Storia del tatto, il senso che ci rende umani
Laura Crucianelli, assistente al Dipartimento di Psicologia della Queen Mary University of London, dove coordina il corso di Neuroscienze cognitive e affettive, scrive un libro in cui tratteggia il più inedito e pervasivo dei sensi: il tatto.
Eugenio giannetta
17 / 12 / 2024
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Agostino nelle Confessioni disse che il tatto è quel senso che è diffuso in tutto il corpo, preposto alla percezione; è il senso dei sensi, nonostante sia forse il più sottovalutato tra i sensi, perché è il primo con cui entriamo in contatto con il mondo e l’ultimo a lasciarci quando ce ne andiamo. Quello del tatto è un tema che molti hanno affrontato nel corso del tempo, osservando da diverse prospettive le vaste possibilità – sociologiche, psicologiche, mediche, artistiche – che se ne possono trarre, e proprio in questi giorni è uscito un libro che mette insieme diverse esperienze, per cercare di tratteggiare un ritratto inedito del più pervasivo dei sensi: si tratta di Storia naturale del tatto(Utet), scritto da Laura Crucianelli, assistente al Dipartimento di Psicologia della Queen Mary University of London, dove coordina il corso di Neuroscienze cognitive e affettive.
Crucianelli parte da un assunto semplice ed efficace: «Il tatto è il senso della concretezza, è umano». Questa affermazione risuona con ulteriore forza in un’epoca in cui – come ricorda Walter Siti nel suo ultimo libro, C’era una volta il corpo (Feltrinelli) – è sempre più difficile ricordarci che abbiamo ancora un corpo. Tutto ciò vale ancora di più se, come Crucianelli, ci si occupa dello studio del tatto, ed in particolare della percezione del tatto affettivo, delle carezze e della funzione della percezione di noi stessi e degli altri, in un mondo peraltro sempre più digitale. «Il tatto – scrive Margaret Atwood nel suo romanzo L’assassino cieco (Ponte alle Grazie) – viene prima della vista, prima della parola. È la prima lingua e l’ultima, e dice sempre la verità». Allo stesso modo, come ricorda Lingiardi nel suo ultimo libro Corpo, umano (Einaudi), citando Merleau-Ponty («toccare è toccarsi) e John Keats («touch has a memory»), «come siamo stati toccati da piccoli si deposita nella memoria fisica che è poi una memoria psichica».
Il tatto è il senso attraverso cui incontriamo il mondo – spiega Crucianelli nel libro –, ci informa sulle forze fisiche che agiscono su di noi, ci permette di stabilire un contatto con gli altri, pur non implicando, e qui la specifica è di Lingiardi, che «tutti i contatti siano piacevoli e tutte le distanze siano rinunce». Il tatto, continua Crucianelli, ha poteri benefici, è fondamentale nella formazione dell’identità, può fare male e rappresentare uno strumento – anche politico – di trasformazione e lente attraverso cui leggere la società; a riguardo Crucianelli fa due esempi recenti ed emblematici come il #MeToo e il Covid, ma gli esempi in questo senso sono numerosi.
Di tatto ha scritto anche Federico Capitoni in un libro di alcuni anni fa, Toccare, uscito per Jaca Book, dove collocava il senso all’interno della storia della filosofia, partendo da prima della nascita: «Il tatto – scriveva – è il primo senso che l’essere umano sviluppa (già in embrione)». È da qui che nasce il ricordo della «memoria assoluta della pelle», diceva Andrés Neuman in Anatomia sensibile (Sur), ed è da qui che si sviluppano, secondo Crucianelli, tutte le funzioni del tatto, tra cui quella comunicativa, nonché le implicazioni psicosociali dello studio del tatto per la nostra salute mentale, ovvero la «fame tattile», la pervasività della solitudine nel mondo occidentale e il tema del consenso: «È essenziale – scrive Crucianelli – promuovere un uso appropriato del contatto fisico, rispettando i confini personali, comunicando chiaramente e promuovendo un’educazione sul tatto e sulle abilità di comunicazione non verbale. Solo attraverso queste misure possiamo favorire relazioni più soddisfacenti, connessioni emotive più profonde e una maggiore coesione sociale», poiché il contatto fisico ha il potere di influenzare il nostro sistema nervoso e promuovere un corretto funzionamento del sistema immunitario.
«Nei momenti più fragili delle nostre vite – scrive ancora Crucianelli –, abbiamo bisogno del tocco più che mai», e non lo dice come una frase fatta, ma partendo da alcuni studi sulla deprivazione tattile nello sviluppo umano fin dall’infanzia, dove le influenze sulla formazione sono evidenti, nonostante spesso alla domanda su quale potrebbe essere il senso a cui saremmo disposti a rinunciare, rispondiamo che sarebbe il tatto, sottovalutando ciò che andrebbe a significare per le nostre vite, dando per scontate molte cose della nostra quotidianità; il tatto infatti permette di svolgere attività come muoverci, mantenere l’equilibrio, prenderci cura, di noi stessi e degli altri.
Il nucleo del libro di Crucianelli è forse proprio in questo passaggio sulla cura, quindi sul significato di reciprocità che rappresenta il tatto, «a partire dall’esperienza dell’abbraccio, la situazione tattile per eccellenza», per poi passare dal solletico e dalle relazioni romantiche. Toccare ed essere toccati, dice Crucianelli, sono atti diversi, con fattori in gioco differenti, sia biologici che sociali, anche di regolazione emotiva. In poche parole –(così chiude ogni capitolo Crucianelli) – «il tatto è l’unica lingua che parliamo tutti in modo istintivo, senza neanche accorgercene. È una caratteristica che ci unisce nella diversità, che ci rende tutti uguali nella disuguaglianza», pur con le dovute differenze culturali, geografiche, umane, climatiche, religiose, relazionali, perché il tatto è un «linguaggio sensoriale che parla direttamente al cuore e all’anima delle persone», permettendoci di comunicare gioia, amore, affetto, rabbia, tristezza, solidarietà. Insomma, di essere umani.
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