Figlio di un reporter storico del giornale, aveva pubblicato sul «Corriere» la sua prima fotografia: il volto di Rachele Mussolini
«Oggi tutti fanno fotografie, ma nessuno è più un fotografo» aveva confessato Oliviero Toscani, morto oggi - 13 gennaio - a 82 anni, quando presentò la collana «La nuova fotografia» che aveva curato per il «Corriere». Secondo l’uomo delle campagne pubblicitarie per United Colors of Benetton e della campagna choc contro l’anoressia con la modella e attrice francese Isabelle Caro, tutto insomma «era ormai finito». Ma si capiva che non era così, che per lui la fotografia non avrebbe mai potuto dissolversi nel nulla, sarebbe magari cambiata, ma sarebbe sempre e comunque rimasta necessaria. Come avrebbe potuto pensare altrimenti? Lui, figlio di uno dei fotoreporter storici del Corriere della Sera (Fedele, 1909-1983)); lui che a sei anni aveva ricevuto in regalo la prima macchina fotografica (una «Rondine» della Ferrania); lui che a quattordici anni aveva pubblicato (ancora sul Corriere) la sua prima foto, quando, accompagnando il padre che testimoniava la tumulazione di Mussolini a Predappio, aveva «fermato» il volto dolente di Rachele Mussolini; lui che era fratello di Marirosa (1931-2023) e cognato di Aldo Ballo (1928-1994), fondatori dello studio Ballo&Ballo, uno dei più importanti studi fotografici di architettura, interni, design.
Quelli di Oliviero Toscani (nato a Milano il 28 febbraio 1942, studi prima al Liceo Vittorio Veneto di Milano e poi alla Kunstgewerbeschule di Zurigo) non sono mai stati semplici scatti (termine che disprezzava profondamente) ma racconti per immagini capaci di rompere gli schemipiù consolidati (della fotografia, della moda, dell’impegno sociale). Realismo, semplicità, provocazione, nessuna concessione al virtuosismo tecnico: questo (in sintesi) lo stile di Toscani che oltretutto avrebbe portato la fotografia di moda fuori dagli studi, nella strada, nella vita reale, avvalendosi delle star del momento (Lou Reed, Donna Jordan, Monica Bellucci, Mick Jagger, Federico Fellini, Carmelo Bene) per creare un universo di immagini belle, spontanee, ironiche, ma (soprattutto) piene di significato.
I suoi modelli? Quelli con cui aveva idealmente dialogato nelle 25 lettere ai grandi maestri raccolte in Caro Avedon (Solferino editore, 2020): Richard Avedon, appunto campione di audacia; Helmut Newton, di cui invidiava la capacità di essere all’altezza della propria cattiva reputazione; il padre Fedele, reporter, che gli aveva messo in mano la prima Leica; Diane Arbus, capace di cogliere la delicatezza delle cose brutte; Robert Capa, genio in guerra (ma la sua fotografia di don Lorenzo Milani a Barbiana, pubblicata da L’Espresso nel 1959 regge alla perfezione il confronto con questi mostri sacri).
Nelle fotografie (per Elle, Vogue, GQ, Harper’s Bazaar, Esquire, Stern, l’Uomo Vogue, Donna) e nelle campagne pubblicitarie (la prima per il Cornetto Algida, poi Benetton, Valentino, Chanel, Fiorucci, Esprit, Jesus, Robe di Kappa, Prénatal) scorrono colori, abiti, ma soprattutto volti, corpi, situazioni a volte allegre, a volte tragiche. Così Toscani è riuscito a districarsi «attraverso gli stereotipi della diversità per raccontare il mondo a forza d’immagini impattanti in grado di svegliare dall’apatia e dall’indifferenza» (come quelle per la campagna Nessuno Tocchi Caino). Su temi come l’uguaglianza razziale, la mafia, la lotta all’omofobia, il contrasto al diffondersi dell’Aids, la ricerca della pace,l’abolizione della pena di morte.
Fotografare, per Toscani, era come dipingere: «Bisogna impegnarsi a vedere la forma, gli equilibri e tutto quanto fa amplificare quello che si vuol dire» senza mai soffrire di quello che lui chiamava il complesso del pittore mancato («Perché tappezzare i muri di una galleria per raggiungere 5000 persone se possiamo raggiungerne 100000 con i giornali?»). D’altra parte, era la sua idea, la fotografia resta ancora ( e ancora resterà) un’arma formidabile: «Può far diventare bello un pezzo di m...a e far sembrare brutto un capolavoro dell’arte. L’estetica non conta, quello che conta è che riesca a cogliere l’anima della realtà, sia fatta di cose o di persone».
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