo è incerto riguardo ai propri valori, alla sua leadership e alla sua sicurezza. Spero solo che questo grande onore che ho ricevuto incoraggerà, anche in piccola parte, le forze per la pace e la buona volontà».



«Il gigante sepolto» (Einaudi, 2015)
«Il gigante sepolto» (Einaudi, 2015)

Ishiguro, nato in Giappone quasi 63 anni fa ma vissuto fin da bambino in Inghilterra, è noto soprattutto per Quel che resta del giorno, il romanzo del 1989 da cui è stato tratto il celebre film con Anthony Hopkins ed Emma Thompson. Un altro adattamento cinematografico lo ha avuto Non lasciarmi del 2005, un’opera distopica e vagamente fantascientifica trasposta sul grande schermo in una pellicola con protagonista Keira Knightley. Lui stesso autore di sceneggiature cinematografiche e televisive, Ishiguro affronta nelle sue opere i temi della memoria, del tempo e dell’autoinganno, mirabilmente incarnati dal maggiordomo Stevens in Quel che resta del giorno.



«Quel che resta del giorno (Einaudi, 1989), con cui ha vinto il Booker Prize e da cui James Ivory ha tratto il film con Anthony Hopkins ed Emma Thompson
«Quel che resta del giorno (Einaudi, 1989), con cui ha vinto il Booker Prize e da cui James Ivory ha tratto il film con Anthony Hopkins ed Emma Thompson

Lo scrittore racconta ai cronisti di come ha ricevuto la notizia: «Stavo seduto in cucina scrivendo una mail. Mi ha telefonato il mio agente letterario, che stava ascoltando la diretta da Stoccolma, e ha detto: “Stanno annunciando te”. Ma poiché viviamo in un mondo di fake news, non mi sono eccitato troppo. Solo quando la Bbc mi ha telefonato per un commento ho preso la cosa sul serio. Sapete, sono molto all’antica, credo ancora nella Bbc».



Da «Non lasciarmi» (Einaudi, 2005) è stato tratto il film diretto da Mark Romanek
Da «Non lasciarmi» (Einaudi, 2005) è stato tratto il film diretto da Mark Romanek

La vittoria lo ha colto decisamente di sorpresa:«Non avevo mai pensato seriamente che avrei potuto conquistare il Nobel — ammette —. Se lo avessi sospettato, mi sarei lavato i capelli stamattina. Improvvisamente c’era una coda di giornalisti davanti casa, era molto imbarazzante con i vicini, devono aver pensato che ero una specie di serial killer. Non ho avuto molto tempo per pensarci, ma tutto quello che posso dire è che è un onore incredibile, perché il premio Nobel è qualcosa in cui possiamo credere e rispettare: ed è alquanto difficile al giorno d’oggi trovare istituzioni da rispettare».

La motivazione del comitato di Stoccolma parla di «romanzi di grande forza emotiva, in cui l’autore ha scoperchiato l’abisso sotto il nostro illusorio senso di connessione con il mondo»: e si fanno paragoni con Jane Austen, Franz Kafka e Marcel Proust. «Amo Jane Austen, è una scrittrice meravigliosa — commenta Ishiguro —. Ma devo dire che se penso al periodo vittoriano Charlotte Brontë è l’autrice che ha avuto più influenza sulla mia scrittura. Recentemente ho riletto Jane Eyre e sono rimasto sorpreso di quante cose ho riconosciuto: ho compreso quanto devo a Charlotte Brontë. Kafka è lo scrittore che ha aperto molte possibilità, tecnicamente e tematicamente: noi romanzieri dovremmo prestargli più attenzione, io ho cercato di farlo in molti miei lavori. Invece parte di Proust la trovo terribilmente noiosa e molto snob, ma quando vuole, sa essere meraviglioso, ed è stato una grande influenza fra il mio primo e secondo romanzo: ho cambiato il mio modo di scrittura per sempre dopo aver letto Proust, perché mi ha insegnato a raccontare una storia per associazioni di pensiero invece che in modo semplicemente lineare».




Molti si chiedono quanto Ishiguro sia inglese e quanto giapponese: il 5 ottobre nella sua terra natale lo hanno festeggiato come se fosse una gloria nazionale. «Non trovo mai una risposta chiara — spiega lui stesso —. Non so cosa significa essere uno scrittore giapponese o britannico: gli scrittori scrivono in quanto individui. È una delle grandi cose della fiction, che rimane un’attività artistica solitaria. I film, il teatro, l’opera vengono creati in maniera collettiva, mentre la scrittura comporta una singola persona che lavora a volte in una stanza solitaria. E abbiamo bisogno di un luogo in cui un solo individuo può comunicare con tanti individui. Ho sempre pensato a me stesso soltanto come a uno scrittore, pur con le influenze del mio background giapponese, britannico e internazionale».
Ma poi, sollecitato da un semi-connazionale, ammette che «molto di come scrivo e di come vedo il mondo viene dalla cultura giapponese. E sono grato di seguire le orme di Kawabata e Oe, gli altri premi Nobel giapponesi. Quando dico di avere influenze giapponesi, è perché sono stato cresciuto da genitori giapponesi in una casa in Inghilterra in cui si parlava giapponese, sono stato preparato per essere un adulto in Giappone, sono rimasto in Gran Bretagna per caso. E mi è stato insegnato a guardare alle cose in una maniera giapponese».
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