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Hilary Mantel |
La Mantel alza il velo
sulle donne arabe
Come può cavarsela una occidentale a Gedda? Con molta prudenza. E tanto coraggio...
Frances chiuse di nuovo gli occhi. Mentre si assopiva, coglieva qua e là dei brani di conversazione: le espressioni gergali, le frasi fatte. A casa di sua madre vedova, a York, aveva letto dei libri sul posto dove era destinata.
Nonostante il suo scetticismo, e la sua esperienza, in mente continuavano a girarle delle immagini artificiose: le tende nere al tramonto, il richiamo del muezzin nell'aria tersa del deserto, il sapore del cardamomo, la brunitura dei bricchi puntuti del caffè, il bollore della sabbia. «Costruiamo infra-strutture», diceva l'uomo che disprezzava Fairfax. Infrastrutture era una parola che aveva sentito sulla bocca di Andrew; se ne era innamorato. A quanto pareva, appena scoperto il petrolio nella Provincia orientale, l'Arabia Saudita non possedeva infrastrutture, ma adesso sì: strade, scuole, ospedali, fabbriche, miniere, coltivazioni e allevamenti di polli, aeroporti e campi di squash, telefoni e distributori di benzina, magazzini refrigerati e commissariati di polizia, ristorantini d'asporto e piste da bowling all'Albilad Hotel. Lo sapeva dalle sue letture, perché dopo i romantici racconti di viaggio era venuto Gedda. Una guida per operatori economici. Le tende nere dei beduini erano state scalzate dalle baracche di bandoni. L'aria condizionata è universale. Le gazzelle vengono cacciate dal cassone dei fuoristrada.
Deve piacermi, pensò. Tenterò di farmela piacere. Quando tutti hanno un'opinione negativa di un posto, viene il sospetto che alla fin fine qualche pregio quel posto lo debba avere. «Niente alcolici!», esclama la gente come se senza si morisse. «E alle donne è vietato guidare? Orrore». Ci sono tante cose che fanno più orrore, pensò, e ne ho vista qualcuna anch'io. Si appisolò.
La svegliò una mano sul braccio. Era lo steward. «Cominceremo la discesa fra mezz'ora. Passo col carrello per l'ultima volta: un altro cognac?».
«Non faccia esagerare la signora», gli consigliò l'uomo d'affari. «Deve vedersela con la dogana ed è la prima volta. Controllano tutto», le disse. «Spero che nella valigia non abbia niente che non dovrebbe».
«Non ho né bottiglie di whisky né carne di suino. Che altro cercano?».
«Dove compra la biancheria?».
«Vede, Marks & Spencer per loro sono dei sionisti. Deve tagliare le etichette, non gliel'ha detto nessuno? E guardano i libri. C'è stato un mio collega che, l'ultima volta che è stato nel Regno, si è visto confiscare un libro di limerick. Sulla copertina, sa, c'era un disegno, una donna». Gesticolò nell'aria descrivendo dei semicerchi. «Nuda, tratteggiata con una linea. Il tipo ha detto che non se ne era accorto».
«Mi pare poco plausibile», disse lei. E rivolta a se stessa aggiunse: «Uno dei suoi amici».
«È tutto poco plausibile. Anche se sono anni che uno va avanti e indietro, non sa mai cosa cercano. Il nostro rappresentante a Riad dovrebbe saperlo, ci vive. Ma l'anno scorso, quando è tornato dalle ferie estive, gli hanno preso i video di rugby, tutte le sintesi che aveva registrato. Hanno detto che li poteva riavere dopo che la dogana li aveva visionati. Non è mai andato a richiederli, però, per non sobbarcarsi quella bega».
«Ha dei libri d'arte, per caso? Rubens o varie? Sanno essere molto strani al riguardo».
«Il culto della figura umana è antislamico», disse Frances, «è considerato idolatria». L'uomo la fissò.
«Allora non riesco a tentarla?», chiese lo steward. Sbirciò nel secchiello quasi vuoto del ghiaccio. «Signori, vi prego di non lasciare le mignonettes nella tasca posteriore del sedile, non vogliamo che il nostro personale di terra sia frustato». Abbassò lo sguardo su Frances. «Il prossimo anno rinunciamo a questa rotta», disse. «Che la diano alla British Caledonian e buon pro le faccia. Allora, da bere nient'altro?». Si preparò a lasciarla, ad abbandonarla. I dirigenti che dormivano si riscossero con un filo di bava che colava sulla coperta della linea aerea. Si sentì una risata soffocata; le ventiquattrore ingombrarono i corridoi; impietosito, lo steward si chinò sul sedile di Frances. «Senta, se qualcosa non va, se per un imprevisto il maritino non si presenta, non si fermi ad aspettare, non parli con nessuno, vada dritta alla navetta della nostra compagnia aerea e venga con noi all'Hyatt Regency. Prenda una camera e mi occuperò io di lei. Lui potrà incontrarla domattina».
«Sono sicura che ci sarà», ribatté Frances. O ci sarà qualcun altro. Jeff Pollard. Perlomeno sarebbe una faccia conosciuta. «In caso qualcosa non vada ho dei numeri di telefono, e posso sempre prendere un taxi».
«Non lo può prendere, non la farebbero salire».
Le venne in mente quel formaggio che si dice i tassisti francesi non accettino sul loro taxi. «Parla sul serio?».
«È pericoloso per un uomo far salire in macchina una donna che non conosce. Possono sbatterlo in galera».
«Ma è un tassista, il suo lavoro è far salire le persone che non conosce».
«Ma lei è una donna», disse lo steward. «È una donna, giusto? Non è più una persona». Ostinato e cortese, come se non avessero scambiato neanche una parola, prese un bicchiere dal carrello: «Desidera dello champagne?».
Dopo un po' gli altoparlanti si misero a crepitare: Signori e signore abbiamo cominciato la nostra discesa sull'Aeroporto Internazionale di King Abdulaziz. Chi siede sul lato sinistro può vedere le luci di Gedda. I viaggiatori sono pregati di allacciare... sono pregati di spegnere... (E sulla destra, l'oscurità che si inclina e un bagliore rosso, i fuochi lenti che di notte sembrano circondare le città). Ci auguriamo che abbiate gradito... ci auguriamo di riavervi... ci auguriamo... ci auguriamo... e vi preghiamo di rimare seduti al vostro posto fino al completo arresto...
Dopo mezz'ora Frances è nel terminal. Secondo il calendario islamico è il 2 Muharram e la temperatura della sera è di 31 gradi; l'anno è il 1405.
da Hilary Mantel, Otto mesi a Ghazzah Street, Fazi Editore (traduzione di Giuseppina Oneto, pagg. 334, euro 19, in uscita oggi)