mercoledì 13 settembre 2017

Da Rushdie a Littell / Il romanzo dà scandalo

Jonathan Littell

Da Rushdie a Littell: il romanzo dà scandalo

Sono molte le opere che hanno tratto forza dagli attacchi subiti. Meritati o meno


Partiamo da un dato indubitabile. Finché se ne parla ha ragione lui, l'artista. Il problema è capire se il libro di cui si parla è un capolavoro o una sòla.
Una volta era un caso letterario, chessò, Madame Bovary, I fiori del male, L'amante di Lady Chatterley, libri che letti oggi sono affari da educande in mutandoni, adesso si bercia di Twilight o delle Cinquanta sfumature di... Questi non sono casi letterari, ma casi clinici di un sistema editoriale allo sbaraglio. O casi da sociologia spiccia, come i romanzi di Giuseppe Cattozzella, che piacciono a tutti per la loro onesta ovvietà; o come il romanzo di Paolo Cognetti, Le otto montagne, che piace a tutti perché dice quello che tutti vogliono sentirsi dire.
Per carità, nel 2004 divenne un caso un romanzo francamente brutto come Il codice da Vinci di Dan Brown, a difenderlo dalle armate cattoliche si mise pure un esimio prof di Cristianesimo antico come Remo Cacitti. Il caso letterario, oggi, nell'epoca in cui si vendono libri come hamburger, ha una patologia piuttosto chiara: di solito riguarda libri esteticamente dimenticabili, oppure libri dai temi scottanti, che indignano i pavidi moralisti, i critici con parrucca e tutù. Michel Houellebecq è un genio nel trovare temi che titillano la pruderie dei giornalisti - pensate alla cagnara intorno a Piattaforma, accusato di istigare alla pedofilia, o a Sottomissione. Diverso il caso di Jonathan Littell, che 10 anni fa se ne esce con Le benevole, la storia turgida di Maximilian Aue, audace ufficiale delle SS: del romanzo - eccellente - si parlò così tanto che a Littell s'inceppò l'ispirazione, da allora ha scritto soltanto saggi. La questione, comunque, è di una semplicità allarmante: per diventare un «caso letterario» devi essere morto - vedi Guido Morselli o Dante Virgili -, devi essere un omosessuale che parla di gagà, di edonismo dozzinale e di notti violente - ad esempio, Rimini di Pier Vittorio Tondelli, presentato in pompa, nel 1985, da Roberto D'Agostino, censurato dalla Rai - o scagliarti contro una religione qualsiasi, meglio se l'islam - Salman Rushdie è un autore degno di essere letto dal 1988, quando pubblica I versi satanici e Khomeini lo condanna a morte - in alternativa (si rischia meno) va bene il cristianesimo.
D'altronde, le polemiche intorno al libro di Walter Siti, irrilevanti - di un libro non conta il tema ma la forma - sono pallide rispetto a quelle che aureolarono alcuni libri, violentissimi, di Giovanni Testori (esempio: La Cattedrale e Passio Laetitiae et Felicitatis) o Il papa di Giorgio Saviane, di cui non si ricorda nessuno.





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